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3 luglio 2020

 

I sei mesi che hanno cambiato gli Stati Uniti

di Alessio Marchionna

giornalista di Internazionale

Impoveriti, arrabbiati, spaccati all’interno e con una lunghissima lista di nemici all’esterno. Gli Stati Uniti stanno vivendo una crisi epocale. Come ci sono arrivati? La pandemia e le proteste per la morte di George Floyd hanno fatto esplodere le tensioni, ma la situazione attuale è il frutto di tante piccole crisi, alcune passate quasi inosservate, che si sono innestate l’una sull’altra. Quello che segue è il racconto dei 180 giorni che hanno trasformato gli Stati Uniti in un paese diverso, non necessariamente peggiore.

 

Gennaio Guerra dentro e fuori

Gli Stati Uniti cominciano il nuovo anno con una dichiarazione di guerra. A fine dicembre 2019 un contractor civile statunitense è stato ucciso in un attacco contro una base militare irachena a Kirkuk, e Washington ha subito dato la colpa a Kataib Hezbollah, una milizia sostenuta dall’Iran. Trump ha sempre detto di non voler restare impantanato in Medio Oriente come è successo ai suoi predecessori, ma non vuole mostrarsi debole di fronte a uno dei suoi principali nemici. I suoi collaboratori gli mettono sulla scrivania un documento con le possibili risposte. Il presidente, sorprendendo tutti, sceglie la più estrema: il 3 gennaio un drone statunitense bombarda l’aeroporto di Baghdad, uccidendo Qassem Soleimani, capo delle forze d’élite Al Quds dei Guardiani della rivoluzione. Trump è convinto che la morte di uno dei più importanti leader iraniani, insieme a sanzioni economiche sempre più severe, metterà in ginocchio l’Iran e costringerà il suo governo a negoziare un nuovo accordo sul programma nucleare che sostituisca quello firmato da Barack Obama, e che Trump ha deciso di abbandonare a maggio del 2018.

Il 15 gennaio il presidente compie un altro passo apparentemente storico: invita alla Casa Bianca Liu He, vicepremier della Repubblica popolare cinese, con cui firma un accordo preliminare per mettere fine alla guerra commerciale tra i due paesi cominciata nel 2017. Trump crede che i risultati in politica estera faranno crescere la sua popolarità in vista della sfida più importante e pericolosa che un presidente statunitense possa trovarsi ad affrontare: l’impeachment.

Il 16 gennaio comincia il processo al senato. Trump è stato incriminato dalla camera, dove i democratici sono in maggioranza, con le accuse di abuso di potere – avrebbe chiesto al presidente ucraino di aprire un’inchiesta contro Joe Biden, possibile candidato del Partito democratico alle presidenziali di novembre del 2020 – e per aver ostacolato le indagini del congresso su quest’inchiesta. La tensione politica è alta anche fuori dal palazzo. Il 20 gennaio 22mila persone, molte armate fino ai denti, partecipano a un raduno a Richmond, in Virginia, per protestare contro la proposta del governo statale di limitare il possesso di armi. Da quando un uomo armato ha ucciso dodici persone a Virginia Beach, nel maggio del 2019, il governatore Ralph Northam, democratico, sta cercando di approvare qualche timida misura per ridurre la diffusione delle armi d’assalto.

Il 24 gennaio si tiene a Washington la marcia annuale per la vita, organizzata dai gruppi antiabortisti, e Trump diventa il primo presidente della storia a partecipare a quest’evento. Negli stessi giorni i giornali riportano una notizia che si perde nel caos della battaglia politica: i Centri per il controllo e la prevenzione delle malattie (Cdc, la massima autorità sanitaria del paese) registrano il primo caso di covid-19 negli Stati Uniti:è un uomo sulla trentina che vive a nord di Seattle, nello stato di Washington, tornato recentemente dalla città cinese di Wuhan.

Il 26 gennaio, in un incidente in elicottero a Los Angeles muore l’ex giocatore di basket Kobe Bryant, uno degli sportivi più popolari della storia americana, insieme a sua figlia di tredici anni e ad altre sette persone.

