https://roarmag.org/

http://znetitaly.altervista.org/

19 giugno 2020

 

I Gilet Gialli e l’invenzione del futuro

di Pierre Dardot e Christian Laval

Traduzione di Giuseppe Volpe

 

La rivolta dei Gilets Jaunes è stata interpretata e analizzata molte volte in molti modi, a volte del tutto contrastanti. E’ stata largamente considerata, dalla destra specialmente e dalla maggior parte dei media dominanti, come un movimento quasi fascista, un forma di delinquenza collettiva incontrollabile, in una parola una minaccia alla democrazia e alle istituzioni esistenti.

Ma anche tra i generalmente simpatizzanti con i movimenti sociali, tra cui molti attivisti della sinistra, sono rimaste molto forti riserve nei confronti di nuove forme di azione politica e diffidenza riguardo a persone che quadrano politicamente, a volte inducendo anche a rifiutare sostegno a quelle che considerano lotte “impure”, “confuse” o “inaffidabili”. Che i Gilets Jaunes ispirino tali reazioni mostra la misura in cui il movimento ha sorpreso, imbarazzato, disorientato e persino preoccupato le persone. I Gilets Jaunes, in altre parole, sono un movimento che ha scosso gli schemi prestabiliti e i criteri di una “sociologia politica” ben consolidata.

Il principale fattore che ha scatenato le proteste, l’”imposta sul carbonio” sui carburanti, ha indotto alcuni a pensare che i Gilets Jaunes siano virulenti antiambientalisti che difendono il diritto degli automobilisti di inquinare il pianeta. Una cosa è certa: questa rivolta popolare è un evento politico che è significativo, considerando quanto a lungo è durato, quanto diffusamente è stato appoggiato dalla popolazione, quanto ha provocato e continua a provocare effetti sia politici sia sociali.

Ma soprattutto sono le caratteristiche uniche di questa rivolta a segnare un punto di svolta nella storia sociale e politica. Innanzitutto il suo scoppio spontaneo sui media sociali e la sua dinamica di auto-organizzazione. Secondo: la sua composizione sociologicamente diversificata di individui disorganizzati che spesso non avevano esperienze precedenti di mobilitazione collettiva e che provengono da una vasta gamma di posizioni nella società – professionisti salariati, pensionati, disoccupati, proprietari di piccole aziende – per non citare la massiccia presenza di donne. Terzo, le sue forme originali di azione: non più le tradizionali dimostrazioni sindacali sui “grand boulevards” di Parigi, ma invece l’occupazione di “rotatorie” dovunque in Francia e, ogni sabato, dimostrazioni, a volte violente, in bastioni simbolici della ricchezza come gli Champs Elysées di Parigi o i centri commerciali di altre grandi città di tutto il paese.

Molte discussioni si sono concentrate su come definire il movimento dei Gilets Jaunes: rivolta, insurrezione, jacquerie? Non c’è stata penuria di suggerimenti lessicali. La principale caratteristica della rivolta è probabilmente l’irruzione di voci dal basso in una sfera pubblica che le ha zittite tanto a lungo, persone di scarsi mezzi solitamente escluse da qualsiasi rappresentanza che ordinariamente sono gli oggetti piuttosto che i soggetti di decisioni politiche ed economiche e di processi finanziari. Tuttavia la sua caratteristica più essenziale è che questa rivolta popolare ha scoperto con successo nuovi modi per affrontare direttamente e senza compromessi la logica neoliberista globale.

Quella che colpisce, davvero, è l’acuta consapevolezza e lucidità di questi attori che non hanno dimenticato nulla del passato e che hanno riconosciuto la continuità che risale da Macron alle politiche di Sarkozy e Hollande prima di lui. Dall’inizio, molto coerentemente, hanno compreso perfettamente che tale logica essenzialmente accresce le disuguaglianze sociali e territoriali, in particolare tagliando le imposte ai più ricchi e contemporaneamente tagliando le provvidenze sociali e i servizi pubblici da cui i più poveri dipendono per sopravvivere. E’ indiscutibilmente l’accelerazione da parte di Macron del programma neoliberista, resa intollerabile dalle sue dichiarazioni provocatorie e dal suo atteggiamento sprezzante, che ha provocato la rivolta.

Il principale esito di questa rivolta è stato la costituzione di un nuovo soggetto collettivo che rifiuta di disassociare la lotta per la giustizia sociale, la lotta per l’ambiente e la ricerca di nuove forme pratiche di democrazia.

