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1 Luglio 

 

Gusci vuoti 

di Marco Caddeo 

 

Mai come oggi la strategia del "divide et impera" sta dando i suoi frutti. Assistiamo ad un inasprirsi di lotte razziali, di genere e culturali che, spettacolarizzate a dovere dai media, fungono da strumento di propaganda politica. Una perfetta arma di distrazione delle masse volta alla perpetua sottomissione del singolo e del lavoratore.

 

Mentre calano i morti per Covid, la soluzione dell’epidemia, efficace e alla portata di tutti, si volatilizza; il virus appare e scompare a seconda di chi scende nelle piazze, gli alunni devono stare distanziati per la sicurezza – i calciatori sono, invece, immuni. Nell’era distopica del politicamente corretto sembra ormai impossibile dissentire. Ai tempi degli esordi di internet aleggiava l’auspicio di un superamento dello stato di passività tipico dello spettatore televisivo ipnotizzato da un contenuto unico, imposto come veritiero. Oggi che, contraddicendo queste speranze, il nostro humus culturale si è identificato appieno con la società dello spettacolo, si compie quel processo di addormentamento e addomesticamento dell’uomo in parte anticipato dai francofortesi e da Guy Debord. È come se il potere del web di far diventare tutti degli ideatori di contenuti si indebolisse andando, paradossalmente, a rafforzare l’altra sua funzione: creare una collettività infeconda che, come ricorda Bauman, mentre annulla le distanze tra i luoghi, crea le distanze tra i soggetti. Tale concetto è legato, in un certo senso, al tema del razzismo che, essendo sponsorizzato dai media e strumentalizzato dalla politica, si sostituisce sempre più al tema dello sfruttamento intrinseco alla globalizzazione – a causa della quale, d’altronde, il nero rimane uno schiavo senza dignità e il bianco assume la stessa identica posizione.

 

In un orizzonte rischioso – con una Costituzione parzialmente sospesa, un governo folle e un’opposizione inesistente – uno spazio alternativo di critica nei confronti del potere costituito sarebbe stato importante. Inizia a svanire, invece, anche questa utopia e i canali che non seguono le linee del pensiero unico sono oscurati o calunniati perché non rispetterebbero le norme della community. I più caritatevoli empatizzano con Floyd. Intanto, in Italia, qualcuno si impicca per cessata attività, ma non fa notizia. La polizia statunitense è spesso violenta anche nei confronti dei bianchi ma oramai è prassi ridurre le ingiustizie a una questione di colori. Lo scalpore per il colore della pelle, in queste circostanze, oltre a essere ulteriore conferma della consueta retorica, si manifesta principalmente come arma di distrazione di massa. In un contesto dominato da un potere sovranazionale e incorporeo che agisce svincolato da qualsivoglia discussione circa la concreta e razionale inclusione del diverso, i bianchi e neri sono entrambi vittime di un sistema di sfruttamento a cui niente importa dell’identità dei popoli o di restituire dignità a chi arriva o a chi resta. 

Tra balordi fanatici che dileggiano le statue e l’euforia dell’autrice di “i testi di Battiato sono delle minchiate assolute”, ha raggiunto il vertice un’assurda battaglia razziale tra gli individui che, invece di unirsi per combattere contro le effettive ingiustizie endemiche alla società neoliberista, si perdono in un’inutile diatriba confermando l’intramontabile e sinistra utilità del “divide et impera”. Così, nel processo secondo il quale lo sguardo ottenebrato del censore si concentra sui cioccolatini e su «Via col vento», l’esagitato movimento delle femministe radicali, sostenitrici della barbarie iconoclasta, si è mostrato ancora una volta funzionale al sistema. Basterebbe rileggere Debord per poter dubitare di questo corrotto habitus morale quando scrive, invertendo quanto affermato da Hegel, che «nel mondo realmente rovesciato, il vero è un momento falso». Nella liquefazione comunitaria in cui tutto è mediato e filtrato dalle immagini, siamo l’inconscio riflesso della dimensione spettacolare che trasforma e dirige il rapporto sociale tra gli individui rendendoli dei gusci vuoti. Nella società contemporanea la lotta tra razzisti e antirazzisti e tra “femmine” e “maschi” appare dunque soprattutto uno strumento di propaganda politica che, lungi dal contribuire a minare le basi dello status quo, le rafforza ponendo i cittadini gli uni contro gli altri. Il valore dell’Altro di Lévinas è perduto a favore dell’idea di matrice progressista di un mondo unito in cui tutti devono essere sradicati, uguali e schiavi.

 

In questo scenario decadente in cui si parla di spettri e arcobaleni, l’unico abbandonato al suo abisso è il lavoratore che prova vergogna di fronte ai propri figli poiché non riesce a pagare le bollette. Il giornalista Gianni Riotta descriveva bene il potere visionario di Arancia Meccanica, anticipatore del problema del ventunesimo secolo: 

Quelli del ventesimo secolo si basavano sull’ideologia: ho un’idea e quindi t’ammazzo; quelli del ventunesimo secolo si basano sul nichilismo: non ho nessuna idea e quindi ti ammazzo. Gianni Riotta

In un sistema che ci riempie di vuoto, l’educastrazione delle masse si fa paradigma della psico-prigione orwelliana. Nell’Italia che si estingue riecheggia la morte di Dio di Nietzsche in cui l’assenza di valori schiaccia gli individui, lasciati soli a scannarsi – senza che si appalesi all’orizzonte alcun superuomo. Appurato che nel 2020 il nazismo non c’è più, questioni di genere o di razzismo andrebbero affrontate nei casi effettivi. In tutti gli altri casi meglio tenere la mascherina. È per la nostra sicurezza, non è un bavaglio; Zingaretti ha detto che è moda – è cosa buona e giusta dice Bergoglio.

 

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