Tre giorni dopo Trump sbandiera un nuovo successo di politica estera, l’accordo commerciale con Messico e Canada che sostituisce il trattato Nafta, firmato negli anni novanta. Il 31 gennaio i Cdc confermano il primo caso di trasmissione del virus Sars-cov-2 negli Stati Uniti. Lo stesso giorno il presidente vieta l’ingresso nel paese alle persone provenienti dalla Cina o che hanno visitato il paese nelle due settimane precedenti. Inoltre estende il travel ban, il divieto di ingresso alle persone provenienti da alcuni paesi, per includere Eritrea, Kirghizistan, Birmania, Nigeria, Sudan e Tanzania.

Compressed by jpeg-recompressLa presidente della camera Nancy Pelosi straccia la copia del discorso sullo stato dell’unione di Donald Trump. Washington, 4 febbraio 2020. (Jonathan Ernst, Reuters/Contrasto)

 

Febbraio Vendetta e linciaggio

In Iowa, il 3 febbraio, cominciano le primarie del Partito democratico per scegliere il candidato alle elezioni di novembre. I candidati sono tanti, il partito è spaccato tra moderati e radicali, l’incertezza è totale. La notizia principale è che il sistema di conteggio dei voti si inceppa e i risultati ufficiali arriveranno solo dopo molti giorni. A sorpresa vince Pete Buttigieg, ex sindaco di una piccola città dell’Indiana, con più voti del senatore socialista Bernie Sanders. Joe Biden, vicepresidente durante l’amministrazione Obama, sembra in grande difficoltà.

Il giorno dopo Trump pronuncia il suo terzo discorso sullo stato dell’unione al congresso. Il presidente entra nell’aula con i parlamentari repubblicani che intonano il coro “quattro anni ancora”, mentre le parlamentari democratiche sono vestite di bianco per ricordare le battaglie delle donne per il diritto di voto. Tra gli invitati ci sono Juan Guaidó, che a gennaio del 2019 si è autoproclamato presidente del Venezuela, e il conduttore radiofonico di destra Rush Limbaugh, a cui Trump consegna la medaglia presidenziale della libertà, una delle massime decorazioni degli Stati Uniti. Il presidente parla per 78 minuti sottolineando i suoi successi in politica estera e l’ottimo stato dell’economia. A proposito del covid-19 dice: “Stiamo comunicando con le autorità cinesi. Farò qualunque cosa per salvaguardare la salute dei cittadini statunitensi”. Quando Trump finisce di parlare Nancy Pelosi, presidente della camera, democratica, straccia platealmente la sua copia del discorso del presidente.

Il 5 febbraio il senato controllato dai repubblicani assolve Trump da tutte le accuse. Per il presidente è il momento della vendetta. Ordina di licenziare Alexander Vindman, colonnello dell’esercito che fa parte del consiglio per la sicurezza nazionale, e Gordon Sondland, ambasciatore degli Stati Uniti alle Nazioni Unite. Entrambi avevano testimoniano durante il processo di impeachment, confermando le pressioni di Trump sul governo ucraino perché aprisse un’inchiesta su Biden. Inoltre il presidente ordina al ministro della giustizia Bill Barr di chiedere una condanna clemente per Roger Stone, uno dei suoi più fedeli alleati. Tutto lascia pensare che Trump stia usando il suo potere per aiutare un amico che è finito nei guai mentre cercava di dargli una mano.

Il 9 febbraio per la prima volta un film straniero vince l’Oscar per il miglior film. È Parasite, del regista sudcoreano Bong Joon-ho, che racconta le disuguaglianze attraverso le storie di una famiglia povera e di una ricca di Seoul. Pochi giorni dopo l’ex produttore cinematografico Harvey Weinstein viene dichiarato colpevole di stupro di terzo grado per una violenza commessa nel 2013 e di atti sessuali criminali di primo grado per un episodio del 2006.

Sul fronte democratico Bernie Sanders vince le primarie in New Hampshire e in Nevada, diventando il favorito nella corsa alla nomination.

