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4 aprile 2020

 

La Chiesa contro il coronavirus: il mondo sulle spalle di Francesco

By Emanuel Pietrobon

 

Secondo appuntamento del dossier “Coronavirus: sfide e scenari”, incentrato sul contenuto dell’analista Emanuel Pietrobon, che ringraziamo per il suo primo contributo sull’Osservatorio, sul ruolo religioso, politico e simbolico della preghiera solitaria di Papa Francesco contro il coronavirus. Che si sviluppa in un’analisi sul ruolo della Chiesa nel mondo globalizzato.

 

Il 27 marzo ha avuto luogo un evento memorabile, che è già entrato nella storia: la messa straordinaria di Papa Francesco in una piazza san Pietro deserta. Lo scenario, già suggestivo di per sé, è stato ulteriormente arricchito dall’elevata dose di simbolismo che la gerarchia cattolica ha scelto di utilizzare e dall’effetto visivo garantito dalla pioggia incessante.

Spettacolo perfetto, curato nei minimi dettagli: si è parlato di tempesta sullo sfondo di un diluvio, si è parlato di fede vacillante e paura sullo sfondo della più grave pandemia della storia recente, che ha distrutto decenni di false sicurezze e obbligato miliardi di persone a rivedere le proprie esigenze, a modificare forzatamente il proprio stile di vita, si è fatto appello a Dio, un’entità invisibile e trascendente, in un’epoca che in Occidente significa irreligiosità, ultralaicismo e ateismo militante, ma che nel resto del tempo significa persecuzioni religiose, nuovi scismi, conflitti inter-religiosi, ascesa di fondamentalismi e nuove forme di spiritualità, risvegli identitari e terrorismo nel nome della fede.

Iconico è stato il momento in cui il pontefice si è diretto verso il crocifisso svettante sulla piazza più importante della cristianità occidentale, camminando faticosamente, con passo zoppicante e sotto la pioggia battente. Un’immagine che resterà impressa nell’immaginario collettivo per anni, decenni, perché simboleggia perfettamente la durezza del momento storico che sta vivendo l’umanità, ed anche la situazione che stanno affrontando la civiltà occidentale e la chiesa cattolica.

Il compito di uno statista non è mai semplice: su di lui pesa come un macigno la responsabilità di dover raggiungere, se non superare, le vette scalate dai predecessori. Nel caso della chiesa cattolica, si parla di dover ereditare il peso di due millenni di storia, due millenni di protagonismo indiscusso nella costruzione di intere civiltà, dall’Europa all’America Latina, sullo sfondo del contributo inestimabile dato all’arte, alla scienza, alla cultura, alle relazioni internazionali.

I pontefici vengono eletti per due motivi: preparare e guidare la transizione da un’epoca all’altra, e plasmare il nuovo mondo non appena la transizione finisce.

È così da (quasi) sempre: Pio XI ha preparato il terreno per lo storico papato di Pio XII, così come Giovanni XXIII ha gettato i semi per l’entrata della chiesa nella guerra fredda, poi vissuta pienamente da Paolo VI e Giovanni Paolo II, mentre mentre Benedetto XVI, il mite teologo, è stato sicuramente un pontificato di transizione.

Tornando alla funzione straordinaria del 27 marzo, la piazza vuota è anche la metaforica rappresentazione della condizione attuale della chiesa cattolica in Occidente, che ha smesso da diversi decenni di essere il baricentro della cristianità, optando per la fine della storia e, quindi, per l’acquisizione di una nuova identità a-identitaria. Neanche il compimento parziale delle profezie huntingtoniane sul risveglio delle civiltà ha avuto effetti sul dormiente e post-storico Occidente, e non è un caso che nel dopo-Ratzinger la chiesa cattolica abbia smesso di guardare e pensare ad esso come il proprio punto di riferimento.

Il futuro della chiesa è altrove, in quelle che l’attuale pontefice ha definito le “periferie del mondo”, ed è altamente probabile, anzi è sicuro, che non ci sarà alcun “effetto Francesco” nei paesi occidentali, perché il loro destino è inevitabilmente post-cristiano – e, conseguentemente, anche anti-cristiano (ma questo è un altro argomento ancora).

Un effetto Francesco non ci sarà neanche in America Latina, anche qui si tratta più di certezze che di probabilità, dove i cattolici stanno rapidamente diminuendo in ogni paese, dal Messico a Cuba, fino all’Argentina. Le complicità con le dittature militari e la lotta contro l’incompresa teologia della liberazione hanno spianato la strada per la de-cattolicizzazione, la strategia geo-religiosa di Washington e gli scandali sessuali e finanziari del clero hanno fatto il resto.

Ma allora, quali sono queste periferie di cui parla il pontefice? Sono l’Africa sub-sahariana e l’Asia meridionale ed orientale, due aree brulicanti di vita e fede, dalle quali proviene la stra-grande maggioranza dei nuovi sacerdoti, che poi vengono anche mandati in Europa per sopperire alla mancanza di clero autoctono.

La chiesa del futuro non parla inglese, ma cinese, hindi, swahili. La casta sacerdotale del futuro non è bianca, ma meticcia, nera, asiatica. Ed arriverà anche il giorno, magari proprio dopo la fine di questo pontificato rivoluzionario, per un successore di Pietro proveniente dal Sud globale “profondo”.

Nonostante il focus geopolitico della chiesa cattolica sia sempre più multipolare e sempre meno occidentalo-centrico, in queste settimane di tremenda crisi le parrocchie, le diocesi, le organizzazioni vescovili e gli enti legati al Vaticano, come la Caritas, stanno svolgendo un compito straordinario che, purtroppo, non sta ottenendo alcun riscontro mediatico. Più di 50 sono i sacerdoti morti in Italia, dall’inizio dell’emergenza sanitaria, per via del loro impegno in prima linea in aiuto degli anziani, dei senzatetto e degli ammalati.

Ed è proprio dalla scarsa visibilità che i media danno alla “chiesa in trincea” che si può comprendere quanto marcato sia l’incamminamento della vecchia Europa verso il post-cristianesimo. 

È anche emblematico che la diplomazia vaticana, mondialmente nota per le incredibili capacità di mediazione nei conflitti, ottenga sempre meno risultati nel Vecchio Continente ma che, invece, sia vera e propria “fonte di storia” nel resto del mondo. 

Si pensi agli appelli vani e inascoltati di Giovanni Paolo II riguardo l’inserimento del cristianesimo nella costituzione europea, nonostante l’avesse protetta impegnandosi a far crollare l’impero sovietico, e riguardo la guerra in Iraq. Più recentemente, si pensi al tentativo non andato in porto di Papa Francesco di fermare il governo montenegrino dall’implementazione della controversa legge sull’espropriazione dei beni religiosi.

E per quanto riguarda la “fonte di storia”, si pensi ai risultati ottenuti dall’attuale pontefice nel resto del mondo: l’accordo di pace fra il governo colombiano e le FARC, l’accordo sulla nomina dei vescovi in Cina, la fine virtuale dello scisma con le chiese orientali e l’impegno congiunto nella protezione dei cristiani perseguitati in Medio oriente, e il documento sulla fratellanza umana siglato con la massima autorità dell’islam sunnita, il grande imam di Al-Azhar.

Fallimenti e successi che sono il semplice riflesso delle trasformazioni geo-religiose in corso nel mondo. È chiaro che la diplomazia vaticana avrà sempre meno credito e influenza in Occidente, appunto perché società e politica hanno superato la fase della secolarizzazione e sono diventate post-cristiane, ma potrà, e dovrà, aiutare il mondo a correre verso una nuova era, l’era multipolare.

 

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