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30 gennaio 2020

 

Gran Bretagna venuta e andata, lasciando l’Europa nel caos

di Diana Johnstone da Parigi –

Traduzione di Giuseppe Volpe

 

Mentre la Gran Bretagna torna alle incertezze del mare aperto, si lascia dietro un’Unione Europea governata burocraticamente per servire gli interessi del capitale finanziario.

 

Fiu! Alla fine il Regno Unito lascia formalmente l’Unione Europea il 31 gennaio. Qui a Parigi i campioni del ritiro francese dalla UE stanno festeggiando. Considerano la Brexit l’anticamera di una futura “Frexit”, un’uscita francese dal governo non democratico e l’inizio della fine di un progetto fallito di unificazione dell’Europa incentrata sulle pretese del capitalismo neoliberista.

Ma il paradosso è che i campioni dell’unificazione europea potrebbero festeggiare ancora di più, se non fosse troppo tardi. Poiché anni di appartenenza britannica hanno già contribuito a fare a pezzi il sogno originale di un’Europa unita, che si trattasse delle aspirazioni di unità politica dei federalisti o del progetto di una confederazione europea di stati indipendente promossa da Charles De Gaulle sessant’anni fa.

Allora, quando De Gaulle incontrava l’anziano cancelliere della Germania occidentale, Konrad Adenauer, per promuovere la riconciliazione franco-tedesca, i due anziani statisti pensavano in termini di lavorare gradualmente a un’associazione di stati centrali europei che avrebbero preservato la loro sovranità in seno a una confederazione, assicurando pace e cooperazione.

 

Il presidente francese Charles De Gaulle (a sinistra) e il cancelliere tedesco occidentale Konrad Adenauer nel 1961 (Bundesarchiv, CC-BY-SA 3.0, Wikimedia Commons)

 

Fin dall’inizio la questione dell’adesione britannica risultò una spina nel fianco dell’unità europea. All’inizio Londra si oppose al Mercato Comune. Nel 1958 il primo ministro Harold MacMillan la aggredì come “il Blocco Continentale” (alludendo alla politica europea di Napoleone nel 1806) e disse che l’Inghilterra non si sarebbe schierata a suo favore. Ma quando il progetto parve assumere forma, London cercò un accomodamento.

De Gaulle avvertì dall’inizio che la Gran Bretagna non apparteneva a un’Europa unificata, geograficamente, economicamente o soprattutto psicologicamente.

L’osservazione è diventata famosa: nel 1944, alla vigilia dell’invasione della Normandia, in un battibecco il primo ministro britannico Winston Churchill avrebbe dichiarato a De Gaulle che se la Gran Bretagna avesse dovuto scegliere, avrebbe preferito “il mare aperto” piuttosto che il continente europeo.

Ovviamente la Gran Bretagna ha perso da molto tempo sia Churchill sia il proprio impero. Ciò nonostante i britannici restano psicologicamente legati al loro status isolano, l’origine della loro schiacciante potenza marittima che costruì l’impero e che ha lasciato tracce di nazioni anglofone e relazioni commerciali preferenziali in tutto il mondo. Non si sentono normalmente parte del “continente” e la politica tradizionale del loro governo è sempre stata di mantenere il continente diviso e debole. Tale politica è stata trasmessa agli alunni di Londra a Washington, echeggiata nella descrizione della missione della NATO: “tenere fuori i russi, tener dentro gli statunitensi e tenere giù i tedeschi”, la battuta che dice la verità.

 

De Gaulle vedere un cavallo di Troia statunitense

Sessant’anni fa De Gaulle, che immaginava una confederazione europea come un modo per ottenere l’indipendenza dai liberatori statunitensi (che erano venuti per restare) vedeva molto chiaramente che il Regno Unito sarebbe stato il cavallo di Troia degli Stati Uniti nella comunità europea. Si chiama visione, la qualità di uno statista, una razza che pare defunta in occidente. Si oppose all’adesione britannica quanto a lungo poté, ma l’influenza statunitense era troppo grande. E, abbastanza curiosamente, gli ardenti federalisti europei si unirono nel promuovere l’adesione britannica, apparentemente inconsapevoli che tale adesione era totalmente incompatibile con l’unità politica che desideravano.

I leader britannici, fermamente attaccati al loro parlamento, alla loro monarchia, al loro sistema classista e al loro ruolo unico nel mondo – ora largamente trasmesso ai loro eredi di Washington – non avrebbero mai preso in considerazione una genuina unità politica con il continente. Ma, da nazione commerciale, volevano far parte di un’Europa che avrebbe favorito il libero scambio, punto.

Il Regno Unito chiese per la prima volta l’adesione nel 1961, in un periodo in cui [la comunità europea] era composta dal nucleo centrale costituito da Francia, Germania, paesi del Benelux e Italia.

Ma fino a quando De Gaulle restò presidente della Francia, ciò non fu possibile, nonostante il sostegno statunitense (gli Stati Uniti hanno sempre appoggiato l’allargamento, in particolare l’adesione turca, oggi considerata fuori discussione). Il Regno Unito entrò nella Comunità Economica Europea solo il 1° gennaio 1973, portando con sé sia l’Irlanda sia la Danimarca, un’altra promotrice del libero scambio.

