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17 gennaio 2020

 

Rivolta francese: rivoluzione o conflitto congelato?

di Diana Johnstone da Parigi

speciale per Consortium New

Traduzione di Giuseppe Volpe

 

Questo conflitto è essenzialmente incentrato sulle politiche che mettono pretese avide dei mercati finanziari davanti ai bisogni della gente.

 

Ballerini in sciopero si esibiscono all’entrata dell’Opera Garnier a Parigi il 24 dicembre 2018 (schermata di YouTUbe)

 

Il popolo è arrabbiato con il suo governo. Dove? Semplicemente dappertutto. Dunque che cosa rende così speciali gli scioperi in Francia? Nulla, forse, tranne una certa aspettativa basata sulla storia che le rivolte francesi possono produrre cose importanti o, in caso negativo, possono almeno contribuire a chiarire i temi dei conflitti sociali contemporanei.

L’attuale malcontento sociale in Francia risulta mettere una maggioranza dei lavoratori contro il presidente Emmanuel Macron. Ma poiché Macron è meramente uno strumento tecnocratico di un governo finanziario globale, il conflitto è essenzialmente una rivolta contro politiche per mettono le pretese avide dei mercati finanziari davanti ai bisogni della gente. Questo conflitto fondamentale è alla radice delle dimostrazioni settimanali dei dimostranti dei Gilet Gialli che stanno dimostrando ogni sabato da ben oltre un anno, nonostante la brutale repressione poliziesca. Ora sindacalisti, dipendenti del settore pubblico e Gilet Gialli manifestano insieme, mentre interruzioni parziali del lavoro continuano a turbare i trasporti pubblici.

Negli ultimi sviluppi, insegnanti di scuole parigine si stanno unendo alla rivolta. Persino la prestigiosa scuola privata secondaria, il Lycée Louis le Grand, è entrata in sciopero. Questo è significativo, perché persino un governo che mostra alcuno scrupolo nel rompere la testa a lavoratori malcontenti può esitare prima di colpire il cervello delle élite del futuro.

 

Sistema pensionistico

Per quanto generale sia il malcontento, la causa diretta di quello che è diventato il periodo più lungo di tumulti che si ricordi è un singolo problema: la determinazione del governo a rivedere il sistema previdenziale nazionale. Questo è solo uno degli aspetti del programma antisociale di Macron, ma nessun altro aspetta tocca semplicemente la vita di tutti tanto quanto questo.

Le pensioni francesi sono finanziate allo stesso modo della Previdenza Sociale statunitense. I dipendenti e i datori di lavoro versano una parte dei salari in un fondo che paga le pensioni attuali nell’aspettativa che i lavoratori di domani pagheranno le pensioni di quelli che lavorano oggi.

Il sistema esistente è complesso, con regimi particolari per 42 professioni differenti, ma funziona abbastanza bene. Così come stanno le cose, nonostante il crescente divario tra gli ultraricchi e quelli dai mezzi modesti, in Francia c’è una minore povertà disperata che, ad esempio, in Germania.

Il piano di Macron di unificare e semplificare il sistema mediante un sistema universale a punti afferma di migliorare l’”uguaglianza” ma lo fa al ribasso, non con un livellamento in alto. La spinta generale della riforma sta chiaramente nel far lavorare le persone più a lungo per pensioni inferiori. Pezzo per pezzo, le entrate e le uscite del sistema previdenziale sono spremute. Ciò ridurrà ulteriormente la percentuale del PIL che va a salari e pensioni.

L’esito calcolato: le persone, temendo la prospettiva di una vecchiaia senza soldi, si sentiranno obbligato a versare i loro risparmi in piani pensionistici privati.

 

Protesta dei GIlet Gialli a Bruxelles, dicembre 2018 (Pelle de Brabander, FLickr, CC BY 2.0 Wikimedia Commons)

 

Solidarietà internazionale

 In una rara dimostrazione di solidarietà internazionale vecchio stile della classe lavoratrice, sindacati belgi si sono fatti sentire in forte sostegno all’opposizione dei sindacati francesi alle riforme di Macron, anche offrendosi di contribuire a un fondo per lo sciopero dei lavoratori francesi. Il sostegno di lavoratori di un paese alla lotta di lavoratori di un altro paese era quanto soleva significare la solidarietà internazionale. E’ largamente dimenticato dalla sinistra contemporanea che tende a considerarlo in termini di apertura dei confini nazionali. Questo riflette perfettamente le aspirazioni del capitalismo globale.

La solidarietà internazionale del capitale finanziario è strutturale.

Macron è un banchiere d’investimenti la cui campagna è stata finanziata e promossa da banchieri d’investimento, tra cui investitori stranieri. Queste sono le persone che hanno contribuito a ispirare le sue politiche, che sono tutte mirate a rafforzare il potere della finanza internazionale e a indebolire il ruolo dello stato.