Il 14 febbraio arriva la notizia della prima persona morta di covid-19 fuori dalla Cina, un turista cinese di ottant’anni che si trovava in Francia. La paura di una pandemia fa crollare il Dow Jones industrial average, l’indice che misura l’andamento di trenta grandi compagnie quotate in borsa negli Stati Uniti. Il Washington Post scrive che a gennaio Alex Azar, capo del dipartimento della salute e dei servizi umani, ha lanciato l’allarme sulla carenza “preoccupante” negli Stati Uniti di forniture mediche essenziali come mascherine, guanti e camici, e ha chiesto maggiori fondi. Inoltre si viene a sapere che i Cdc hanno distribuito agli operatori sanitari di tutto il paese un test difettoso, e che i laboratori indipendenti che avevano provato a sviluppare autonomamente delle alternative sono stati bloccati dalla burocrazia.

Il 23 febbraio succede qualcosa di cui nessuno parlerà per molto tempo. A Brunswick, in Georgia, Ahmaud Arbery, un afroamericano di 25 anni viene inseguito e ucciso da due uomini bianchi, Gregory McMichael, ex detective della procura locale, e suo figlio Travis. Alla polizia i McMichael dicono di aver sparato perché convinti che Arbery fosse il ladro colpevole di una serie di rapine nella zona.

Il 29 febbraio a Doha, in Qatar, l’amministrazione Trump firma un accordo provvisorio con i taliban afgani che prevede il ritiro delle forze statunitensi dal paese e, di fatto, lo consegna al gruppo fondamentalista. Lo stesso giorno si registra il primo morto di covid-19 negli Stati Uniti, un uomo che viveva nello stato di Washington. In totale i casi nel paese sono 66, e durante una conferenza stampa Trump sostiene di avere la situazione sotto controllo. Joe Biden vince le primarie in South Carolina, soprattutto grazie al voto degli afroamericani, tornando in corsa per la nomination.

 

Marzo Lo sfidante e il virus

Compressed by jpeg-recompressAmy Klobuchar, senatrice del Minnesota, si ritira dalla corsa alle presidenziali per sostenere la candidatura di Joe Biden. Dallas, Texas, 2 marzo 2020. (Eric Thayer, Reuters/Contrasto)

 

Il mese comincia con Pete Buttigieg, uno dei candidati moderati alle primarie democratiche, che si ritira dalla corsa per appoggiare Biden. Il giorno dopo Amy Klobuchar, senatrice del Minnesota, anche lei moderata, decide di fare lo stesso. È il segno dell’inquietudine dell’establishment democratico, da una parte preoccupato per la deriva autoritaria di Trump, dall’altro spaventato dalla possibilità che Bernie Sanders prenda il controllo del partito. L’appello dei dirigenti democratici agli elettori a fare quadrato intorno a Biden funziona. Il 3 marzo, in occasione del cosiddetto super martedì, 14 stati vanno al voto. Biden ne conquista dieci e guadagna un vantaggio importante su Bernie Sanders.

Il 4 marzo i casi registrati di covid-19 sono 130, con dieci morti nello stato di Washington e uno in California. Il 21 marzo superano i 1.500, dodici stati chiudono le scuole e le principali leghe sportive sospendono la stagione. Il dipartimento per la salute e le risorse umane ordina nuovi ventilatori per circa cinque miliardi di dollari, con consegna prevista solo verso la fine di aprile. Dopo che l’Organizzazione mondiale della sanità dichiara l’Europa nuovo epicentro della pandemia, Donald Trump blocca gli ingressi negli Stati Uniti alle persone provenienti da 26 paesi europei.

Quello stesso giorno, intorno a mezzanotte, quattro poliziotti del dipartimento di Louisville, in Kentucky, sfondano con un ariete la porta dell’appartamento di Breonna Taylor, un’operatrice sanitaria afroamericana di 26 anni. Gli agenti, che hanno ottenuto dal giudice un mandato per entrare in casa senza avvertire, stanno indagando su un traffico di droga. Secondo loro a gennaio uno spacciatore sarebbe entrato in quell’appartamento con un pacco. Quando sente buttare giù la porta, Kenneth Walker, il fidanzato di Taylor, prende la sua pistola e spara verso gli agenti, ferendone uno alla gamba. I poliziotti rispondono sparando alla cieca almeno venti colpi. Taylor, che si trova in camera da letto, viene colpita da otto proiettili. Perquisendo l’appartamento i poliziotti non trovano sostanze stupefacenti.