Per comprendere questa domanda di unità dobbiamo guardare alle caratteristiche della rivolta. Sono di due generi. Primo: anche se alcuni specialisti di scienze politiche vogliono considerarla unicamente con un “sintomo” supplementare della crisi della democrazia rappresentativa, dobbiamo piuttosto considerarla più positivamente come una critica attiva, acuta e radicale delle istituzioni politiche esistenti, o politiche istituite, con la loro professionalizzazione oligarchica. Secondo, anziché cercare tracce di movimenti del passato in Francia – rivolte degli affamati nell’Ancien Régimesans-culottes, boulangisme, eccetera – faremmo meglio a concentrarci sulle formazioni di nuove soggettività radicali derivanti da componenti popolari che fino allora erano “rese invisibili” dalla loro situazione geografica, dalla loro varietà di condizione socioeconomica, dalla loro distanza dal sistema politico, mediatico ed economico.

Queste nuove soggettività sono inseparabile dalle pratiche istituenti che, precisamente, hanno caratterizzato il movimento dei Gilets Jaunes. La rivolta ha sfidato, in modo pratico, i metodi, modi di organizzazione e discorsi classici della contestazione sociale. Molti commentatori hanno riconosciuto in questo tratti di debolezza e fattori di impotenza. Questa critica dell’istituito non è che l’altra faccia del suo carattere istituente, cioè l’invenzione di nuove forme di azione e organizzazione, che sostengono l’ipotesi di Laurent Jeanpierre nel suo saggio sulla rivolta della rotatorie, che questa rivolta segna l’inizio di un nuovo ciclo di contestazione sociale.

 

Tre rifiuti uniti

La rivolta dei Gilets Jaunes ha messo in discussione brutalmente e direttamente la politica e la rappresentanza istituite e lo ha fatto con tre rifiuti concomitanti.

Innanzitutto il rifiuto di organizzazioni esistenti. Il movimento è decollato indipendentemente da sindacati e partiti politici. Inoltre è un movimento che ha rifiutato esplicitamente di aderire alla tradizione dei movimenti sociali e popolari emersi da movimenti operai e socialisti – nel senso più ampio del termine – quali quelli sviluppatasi dal diciannovesimo secolo. Questo, per inciso, il motivo per il quale il movimento ha sconcertato e disorientato molti leader politici e sindacali che non hanno saputo che cosa fare con questo genere di rivolta atipica e “non approvata”.

Un aspetto del movimento che colpisce particolarmente deriva dal fatto che la questione delle relazioni capitale-lavoro non è stata presentata direttamente nelle rivendicazioni e persino la questione della disoccupazione e del peggioramento delle condizioni di lavoro non è stata centrale, contrariamente ad altri movimenti sociali degli anni recenti. Il bersaglio della rivolta non è stato il “capitalismo”, bensì piuttosto l’ingiustizia fiscale e sociale, percepita come principalmente responsabile di rendere difficile vivere con bassi redditi. Le rivendicazioni, logicamente, non sono state più dirette contro i “datori di lavoro” bensì contro Macron, lo stato e l’”oligarchia”, tutti mischiati insieme senza complimenti.

Secondo: il rifiuto di partecipare al gioco delle elezioni o a quello della delega a “portavoce”. La rivolta ha rifiutato dall’inizio di operare all’interno del quadro della “democrazia rappresentativa”. Non solo i partiti politici non sono stati invitati a partecipare al movimento, ma qualsiasi sostegno di un partito è stato denunciato come un “recupero” o un “tentativo di cooptare” il movimento. In conseguenza, che lo volessero o no, i partiti politici di sinistra e di destra hanno mantenuto la distanza dalla rivolta, relegati al ruolo di spettatore dello scontro tra il Gilets Jaunes e lo stato. Gli attivisti di estrema sinistra ed estrema destra coinvolti nel movimento l’hanno fatto più spesso indossando un gilet giallo essi stessi, mai rivendicando apertamente un’organizzazione o un’ideologia.

Terzo: il rifiuto della rappresentazione istituita della società diffusa e promossa dai discorsi dominanti. In effetti, non sono stati solo i partiti, i sindacati e le istituzioni rappresentative a essere rifiutati, ma più generalmente i discorsi politici e mediatici che dovevano “rappresentare” la società. Il discorso politico, in particolare, è stato giudicato troppo distante e troppo astratto, cioè troppo indifferente alla “vita reale” e dunque incapace di significare le condizioni concrete, vissute della “gente dal basso”. Questo rifiuto di alienazione politica e questa obiezione a “parole ricercate che non significano nulla” non sono stati meramente negativi.