Il loro obiettivo consiste nell’indurre lo stato a cedere il processo decisionale al potere impersonale dei “mercati”, i cui criterio meccanico è il profitto piuttosto che considerazioni politiche soggettivi di stato sociale. Questa è stata la tendenza in tutto l’occidente dagli anni Ottanta e si sta semplicemente intensificando sotto il governo di Macron.

 

Il presidente Emmanuel Macron festeggia la vittoria della Francia sulla Croazia alla finale della Coppa del Mondo 2018 a Mosca (Cremlino)

 

L’Unione Europea è diventata il principale cane da guardia di questa trasformazione. Totalmente sotto l’influenza di esperi non eletti, ogni due anni la Commissione UE stila le “Guide Generali di Politica Economica” – in francese GOPE (Grandes Orientations des Politiques Economique) – che gli stati membri devono seguire. Il GOPE del maggio 2018 per la Francia “raccomandava” (si tratta di un ordine!) un insieme di “riforme”, tra cui la “standardizzazione” dei piani previdenziali, ufficialmente per migliorare “trasparenza”, “equità”, mobilità del lavoro e – ultimo ma decisamente non minore – “miglior controllo della spesa pubblica”. In breve, tagli al bilancio governativo.

La riforma economica di Macron è stata essenzialmente definita da Bruxelles.

Ma anche Wall Street è interessata. La squadra di esperti creata dal primo ministro Edouard Philippe per ideare le riforme economiche dell’amministrazione comprende Jean-Françoise Cirelli, capo del ramo francese di Black Rock, il gestore di investimenti da sette trilioni di dollari con sede a New York. Circa due terzi del capitale di Black Rock provengono da fondi pensione di tutto il mondo.

Larry Fink, il CEO statunitense di questo mostruoso mucchio di denaro, è stato il visitatore benvenuto al palazzo dell’Eliseo nel giugno del 2017, poco dopo l’elezione di Macron. Due settimane dopo, il ministro dell’economia, Bruno Le Maire, era a New York a consultarsi con Larry Fink. Poi, nell’ottobre del 2017, Fink ha guidato una delegazione di Wall Street a Parigi per un incontro confidenziale (rivelato da Le Canard Enchainé) con Macron e cinque ministri di vertice del suo gabinetto per discutere di come rendere la Francia particolarmente attrattiva per investimenti stranieri.

Larry Fink ha un evidente interesse alle riforme di Macron. Impoverendo gradualmente la previdenza sociale, il nuovo sistema è mirato a spronare un boom di piani previdenziali privati, un settore dominato da Black Rock. Questi piani sono privi della garanzia governativa della previdenza sociale. I piani pensionistici dipendono dai risultati del mercato azionario e se c’è un crollo, addio pensione. Contemporaneamente i gestori dei fondi giocano con i vostri soldi, prendendosene la loro fetta, qualsiasi cosa accada.

 

Non c’è nulla di cospirativo in questo. E’ semplicemente la finanza internazionale all’opera. Macron e ministri del suo gabinetto sono ansiosi di far investire Black Rock in Francia. Per loro è in questo modo che va il mondo.

Larry Fink, terzo da destra, riceve il premio Woodrow Wilson nell’aprile del 2010 (Wilson Center, CC BY-SA 3.0 Wikimedia Commons)

 

Il pretesto più cinico della riforma pensionistica di Macron è che unificare i vari regimi professionali in un singolo sistema universale a punti favorisca l’”uguaglianza”, anche se aumenta il divario tra i salariati e i super-ricchi che non hanno bisogno di pensioni.

Ma le professioni sono diverse. A Natale ballerine in sciopero hanno illustrato questo fatto eseguendo una parte del Lago dei Cigni sulle fredde pietre dell’entrata dell’Opera Garnier di Parisi. Sollecitavano l’attenzione del pubblico sul fatto che non possono aspettarsi di continuare a lavorare fino a sessant’anni, né possono farlo altre professioni che richiedono uno sforzo fisico estremo.

Le variazioni dell’attuale sistema pensionistico francese adempiono una funzione sociale. Alcune professioni, come l’insegnamento e l’assistenza infermieristica sono essenziali per la società, ma gli stipendi tendono a essere inferiore a quelli del settore privato. Queste professioni sono in grado di rinnovarsi assicurando stabilità nel posto e la promessa di una pensione confortevole. Si tolgano i “privilegi” e il reclutamento di insegnanti e infermieri competenti sarà ancora più difficile di quanto lo sia già. Attualmente il personale medico sta minacciando di andare in pensione en masse, poiché le condizioni negli ospedali stanno diventando insopportabili in conseguenza dei drastici tagli ai bilanci e al personale.

 

Esiste un’alternativa?

Il vero problema è una scelta di sistemi: per essere precisi, tra la globalizzazione economica e la sovranità nazionale.

Per motivi storici la maggior parte dei francesi non condivide l’ardente fede dei britannici e degli statunitensi nella mano invisibile del mercato. C’è una tendenza nazionale a un’economia mista, in cui lo stato abbia un forte ruolo determinante. I francesi non credono facilmente che le privatizzazioni siano migliori, meno che mai quando possono vedere che vanno peggio.