Il 13 marzo Trump dichiara lo stato d’emergenza, che gli concede maggiori poteri per combattere la pandemia. Quattro giorni dopo, con il primo caso registrato in West Virginia, il virus si è ufficialmente diffuso in tutti i cinquanta stati. I contagi sono più di cinquemila e raddoppiano ogni tre giorni. Mentre il presidente continua a minimizzare la pericolosità del virus, nella maggior parte degli stati vengono imposte misure di distanziamento sociale. Il timore di disordini sociali fa aumentare dell’85 per cento le vendite di armi.

Il presidente firma il Families first coronavirus response act, una legge approvata velocemente dal congresso – in un raro momento bipartisan tra repubblicani e democratici – per rispondere all’impatto economico dell’epidemia. Il provvedimento prevede l’introduzione di congedi per malattia, nuovi sussidi per le fasce più deboli e investimenti per fare tamponi gratuiti alla popolazione.

Joe Biden vince le primarie in Florida, in Arizona e in Illinois, assicurandosi la vittoria nelle primarie democratiche.

Il 26 marzo arriva la notizia che 3,3 milioni di statunitensi hanno chiesto il sussidio di disoccupazione, il dato più alto nella storia recente del paese. Il giorno dopo il congresso approva una manovra da duemila miliardi di dollari che prevede assegni da 1.200 dollari per ogni adulto. A fine marzo i contagi sono più di centomila e gli Stati Uniti sono il paese con più persone positive al mondo. La città più colpita è New York, che registra 26mila casi e circa 500 morti. Tra gli stati più colpiti c’è il Michigan – numeri preoccupanti arrivano da Detroit – che a fine mese registra 184 morti. La governatrice Gretchen Whitmer dichiara lo stato d’emergenza e chiede aiuto al governo federale. Si diffonde la notizia che alcuni stati – tra cui Texas e Ohio – stanno approfittando della pandemia per limitare il diritto all’aborto.

Il 31 marzo gli scienziati che assistono l’amministrazione Trump nell’emergenza sanitaria rendono noto un rapporto secondo cui la pandemia potrebbe causare la morte di un numero compreso tra 100mila e 240mila persone, e molte di più se non fossero osservate le linee guida che prevedono l’isolamento in casa e il distanziamento sociale. Sulla base di questi numeri il presidente sembra prendere sul serio la situazione ed estende fino a fine aprile le misure di distanziamento sociale.

Negli stessi giorni il dipartimento della giustizia incrimina per narcotraffico e terrorismo il presidente venezuelano Nicolás Maduro, offrendo 15 milioni di ricompensa a chi fornisca informazioni utili al suo arresto. Trump chiude il mese annunciando la cancellazione dei limiti sulle emissioni delle auto imposti dall’amministrazione Obama. Sono almeno cento, secondo il New York Times, le norme ambientali cancellate o modificate da quando lui è alla Casa Bianca.

A fine marzo più del 47 per cento degli statunitensi è soddisfatto della presidenza Trump, il dato più alto dal giorno del suo insediamento.

 

Aprile In parlamento con le armi

Compressed by jpeg-recompressDurante la protesta nel parlamento di Lansing, Michigan, per chiedere la fine del lockdown, il 30 aprile 2020. (Seth Herald, Reuters/Contrasto)

 

Gli Stati Uniti sono diventati l’epicentro mondiale della pandemia. Nonostante questo il 7 aprile in Wisconsin si tengono le primarie del Partito democratico. Il governatore democratico ha provato ad annullarle, ma i repubblicani che controllano il parlamento si sono opposti. L’affluenza alle urne è bassissima, vince Joe Biden, e il giorno dopo Bernie Sanders si ritira dalla corsa.

L’11 aprile si registrano più di duemila morti per covid-19 e gli Stati Uniti diventano il paese con più decessi (più di ventimila), superando l’Italia. Alcuni dei principali focolai sono le prigioni. Il New York Times scrive che in Illinois almeno 353 casi di covid-19 possono essere fatti risalire a persone che si trovano o si trovavano nel penitenziario della contea di Cook. In realtà nessuno sa con precisione quanti detenuti si siano ammalati, perché in poche carceri vengono fatti i tamponi. Sempre più criticato per la gestione dell’emergenza sanitaria e preoccupato che la crisi economica causata dalla pandemia possa costargli la rielezione a novembre, Donald Trump va in cerca di nemici. Il 14 aprile annuncia che taglierà i fondi all’Organizzazione mondiale della sanità, accusata di essere “filocinese” e di non aver saputo rispondere all’epidemia.