Gilets Jaunes hanno cercato un modo per articolare una voce collettiva che potesse parlare schiettamente del motivo per cui è difficile guadagnarsi da vivere, della sofferenza sociale e di vicoli ciechi sociali ed economici in cui sono fine milioni di persone. Mobilitare la memoria storica della Rivoluzione Francese, emblemi e simboli come la bandiera nazionale, l’inno nazionale (la Marseillaise) ed espressioni come “il Popolo” ha molto aiutato le persone ad articolare questi problemi. Questa voce collettiva ha collegato in questo modo esperienze quotidiane con il ricordo di un evento storico fondativo cui le persone si relazionano più che con il disonesto “bla bla” dei politici.

 

Le pratiche istitutive o istituenti dei Gilets Jaunes

La rivolta è stata un’occasione per costruire un nuovo discorso politico ed è stata così molto sconcertante per quelli che si ritengono “rappresentanti legittimi” della società: politici, giornalisti, attivisti sindacali, eccetera. Contrariamente a quanto è stato detto, l’espressione collettiva non è stata “apolitica”. All’opposto, è stata “trasversale” o “apartidaire” o antipartitica, scegliendo invece di costruire un nuovo discorso politico dalle esperienze quotidiane, personali e locali.

Il soggetto collettivo di questo discorso non è stato una classe o un organismo professionale o un gruppo già costituito e riconosciuto, ma una massa di individui autoidentificati come un gruppo visibile e riconoscibile dal fatto di indossare un gilet che ogni automobilista ha in macchina e dal fatto di aver formato una comunità di esperienze, di somiglianze nelle loro vite e in quelle dei loro cari, figli, genitori, nonni, amici e vicini. Il principio del rifiuto della rappresentanza istituita – che può essere espresso come “nessuno ha il diritto di parlare per noi” – conduce a una voce politica che rifiuta la mediazione per essere meglio in grado di parlare delle vite quotidiane di milioni di persone povere o modeste.

E questa espressione di discorso diretto si accompagna a valori non negoziabili. Queste sono voci che rivendicano maggiore giustizia sociale e maggiore uguaglianza, senza mediazioni, senza portavoce, senza bersagli specifici. Ciò, tra l’altro, è quanto rende questa rivolta diversa dai movimenti sociali “classici” organizzati contro una decisione che colpisce una particolare categoria professionale, contro una legge che attacca un aspetto della vita sociale o una specifica misura politica e che, al meglio, ma sta diventando sempre più raro, conduce a un “negoziato”.

Le voci dei Gilets Jaunes non stanno semplicemente chiedendo la “fine dell’austerità” o difendendo questo o quel servizio pubblico minacciato o combattendo contro questa o quella riforma della previdenza. Il fatto considerevole è che dall’impennata dei prezzi dei carburanti, considerato totalmente ingiusto da tutti gli obbligati a prendere la propria auto per recarsi al lavoro, l’intero sistema delle disuguaglianze nella società e stato contestato e poi, molto rapidamente, l’intero sistema politico che legittima, mantiene e peggiora tale sistema di disuguaglianze.

La rivendicazione politica di uguaglianza e giustizia sociale è duplice: universale e locale. Si manifesta in due tipi di pratica. Il primo tipo sono le dimostrazioni ricorrenti ogni sabato che a volte si trasformano in rivolte a Parigi nel cuore stesso dei centri di potere e proprio del mezzo dei quartieri chic della capitale. E’ proclamata l’uguaglianza per tutti ed è denunciata l’ingiustizia sociale che colpisce tutti.

Il secondo tipo è l’occupazione delle rotatorie che sono esse stesse tanti appigli e ancore nel locale. Nelle baracche e nelle capanne costruite sui luoghi altrimenti anonimi che sono le rotatorie, le persone discutono modi diversi di proseguire la lotta, rivendicazioni, liste, priorità. E’ messa in atto una nuova logica di assemblee locali, quella che Laurent Jeanpierre chiama la “ri-politicizzazione del locale”, che egli collega al movimento delle piazze delle lotte delle ZAD. L’occupazione locale delle rotatorie è stata sia disseminata nell’intero territorio sia interconnessa con reti sociali che hanno reso possibile creare una lista nazionale di rivendicazioni e scegliere di concentrare la mobilitazione in diverse città regionali la scorsa primavera secondo un principio di “centralizzazione a rotazione”.

Innumerevoli pagine Facebook hanno contribuito a superare la repressione locale che ha abbattuto le capanne e posto fine all’occupazione delle rotatorie. Ma la cosa più sorprendente e forse più promettente è la logica federativa che ha condotto all’organizzazione di diverse “assemblee di assemblee” tenute ogni volta in luoghi diversi, quali CommercySaint-NazaireMontceau-les-Mines.