Macron è un ardente devoto della mano invisibile. Sembra attendersi che drenando risparmi francesi e destinandoli a un gigante internazionale degli investimenti quale Black Rock, Black Rock restituirà il favore pompando investimenti nel progresso tecnologico e industriale francese.

Nulla potrebbe essere meno certo. In occidente oggigiorno c’è un mucchio di credito a basso interesse, un mucchio di debito, ma gli investimenti sono raramente creativi. Il denaro è in larga misura usato per comprare ciò che c’è già: società esistenti, fusioni, scambi azionari (massicci negli Stati Uniti) e, per le singole persone, la casa. La maggior parte degli investimenti stranieri in Francia acquista cose come vigneti o si dirige a infrastrutture sicure come porti, aeroporti e autostrade. Quando la General Electric ha comprato l’Alstom ha presto infranto le sue promesse di mantenere l’occupazione e ha cominciato a tagliare. Sta anche privando la Francia del controllo su un aspetto essenziale della sua indipendenza nazionale: la sua energia nucleare.

In breve, gli investimenti stranieri possono indebolire la nazione in modi cruciali. In un’economia mista, le attività che producono profitti, quali le autostrade, possono accrescere la capacità del governo di far fronte a deficit periodici della previdenza sociale, tra l’altro. Con la privatizzazione, gli azionisti stranieri devono ricevere i loro utili.

Gli Stati Uniti, nonostante la loro devozione ideologica alla mano invisibile, in realtà hanno un settore industriale-militare fortemente sostenuto dallo stato, dipendente da stanziamenti del Congresso, da contratti del Pentagono, da leggi favorevoli e da pressioni sugli “alleati” perché acquistino armi prodotte negli Stati Uniti. Questa è in verità un’economia pianificata, che manca del tutto di soddisfare necessità sociali.

 

Dimostrazione a Montpellier, Francia, 8 dicembre 2018 (Valerian Guillot/Flickr)

 

Le regole dell’Unione Europea vietano che uno stato membro, quale la Francia, sviluppi una propria politica industriale civile, poiché tutto deve essere aperto all’incontrastata concorrenza internazionale. Utenze, servizi e infrastrutture devono essere tutte aperte a proprietari stranieri. Gli investitori stranieri possono non avvertire alcuna inibizione a prendersi i loro profitti consentendo contemporaneamente che questi servizi pubblici si deteriorino.

L’attuale perturbazione della vita quotidiana parte costringere il governo Macron a fare minori concessioni. Ma nulla può cambiare gli scopi fondamentali della sua presidenza.

Al tempo stesso l’arroganza e la brutale repressione del regime di Macron accrescono le richieste di un cambiamento politico radicale. Il movimento dei Gilet Gialli ha largamente adottato la richiesta sviluppata da Etienne Chouard di una nuova Costituzione che riconosca potere a referendum convocati dai cittadini, in breve una rivoluzione democratica pacifica.

Ma come arrivarci? Rovesciare un monarco è una cosa; ma rovesciare il potere della finanza internazionale è un’altra, specialmente in una nazione vincolata dai trattati UE e NATO. L’animosità personale nei confronti di Macron tende a proteggere l’Unione Europea da un’aspra critica della sua maggiore responsabilità.

Una rivoluzione elettorale pacifica richiede leader popolari con un programma chiaro. François Asselineau continua a diffondere la sua critica radicale della UE tra l’intellighenzia senza che il suo partito, la Union Populaire Républicaine, guadagni una qualsiasi forza elettorale significativa. Il leader di sinistra Jean-Luc Mélenchon ha la forza oratoria per guidare una rivoluzione, ma la sua popolarità pare aver sofferto per attacchi ancora più aspri di quelli scatenati contro Jeremy Corbyn nel Regno Unito o contro Bernie Sanders negli Stati Uniti. Con Mélenchon indebolito e nessun’altra personalità forte in vista, Marine Le Pen si è consolidata come principale sfidante di Macron alle elezioni presidenziali del 2022, con il rischio di presentare agli elettori la stessa scelta che hanno avuto nel 2017.

L’analisi di Asselineau, la massa strategica dei Gilet Gialli, l’oratoria di Mélenchon, le riforme istituzionali di Chouard… questi sono elementi che potrebbero teoricamente combinarsi (con altri ancora ignoti) per produrre una rivoluzione pacifica. Ma combinare elementi politici è un’alchimia difficile, specialmente nell’individualistica Francia. In assenza di grosse sorprese, la Francia pare diretta non a una rivoluzione, bensì a un lungo conflitto congelato.


Diana Johnston è autrice di ‘Fools’ Crusade: Yugoslavia, NATO and Western Delusions’


Da Znetitaly – Lo spirito della resistenza è vivo

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Originale: https://consortiumnews.com/2020/01/17/french-popular-uprising-revolution-or-frozen-conflict/

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