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20 gen 2020

 

“La lotta contro l’occupazione israeliana deve venire fuori dalla lotta 
per liberare la nostra società”

Wolfram Kuck intervista Randa Harara

coordinatrice per tutta la Striscia di Gaza delle studentesse iscritte al Progressive Student Labor Front (PSLF) che fa capo al partito principale della sinistra palestinese il Fronte popolare per la Liberazione della Palestina (FPLP)

 

Gaza, 20 gennaio 2020, Nena News

 

La struttura del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina (FPLP) nella Striscia di Gaza è ramificata in una serie di organizzazioni collaterali che intervengono con progettualità specifiche in diversi ambiti socio-economici, attraverso le quali dare esempi pratici di politica progressista. Vi è ad esempio l’Union of Agricultural Work Committees (UAWC) che promuove la fondazione e lo sviluppo di cooperative agricole, oppure l’Union of Health Work Committees (UHWC) che gestisce diverse strutture ospedaliere in tutti i principali centri abitati della Striscia. Tra queste organizzazioni un lavoro molto importante è svolto dalla sezione giovanile, la Palestinian Progressive Youth Union. La PPYU è l’organizzazione che racchiude i diversi progetti giovanili che fanno riferimento al Fronte Popolare, dai gruppi scout fino agli studenti universitari. L’organizzazione specifica degli universitari è il Progressive Student Labor Front (PSLF). In tutte le università della Striscia sono circa 5000 gli studenti iscritti al PSLF, di cui 1200 sono ragazze. Randa Harara, 23 anni, studentessa di psicologia all’università al Azhar di Gaza, fa parte del comitato direttivo del PSLF composto da 12 giovani. Randa è la coordinatrice per tutta la Striscia delle studentesse iscritte al PSLF. L’abbiamo incontrata nella sede centrale del PPYU a Gaza city, non lontano dalla zona universitaria.

Quali sono le principali attività del PSLF nelle università della Striscia?

Ci occupiamo sia di temi politici generali legati alla lotta palestinese contro l’occupazione sia di questioni più prettamente studentesche. Per esempio, organizziamo spesso iniziative a supporto dei prigionieri politici oppure per portare avanti anche nelle nuove generazioni la memoria della Nakba. Invece, più legate a questioni universitarie, portiamo avanti campagne contro l’innalzamento delle tasse universitarie e, se necessario, organizziamo anche scioperi quando un’università vuole vietare agli studenti non in regola con i pagamenti di sostenere ulteriori esami. In altri termini, stiamo accanto agli studenti che si trovano in difficoltà economica, proviamo a dar loro un supporto concreto, pratico. Accanto a queste, che sono attività più strettamente politiche, organizziamo periodicamente dei corsi pratici, ad esempio di primo soccorso o di giornalismo. In quest’ultimo corso insegniamo come si scrive un articolo, come si conduce un’intervista, come si interviene in pubblico o si sostiene un dibattito. Quasi tutte le nostre attività sono miste, ma ne facciamo anche alcune separate per le sole ragazze, ad esempio i corsi di approfondimento sulla prevenzione di malattie in cui è bene poter parlare solo tra di noi. Tutte queste nostre attività sono sempre molto partecipate dagli studenti, soprattutto quando sosteniamo chi non è economicamente in grado di sostenere le rette riceviamo sempre molto consenso.

In qualità di coordinatrice delle studentesse del PSLF ci puoi dire quali sono le difficoltà più grandi che devi affrontare nel coinvolgere le ragazze nell’attività politica?

Purtroppo a Gaza ci sono molte restrizioni per le ragazze. Molte ragazze mi dicono che possono partecipare alle attività solo se si svolgono nell’università e all’interno dell’orario universitario, perché al di fuori le loro famiglie non le permettono di partecipare. In altre parole, devono nascondere alle loro famiglie che fanno attività politica con noi. Un’altra sfida importante per noi è la questione religiosa. Molte famiglie vietano categoricamente alle loro figlie di partecipare alle attività del Fronte perché ci considerano un’organizzazione che non rispetta la religione. Questo problema colpisce in maniera più significativa le ragazze se comparato ai ragazzi. Anche per un ragazzo che viene da un contesto conservatore non è facile contrastare la sua famiglia e attivarsi con noi, ma per le ragazze è un’impresa doppiamente più ardua. Per questo stiamo lavorando molto e pazientemente per cambiare la mentalità alle ragazze, il loro modo di pensare, per renderle più consapevoli e autonome. Ma è un lavoro che richiede tempo, tempo e pazienza. Un’altra grande sfida che abbiamo davanti è quella dell’attività politica mista. Noi al Fronte abbiamo come obbiettivo e regola di promuovere l’attività mista tra ragazzi e ragazze, uomini e donne, e non separata. Molte famiglie qui nella Striscia sono contrarie e impediscono alle loro figlie di partecipare ad attività insieme con i ragazzi. Alcune ragazze le prime volte sono anche addirittura spaventate dal lavorare insieme ai ragazzi. Anche in questo caso si tratta di far cambiare la mentalità alle giovani donne. In ogni caso i risultati si vedono. Ad esempio, ogni anno noi cambiamo il comitato del PSLF di ogni singola università e ogni anno ci sono nuove ragazze che entrano a farne parte. Questo vuol dire che ogni anno ci sono ragazze su cui siamo riusciti a lavorare bene. Per riassumere e dirla in una frase, la più grande sfida che dobbiamo affrontare è la struttura conservatrice e patriarcale della nostra società qui a Gaza.