Introdurre la Gran Bretagna fu un passo decisivo verso la trasformazione dell’Europa unificato in un vasto mercato libero, un passo verso la globalizzazione. Quello fu in effetti il programma di Jean Monnet, un uomo d’affari francese totalmente americanizzato che disegnò il percorso all’unità europea attraverso misure puramente economiche, indifferente alle questioni politiche. Ma ci volle il peso britannico per spingere fermamente l’Europa in tale direzione, lontano dall’idea originale del Mercato Comune (rimuovere la barriere commerciali solo tra Stati Membri) e vero un mercato aperto, con barriere commerciali minime, estendendo i vantaggi della sua dottrina della “libera concorrenza” a giganti quali gli Stati Uniti e la Cina.

 

Il neoliberismo imposta da Leon Brittan

 

Leon Brittan, nel febbraio del 2011 (Foreign and Commonwealth Office, Wikimedia Commons)

 

Nel 1989 il primo ministro britannico Margaret Thatcher nominò Leon Brittan alla carica di Commissario Europeo per la concorrenza,

dove rimase fino al 1999 quale responsabile del commercio e degli affari esterni. A Bruxelles la sua fu l’influenza più forte nel confermare il ruolo della UE quale esecutrice delle politiche neoliberiste. Al tempo stesso la Thatcher chiese “indietro i suoi soldi” e rafforzò la libertà del Regno Unito dai vincoli istituzionali europei.

 

Il Regno Unito non ha mai accettato l’accordo di Schengen sui confini della UE e ha rifiutato di abbandonare la sterlina per l’euro, una scelta saggia, indubbiamente. Ma anche sintomatiche dell’essenziale incapacità del Regno Unito di fondersi completamente con il continente.

Al tempo stesso, la presenza di Londra ha certamente contribuito alla totale incapacità della UE di sviluppare una politica estera che si distanziasse da quella di Washington. La Gran Bretagna ha appoggiato l’allargamento a est, che reso la UE più politicamente disunita che mai ed è stata la più forte sostenitrice della russofobia paranoica della Polonia e degli Stati Baltici che spinge altri paesi europei a un pericoloso conflitto con la Russia, contrario ai loro stessi interessi.

 

Errori propri della UE

Non che la Gran Bretagna sia responsabile di tutto ciò che oggi non va nell’Unione Europea. Un grosso errore fu commesso negli anni Ottanta dal presidente francese François Mitterand, quando insistette su una “moneta comune europea” sotto l’illusione che ciò avrebbe aiutato la Francia a contenere la Germania, quando è emerso che non solo ha prodotto il contrario ma che ha anche rovinato la Grecia e causa disastri in Portogallo, Spagna e Italia.

E c’è una quantità di altri errori che sono stati commessi, quali l’invito della cancelliera tedesca Angela Merkel a venire in Europa, ufficialmente indirizzato ai profughi di guerra siriani, ma interpretato da milioni di sfortunati in Medio Oriente e in Africa come inteso per loro.

E certamente c’è una minoranza di residenti nel Regno Unito che si identificano sinceramente con l’Europa e vogliono farne parte. Ma sono una minoranza. La Gran Bretagna ha per troppi secoli adorato e celebrato la sua unicità perché essa sia cancellata da complesse istituzioni impersonali.

 

Mentre la Gran Bretagna ritorna alle incertezze del mare aperto, si lascia dietro un’Unione Europea che è governata burocraticamente per servire gli interessi del capitale finanziario. Stati Membri, quali la Francia di Macron, sono governati in conformità ai decreti della UE contro la volontà dei loro popoli. L’appartenenza britannica ha contribuito a questa negazione della democrazia ma, paradossalmente, lo stesso popolo britannico è il primo a rifiutarla e a chiedere un ritorno a una piena sovranità nazionale.

Persino gli ardenti fautori dell’Unità Europea insistono sempre più nel volere “un’Europa differente”, riconoscendo che il progetto non ha prodotto le meraviglie che erano state promesse. Ma cambiare questa particolare Europa richiederebbe l’unanimità dei 27 stati membri restanti, e sempre più litigiosi.

 

E’ per questo che sta crescendo l’idea che possa essere ora di rinunciare a questa unione europea fallita e di ricominciare tutto daccapo, cercando gli accordi politici caso per caso tra democrazie sovrane piuttosto che un’unità economica non funzionale decretata da una burocrazia capitalista transnazionale.

 


Diana Johnstone è autrice di ‘Fools Crusade: Yugoslavia, NATO and Western Delusions’. Il suo libro più recente è ‘Circle in the Darkness: Memoirs of a World Watcher’ (Clarity Press, 2020). E’ anche autrice di ‘Queen of Chaos: the Misadventures of Hillary Clinton’. Le memorie del padre di Diana Johnstone, Paul H. Johnstone, ‘From MAD to Madness’ sono state pubblicate da Clarity Press, con i suoi commenti. Può essere raggiunta a diana.johnstone@wanadoo.fr.

 


da Znetitaly – Lo spirito della resistenza è vivo

www.znetitaly.org

Fonte: https://consortiumnews.com/2020/01/30/uk-came-went-leaving-europe-in-a-mess/

Traduzione di Giuseppe Volpe

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