Sul fronte interno va allo scontro aperto con i governatori degli stati che chiedono cautela sulla fine del distanziamento sociale e sulle riaperture delle attività economiche. Durante una conferenza stampa dice che spetta a lui decidere quando riaprire (“La mia autorità è totale”). Molti governatori, guidati da Andrew Cuomo di New York, lo stato più colpito dalla pandemia, sostengono che sia sbagliato riaprire tutto all’improvviso, e cominciano a collaborare tra loro per adottare un piano graduale per la ripresa economica. Trump sembra voler abbassare i toni, ma poi si schiera con i manifestanti che protestano contro il distanziamento sociale. Le dimostrazioni sono spesso organizzate da gruppi di estrema destra convinti che il covid-19 sia frutto di un complotto internazionale. Le più grandi si svolgono a Lansing, la capitale del Michigan, dove migliaia di persone, molte delle quali armate, scendono in strada impedendo alle ambulanze di passare e scandendo slogan come “Vivi libero o muori” e “Make Michigan great again”. Alcuni stati cedono alle pressioni di Trump. Il 17 aprile il Texas diventa il primo stato ad allentare le restrizioni, seguito da alcune contee della Florida.

La situazione economica precipita. Il 20 aprile, per la prima volta nella storia, il prezzo dei contratti future sul petrolio statunitense diventa negativo. Vuol dire che i produttori sono disposti a pagare gli acquirenti pur di disfarsi dei barili di greggio che non riescono a immagazzinare. A fine mese gli statunitensi rimasti senza lavoro sono trenta milioni, il 18 per cento della forza lavoro. Una foto con migliaia di macchine fuori da un banco alimentare a San Antonio fa il giro del mondo. I dati mostrano che tra gli afroamericani l’indice di disoccupazione aumenta più che tra i bianchi. A essere colpite sono soprattutto le donne nere, un quinto delle quali ha perso il lavoro tra febbraio e aprile. Gli afroamericani, insieme agli ispanici, sono anche il gruppo più colpito dal covid-19: anche se formano solo il 13 per cento della popolazione, i neri rappresentano circa il 33 per cento dei contagiati. Inoltre hanno indici di mortalità più alti, perché sono mediamente più poveri e con più possibilità di avere disturbi respiratori che fanno aumentare il rischio di morire di covid-19.

Trump risponde sigillando il paese, ancora convinto di combattere contro un nemico esterno. Firma un ordine esecutivo che sospende per sessanta giorni la concessione di alcuni permessi di lavoro permanenti, sostenendo che questa misura aiuterà i lavoratori statunitensi rimasti disoccupati. Nel frattempo il confine con il Messico è stato chiuso e le autorità di frontiera hanno praticamente smesso di valutare le richieste d’asilo. Continuano invece le espulsioni di immigrati senza documenti, che rischiano di innescare focolai nei paesi di arrivo: i siti d’informazione riportano infatti che decine di persone espulse in Guatemala sono risultate positive al tampone. Al contrario, gli immigrati irregolari impiegati nell’industria della carne non solo possono restare negli Stati Uniti ma devono continuare a lavorare. Il 29 aprile Trump invoca il Defence production act – una legge creata ai tempi della guerra di Corea per mobilitare le industrie intorno allo sforzo bellico – così da tenere aperti gli impianti dove si allevano e macellano polli e maiali. Queste strutture – dove lavorano molti centroamericani e asiatici – sono tra i principali focolai del paese. Quanto alla crisi sanitaria, durante una conferenza stampa Trump propone di iniettare disinfettante nel corpo delle persone malate di covid-19 o di esporle ai raggi ultravioletti.

Il mese si chiude con centinaia di persone armate di fucili semiautomatici che entrano nel parlamento di Lansing per chiedere la fine del lockdown. La polizia non interviene per timore che si scateni un conflitto armato. La governatrice dello stato del Michigan conferma ed estende lo stato d’emergenza.

