Fonte: Il Manifesto

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21/03/2020

 

Trump e il virus del «regime change»

di Alberto Negri

 

Ci sono virus che resistono a ogni vaccino. Si chiamano sanzioni. È il virus del «regime change» che non abbandona mai gli Usa, anzi in tempi di pandemia Trump mette ancora più con le spalle al muro l’Iran dove l’epidemia sta dilagando. In pandemia da questa parte del mondo non esiste la diplomazia.


Ci sono virus che resistono a ogni vaccino. Si chiamano sanzioni. È questo virus del «regime change» che non abbandona mai gli Stati Uniti, anzi in tempi di pandemia Washington coglie il momento per mettere ancora più con le spalle al muro l’Iran dove l’epidemia sta dilagando. «L’Iran è davanti a una catastrofe umanitaria e noi contribuiamo al disastro» ha commentato Bernie Sanders, candidato democratico alla presidenza.
A questo e da altri disastri verrebbe di aggiungere, visto che gli Usa strangolano l’economia del Venezuela e con il bloqueo anche quella di Cuba che ironia della sorte manda medici in tutta l’America Latina e anche in Italia per contrastare l’epidemia.
È la strategia della massima pressione sull’Iran. Così giovedì, per Nowruz di ieri, il capodanno iraniano, gli americani hanno inviato un altro regalo avvelenato. Invece di togliere le sanzioni a Teheran, come hanno chiesto Russia, Cina e Pakistan – e da noi anche il presidente della commissione esteri del Senato Vito Petroccelli – il Dipartimento di stato le aumenta: ha appena embargato l’export dei prodotti petrolchimici iraniani e si sta preparando a fare ostruzione sul prestito da 5 miliardi di dollari chiesto da Teheran al Fondo monetario internazionale, il primo dell’Iran in 60 anni.
Ma gli Usa sono i maggiori azionisti del Fondo e hanno cominciato a sparare bordate con il segretario di stato Mike Pompeo: «Le sanzioni saranno tolte soltanto se Teheran abbandona il programma nucleare, quello sui missili balistici e si ritira dai conflitti regionali». In poche parole un’impossibile resa senza condizioni, quindi gli Stati uniti cercheranno in ogni modo di destabilizzare l’Iran come hanno già cominciato a fare il 3 gennaio scorso con l’assassinio del generale Qassem Soleimani all’aereoporto di Baghdad.
Trump sa benissimo di avere iniziato un’altra fase del conflitto mediorientale che in Iraq si è concretizzato in questi giorni con attacchi delle milizie filo-sciite alle basi Usa – da tre delle otto che lì hanno gli americani si sono già ritirati – e da ritorsioni Usa a colpi di raid aerei. Nella strategia della massima pressione contro Teheran il coronavirus entra come il fattore scatenante della tempesta perfetta.
L’Iran sta affrontando tre crisi in contemporanea: 1) un’emergenza sanitaria come non si era vista, soprattutto nelle città, neppure ai tempi del milione di morti e feriti della guerra Iran-Iraq, 2) le tensioni crescenti con gli Usa che stritolano alla giugulare le esportazioni petrolifere (ormai l’unico mercato è la Cina), 3) una crisi finanziaria che non può che peggiorare con il crollo delle quotazioni dell’oro nero sui mercati. È anche in corso una crisi di legittimità del potere, esemplificata dalla bassa affluenza alle elezioni parlamentari e dallo scontro tra il governo di Hassan Rohani, i conservatori e l’ala militare dei pasdaran. L’avere sottovalutato il coronavirus può diventare un fattore rilevante presso un’opinione pubblica in profonda crisi economica e di fiducia come hanno dimostrato le manifestazioni di novembre per il carovita e successivamente la vicenda dell’abbattimento del Boeing ucraino.
Eppure, come sottolinea Ali Vaez su Foreign Policy, la pandemia poteva essere un’opportunità per distendere nell’emergenza le relazioni Usa-Iran precipitate dopo che Trump ha stracciato l’accordo sul nucleare civile voluto anche da Obama nel 2015.
Ma non è questo che interessa Washington e forse neppure l’ala dura di Teheran. In pandemia da questa parte del mondo non esiste diplomazia. Lo testimonia la pervicacia con cui Trump parla sempre di «virus cinese», con cui la propaganda atlantista attribuisce alla Cina l’obiettivo di comprarsi l’Occidente, e l’Italia in particolare.
Mai che gli venisse in mente di darci una mano facendo pressioni (e concessioni) sulla Merkel e il Nord Europa per allentare la stretta sulla borsa: agli Usa di Trump la pandemia europea fa comodo perché indebolisce un concorrente.
La politica della massima pressione e del «regime change» quindi interessa anche l’Italia – stavolta almeno lo abbiamo detto. Come pure quella delle sanzioni Usa ed europee alla Russia e alla Cina. Tutto stilato secondo i dettami chiariti da Pompeo che segnala solo quattro Paesi che vìolano di diritti umani – Cina, Iran, Venezuela, Cuba – mentre Egitto e Arabia saudita sono angioletti cui vendere armi a tutto spiano. Con la pandemia tutto cambierà, dicono. Ma quando mai.

 

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