 

Una sfida e un inizio

Una rivolta interamente nuova e improbabile che ha infranto tutte le regole solite del conflitto sociale, il movimento dei Gilets Jaunes ha dimostrato l’esistenza di un enorme potenziale di rivolta contro crescenti disuguaglianze collegate al sistema neoliberista. Questo potenziale è esplosivo, nonostante il fatto che sia spesso mascherato quando la rabbia sociale è catturata dalla politica identitaria neofascista dell’estrema destra in quella che oggi è la tendenza dominante. Due aspetti di questo potenziale di rivolta meritano un’attenzione extra.

Mentre siamo testimoni, almeno all’apparenza, del crepuscolo delle organizzazioni tradizionali emerse dal socialismo e dal sindacalismo storico e che sembrano sin qui incapaci di reinventare sé stesse, stiamo vedendo l’emergere di nuove forme vaste e potenti di lotta per l’uguaglianza e la giustizia sociale i cui attori rifiutano di farsi espropriare da organizzazioni verticali e burocratiche o da leader carismatici, del tutto contrariamente alla “ragione populista” teorizzata piuttosto imprudentemente da Ernesto Laclau, per meglio sostenere la logica antidemocratica della rappresentanza politica.

Sotto questo aspetto il fatto nuovo è che la ricerca pratica di un movimento autorganizzato non è più la prerogativa di giovani precari, spesso dall’elevata istruzione, quali gli zadisti di Notre Dame des Landes, dei lavoratori intermittenti dell’industria francese dell’intrattenimento o degli agevolatori di Nuit debout; appartiene piuttosto a persone di categorie sociali molto diverse, molte delle quali, poiché private di una voce, era state presunte private di competenze politiche.

Naturalmente c’è una difficoltà pratica e costituisce la sfida più grossa che questi movimenti devono vincere: come possono queste forme inventive di democrazia radicale essere politicamente efficaci e durevoli senza rinunciare a principi cardine? Per porre la domanda in altro modo: l’originalità della rivolta dei Gilets Jaunes è stata la sua creazione di un “noi” mediante un segno visibile comune e attraverso collettività virtuali di scambi su Facebook, ma la logica federativa che ha cominciato a essere realizzata sarà in grado di svilupparsi oltre la pandemia in tal modo consentendo l’istituzione di un movimento nazionale conservando anche contemporaneamente le sue caratteristiche locali, decentrate e democratiche? La risposta pratica è apparsa durante le “assemblee di assemblee” del movimento.

L’appello dei Gilets Jaunes di Commercy – una cittadina del nord della Francia – a “creare l’assemblea delle assemblee, la Comune delle Comuni”, ha riunito delegati di diverse centinaia di assemblee popolari locali per riflettere collettivamente sulla questione dell’agevolazione di un movimento decentrato e per redigere un abbozzo iniziale di una federazione di comitati popolari che colleghino la democrazia diretta, l’ecologia e le richieste di uguaglianza. Che cosa emergerà da questa dinamica federativa?

Il secondo aspetto da tener presente è il modo in cui questo movimento ha affrontato e persino sventato l’ecologia neoliberista, che è destinata a diventare nei prossimi anni e decenni uno degli assi centrali del neoliberismo. Con “ecologia neoliberista” intendiamo designare tutti i discorsi e le politiche che consistono nell’imputare la responsabilità della crisi climatica in generale a comportamenti individuali e in particolare di membri delle classi popolari, creando anche, contemporaneamente incentivi e disincentivi fiscali il cui effetto complessivo è l’aumento delle disuguaglianze.

La gestione neoliberista della crisi climatica significa fondamentalmente incolpare ogni individuo in quanto individuo, quale che sia la sua classe sociale o il suo effettivo livello di responsabilità nel sistema economico e sociale. Questo rende possibile scaricare l’onere della pseudo “transizione ecologica del capitalismo” sulla maggioranza della popolazione, particolarmente dei più deboli di essa, assolvendo da ogni responsabilità  l’organizzazione della produzione e degli scambi capitalisti e i consumi delle classi ricche.

In questo senso la rivolta dei Gilets Jaunes è una delle prime mobilitazioni ad articolare la questione dell’uguaglianza e del clima, della giustizia sociale e della giustizia climatica. E’ indubbiamente anche la sua principale lezione alla sinistra globale.


Pierre Dardot è un filosofo e specialista di Hegel e Marx. I suoi libri più recenti – scritti insieme con Christian Laval – includono Common: On Revolution in the 21st Century (Bloomsbury, 2014), The New Way Of The World: On Neoliberal Society (Verso Books, 2017) e  Never-Ending Nightmare: The Neoliberal Assault on Democracy (Verso Books, 2019).


da Znetitaly – Lo spirito della resistenza è vivo

www.znetitaly.org

Fonte: https://zcomm.org/znetarticle/the-gilets-jaunes-and-the-invention-of-the-future/

top