 

Maggio Il fuoco

È il 3 maggio quando Nina Pop, una transessuale afroamericana di 28 anni, viene trovata morta, accoltellata, nel suo appartamento a Sikeston, in Missouri. È il decimo omicidio di una persona transgender dall’inizio dell’anno. Nel mese precedente ce ne sono stati cinque, e in tutti i casi la vittima era nera o ispanica.

Il 5 maggio un avvocato della famiglia di Ahmaud Arbery, il ragazzo nero ucciso da due bianchi in Georgia, diffonde alcuni video che mostrano i suoi ultimi momenti di vita. Le immagini smentiscono la versione degli accusati e la ricostruzione della procura. Si vede Arbery entrare dentro una casa in costruzione e uscirne subito dopo correndo. Gregory e Travis McMichael salgono su un pick-up e lo inseguono per alcuni minuti. Lo raggiungono, c’è una colluttazione in cui Arbery cerca di difendersi da uno dei due uomini armati, che gli spara, uccidendolo. Il video si diffonde rapidamente e vengono organizzate proteste per chiedere giustizia. La rabbia dei manifestanti è rivolta soprattutto al procuratore locale, che aveva creduto alla tesi della legittima difesa invocata da padre e figlio e si era rifiutato di arrestarli, concentrandosi invece sui precedenti (taccheggio e violazione della libertà vigilata) di Arbery. Si scopre che fino a un anno prima Gregory McMichael aveva lavorato per la procura, collaborando con il figlio del procuratore incaricato del caso Arbery. L’indignazione porta all’arresto dei McMichael, accusati di omicidio e aggressione aggravata.

Non risuonano allo stesso modo le richieste di giustizia della famiglia di Breonna Taylor, l’operatrice sanitaria uccisa il 12 marzo a Louisville. “Nessuno mi ha detto niente. Nessuno mi ha spiegato niente”, dice sua madre Tamika Palmer in un’intervista alla stampa locale. Trova poco spazio anche la notizia della morte di Dreasjon Reed, inseguito e ucciso dalla polizia a Indianapolis, e ancora meno la storia di Carlos Ernesto Escobar Mejia, la prima vittima di covid-19 in un centro di detenzione per migranti. Le organizzazioni per i diritti dei migranti denunciano che ci sono centinaia di casi nelle strutture gestite dalla polizia di frontiera, e chiedono invano di liberare le persone che vi sono trattenute.

L’attenzione è sulle pressioni di Trump per riaprire al più presto le attività economiche. Mentre Palmer parla con i giornalisti a Louisville, Anthony Fauci, il principale esperto della Casa Bianca, testimonia davanti al senato. Spiega che il paese non è pronto per uscire dal lockdown, e che se dovesse farlo troppo presto le conseguenze sarebbero disastrose. Il suo allarme passa inascoltato. A metà maggio gli Stati Uniti viaggiano veloci verso quota centomila morti, ma la maggior parte degli stati si prepara a riaprire i negozi tra fine maggio e inizio giugno. Trump rassicura gli americani sostenendo che il virus sparirà con il caldo e dice che da due settimane, per prevenire il covid-19, sta prendendo l’idrossiclorochina, un farmaco la cui efficacia contro questa malattia non è stata dimostrata e che potrebbe avere gravi effetti collaterali. Parallelamente moltiplica gli attacchi contro la Cina, nell’ennesimo tentativo di trasformare una crisi interna in un complotto internazionale contro di lui. Ma stavolta non funziona, la tensione accumulata è troppa e la società è vicina al punto di rottura.

La miccia si accende il 25 maggio a Minneapolis, in una giornata insolitamente calda. George Floyd, un afroamericano di 46 anni, muore soffocato sotto il ginocchio di Derek Chauvin, un poliziotto bianco con precedenti per abuso di violenza contro neri disarmati. Tutto il paese – tutto il mondo – vede Floyd, che come milioni di americani ha perso il lavoro a causa della pandemia, morire mentre invoca la madre morta e dire almeno 16 volte “non riesco a respirare”. Chauvin resta con il ginocchio sul suo collo per 8 minuti e 46 secondi, anche dopo che Floyd ha perso conoscenza, e intanto guarda con aria di sfida verso il telefono che lo sta riprendendo. Gli altri agenti – Thomas Lane, J. Alexander Kueng e Tou Thao – osservano la scena senza intervenire.