Stai dicendo quindi che vi trovate a dover combattere su due fronti: da un lato c’è l’occupazione militare israeliana e dall’altro la società conservatrice oppressiva?

Si, esatto. E la prima cosa a cui penso io è combattere la struttura sociale conservatrice. Io ho cominciato la mia attività politica combattendola e sto ancora oggi continuando a combatterla. La lotta contro l’occupazione deve venire fuori dalla lotta per liberare la nostra società, e non il contrario, perché altrimenti si finisce per supportare un’opzione politica reazionaria solo perché è la più forte e la più organizzata nel combattere l’occupazione. In questo campo la sfida più difficile è quella di cambiare la consapevolezza delle donne stesse. Io lo dico sempre, le donne qui devono smettere di essere le nemiche delle altre donne. Per fare un esempio, quando una donna qui a Gaza prova a prendere una posizione di responsabilità in qualsiasi ambito, che sia lavorativo, sociale o politico, le altre donne non la supportano. Una volta acquisita questa diversa consapevolezza poi sono sicura che il resto verrà come sua naturale conseguenza. E come donne dobbiamo diventare più forti e non stare a sentire i commenti di chi vuole ostacolare i nostri percorsi, di chi non vuole darci credito perché donne appunto, ma continuare con ostinazione sulla strada che abbiamo scelto.

A proposito di commenti, tu sei stata costretta a vivere una vicenda personale molto particolare….

Si, era il dicembre del 2017 e Trump aveva appena annunciato la sua intenzione di spostare l’ambasciata americana a Gerusalemme. Come Fronte Popolare organizzammo una protesta vicino al confine est della Striscia. Io stavo rilasciando un’intervista e appena finito di parlare i soldati israeliani spararono e mi colpirono alla gamba sinistra. Crollai per terra e un ragazzo lì presente che stava partecipando alla protesta mi prese in braccio per portarmi all’ambulanza che era distante. L’ambulanza mi portò all’ospedale dove sono stata operata d’urgenza e mi venne tolto il proiettile dalla gamba. L’operazione andò bene, io adesso sto bene, ma furono momenti terribili. Nella confusione persi il cellulare e quindi non potevo avvertire la mia famiglia che mi stava cercando disperatamente temendo il peggio. Venni riportata a casa lo stesso giorno a mezzanotte. La cosa assurda è che da quel momento sono cominciati i veri problemi. Qualcuno scattò una foto del ragazzo che mi teneva in braccio dopo che ero stata colpita e quella foto iniziò a circolare. Sui social si scatenarono gli impulsi più bassi, mi insultarono, mi dissero che mi dovevo vergognare che mi facevo prendere in braccio da ragazzi sconosciuti, che ero una figlia del peccato e cose simili. I miei parenti, zii e cugini, mi attaccavano invece dicendomi che una ragazza non deve partecipare alle proteste al confine. Questa situazione mi travolse veramente. Com’è possibile, mi chiedevo, io sono stata ferita per combattere l’occupazione per via della quale tutti noi qui a Gaza soffriamo e invece di supportarmi e starmi vicino mi attaccano tutti come se fosse colpa mia, perché sono una donna. Nonostante tutte le difficoltà io però non ho mai mostrato alcun cedimento. Ho sempre sostenuto che non mi dovevo vergognare proprio di nulla. Mio padre è stato il primo a sostenermi e poi ovviamente anche tutti i compagni del Fronte. In quei giorni speravo fortemente di rimettermi subito in forze, così che la società avrebbe smesso di opprimermi. Ho combattuto con tutta me stessa per riprendermi il prima possibile per non dovermi più vivere quella pressione addosso. Quando stavo a casa in convalescenza i compagni mi venivano ovviamente a trovare per confortarmi, starmi vicino e non farmi sentire sola, come è giusto che sia. Ma i miei parenti mi attaccavano pure per questo. Mi dicevano che ero una vergogna per la famiglia che facevo entrare in casa a venirmi a trovare così tanti uomini estranei alla parentela. Ho trovato la forza dentro di me per combattere questa sfida, per non farmi abbattere e per continuare a fare ciò che credo sia giusto. Io ho avuto molta paura di non poter continuare a lavorare con il Fronte e con gli studenti dopo tutto quello che era successo. E’ paradossale che sia andata così, ma questa è la verità: su di me il danno fisico è stato di minore impatto rispetto a quello sociale. Oggi invece io continuo a fare ciò che voglio fare, ossia il lavoro politico, e anzi conduco anche una trasmissione su Shab Radio (la radio del Fronte Popolare). Tutte le pressioni che ho subito non mi hanno fermata e non mi fermeranno. Sto continuando a fare ciò che ritengo sia giusto: ribellarmi a questa società maschilista.

Quanto pensi sia importante una realtà politica di sinistra radicale come il Fronte Popolare per portare avanti queste battaglie?

Guarda, la mia famiglia non è mai stata legata in nessun modo al Fronte. Io mi sono avvicinata da sola al Fronte quando mi sono iscritta all’università perché mi sono ritrovata nelle idee progressiste. Un’organizzazione come il Fronte è fondamentale per portare avanti la nostra lotta di donne in questa società. Abbiamo bisogno di un’organizzazione, già è difficile così, sarebbe tutto ancora enormemente più complicato, se non francamente impossibile, se ci dovessimo muovere da sole, disorganizzate, senza alcuna copertura.

 

 

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