Il 26 maggio il dipartimento di polizia di Minneapolis rende noto un comunicato in cui sostiene che Floyd è morto per un “incidente medico”. Il sindaco Jacob Frey, giovane e democratico, condanna il comportamento della polizia e promette che sarà fatta giustizia, ma non può placare la rabbia di chi sta già scendendo in piazza. All’inizio le proteste sono pacifiche, poi scoppiano disordini, vengono saccheggiati dei negozi, un commissariato viene dato alle fiamme, la polizia risponde con lacrimogeni e proiettili di gomma. Il 28 maggio, quando in città viene proclamato lo stato d’emergenza e chiesto l’intervento della guardia nazionale, nel paese si supera la soglia dei centomila morti di covid. Il 29 maggio Chauvin è incriminato con l’accusa di omicidio. Su Twitter il presidente Trump invita la polizia a sparare sui manifestanti (“When the looting starts, the shooting starts”) alimentando una rabbia che si è ormai diffusa in tutto il paese. Vengono organizzate proteste in decine di città. In molte – Los Angeles, Filadelfia, New York, Atlanta – viene imposto il coprifuoco.

L’ultimo giorno del mese, sulla base di notizie non confermate di disordini causati dai gruppi di sinistra, il presidente inserisce i gruppi antifa nella lista delle organizzazioni terroristiche. Chiude invece un occhio sui militanti di estrema destra arrestati durante le manifestazioni a Minneapolis.

Sul fronte internazionale annuncia che gli Stati Uniti si ritireranno dal Trattato sui cieli aperti, un accordo in vigore dal 2002 per promuovere la trasparenza sulle attività militari dei paesi membri.

 

Giugno Un paese diverso, forse

L’autopsia chiesta dalla famiglia di Floyd smentisce quella fatta dal medico della contea e sostiene che l’uomo è morto per asfissia causata dalla pressione sul collo e sulla schiena.

Si manifesta per molti giorni consecutivi in circa 140 città. Da tutto il paese arrivano video e foto che mostrano le violenze della polizia contro manifestanti pacifici e giornalisti. Non è abbastanza per Trump, che accusa i governatori di essere troppo morbidi e gli chiede di “dominare” le proteste. Si capisce cosa intende quando ordina alla polizia di disperdere le persone che protestano pacificamente davanti alla Casa Bianca per farsi fotografare con la Bibbia di fronte alla chiesa di St. John. Come prevedibile, la repressione fa crescere le proteste. Al nome di Floyd si affiancano quelli di tanti altri afroamericani morti nelle settimane, nei mesi e negli anni precedenti. Ogni comunità nera in giro per il paese sembra avere il suo martire: Nina Pop in Missouri, Eric Garner a New York, Breonna Taylor a Louisville, Dreasjon Reed a Indianapolis e tanti altri. La lista si allunga in tempo reale. Ad Atlanta, in Georgia, luogo di nascita di Martin Luther King, Rayshard Brooks, 27 anni, viene ucciso dalla polizia nel parcheggio di un fast food. Scoppiano proteste rabbiose, la direttrice della polizia di Atlanta si dimette e l’agente che ha sparato è immediatamente licenziato.

Con il passare dei giorni si definiscono le priorità e gli obiettivi del movimento antirazzista guidato dal gruppo Black lives matter: da una parte riformare veramente i dipartimenti di polizia, dall’altra rimuovere i monumenti considerati simboli del suprematismo bianco e del razzismo. Su entrambi i fronti i manifestanti ottengono in poco tempo dei risultati impensabili fino a qualche giorno prima: molte città – tra cui Houston, Raleigh, San Diego e Denver – vietano ai poliziotti le prese intorno al collo dei sospettati; il consiglio comunale di Minneapolis vota per smantellare il dipartimento di polizia; i parlamentari dello stato di New York votano per cancellare una norma che permetteva alla polizia di tenere segreti i documenti sugli abusi commessi dagli agenti. A New York e a Los Angeles i sindaci accettano di tagliare una parte dei fondi alla polizia per destinarli a programmi utili alle comunità; in decine di città viene ordinata la rimozione delle statue dedicate ai generali e ai politici della confederazione sudista, come quella del generale Robert E. Lee.

L’intero dibattito politico e culturale si capovolge e la pressione della piazza mette sulla difensiva anche i settori più conservatori della società. Il caso più lampante è quello dell’Nfl, la lega di football: gli stessi dirigenti che nel 2017 si erano schierati compatti contro i giocatori che si inginocchiavano durante l’esecuzione dell’inno – e che erano stati sostenuti dalla maggior parte dei tifosi e dal presidente Trump – si scusano per i comportamenti del passato e promettono di combattere il razzismo interno. Questo capovolgimento avvantaggia Black lives matter, che guadagna consensi, e indebolisce Donald Trump, il cui indice di popolarità scende intorno al 41 per cento, uno dei più bassi dall’inizio del suo mandato. Il presidente reagisce, ancora, aumentando il livello dello scontro e cercando nemici. Il 20 giugno ordina al ministro della giustizia di licenziare Geoffrey Berman, il procuratore di New York che negli ultimi anni ha indagato su alcuni suoi ex collaboratori. Lo stesso giorno tiene un comizio a Tulsa, in Oklahoma, una città simbolo del razzismo contro i neri, e pur sapendo che gli assembramenti sono rischiosi in tempo di pandemia. Nel suo discorso torna a minimizzare il virus e dice di aver chiesto ai suoi collaboratori di diminuire il numero di tamponi, in modo da ridurre il numero dei contagiati. Poi attacca la corte suprema, che il 18 giugno ha stabilito che il presidente non può cancellare il programma Daca, creato dall’amministrazione Obama per proteggere dall’espulsione circa 700mila immigrati irregolari arrivati nel paese da bambini, i cosiddetti dreamers. Due giorni dopo Trump firma un ordine esecutivo che estende fino al 31 dicembre il divieto di ingresso nel paese ad alcune categorie di lavoratori e riduce la possibilità di ottenere una green card. La decisione viene criticata dagli imprenditori, che denunciano la perdita di manodopera essenziale in vari settori.

A fine giugno Trump sembra un presidente allo sbando. Ci sarebbe ancora una pandemia da affrontare – il numero di contagi giornalieri sta di nuovo aumentando rapidamente, soprattutto negli stati che hanno riaperto per primi, come il Texas – ma lui è preoccupato dall’uscita imminente di un libro in cui John Bolton, ex consigliere per la sicurezza nazionale, lo dipinge come un uomo scandalosamente ignorante e politicamente pericoloso. Un sondaggio del New York Times attribuisce a Biden un vantaggio di 14 punti sul presidente. Nel bel mezzo della peggiore crisi sanitaria degli ultimi anni, Trump chiede alla corte suprema di cancellare l’Obamacare, minacciando di lasciare venti milioni di persone senza copertura sanitaria. Annuncia di voler ritirare diecimila soldati dalla Germania, che accusa di non contribuire al bilancio della Nato. Vari giornali sostengono che il presidente sa da mesi che un’agenzia d’intelligence russa ha promesso ai taliban afgani una ricompensa per uccidere i soldati della coalizione guidata dagli Stati Uniti, ma ha deciso di non prendere provvedimenti contro la Russia. L’Iran annuncia di aver emesso un mandato d’arresto nei suoi confronti – e di altre 35 persone – per l’uccisione del generale Qassem Soleimani.

Dopo sei mesi in cui è successo di tutto, gli ultimi giorni di giugno consegnano due immagini che, prese insieme, danno un’idea di che paese sono oggi gli Stati Uniti, in bilico tra il caos definitivo e la possibilità di un cambiamento positivo. La prima arriva da St. Louis, la città al centro delle rivolte contro il razzismo nel 2014: un uomo e una donna bianchi escono di casa con le armi puntate contro alcuni manifestanti di Black lives matter che protestano contro la sindaca (il video viene postato e poi rimosso da Trump su Twitter). La seconda arriva, inaspettatamente, dal Mississippi, uno stato molto conservatore, quello dove i neri hanno sofferto di più in passato e soffrono di più oggi: il governatore repubblicano firma la legge approvata dal parlamento che rimuove la croce confederata dalla bandiera dello stato. Una commissione disegnerà la nuova bandiera, su cui si esprimeranno gli elettori il 3 novembre.

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