http://enricocampofreda.blogspot.com domenica 26 gennaio 2020
Di Segni: “Io, militare in Israele respiravo cultura, non odio” di Enrico Campofreda
Davanti all’odierna intervista a Noemi Di Segni, presidente delle Comunità ebraiche italiane, realizzata da un navigato e appassionato cronista del Corriere della sera, qualcuno sentirà un senso di straniamento. Già come lettore mi son trovato di fronte a un’incompiuta per talune domande e soprattutto per certe risposte. Sia chiaro: ogni giornalista imposta l’intervista come crede, e l’interlocutore risponde su quel che crede. Però siamo davanti a una ripetuta tendenza da parte dei convinti israeliani, quale la Di Segni è, di leggere la realtà secondo la propria visuale e raccontarla secondo interessi di parte. La carrellata dei ricordi s’avvia da Gerusalemme dove la presidente, nella vita affermata commercialista, è nata nel 1969. Dunque due anni dopo l’occupazione da parte dell’esercito israeliano della città delle tre religioni monoteiste, più le varie confessioni di fede cristiana. La signora ricorda “… la fluidità con cui si passava da una parte all’altra della città, a bordo dell’autobus numero 4…”. L’intervistatore insiste sul concetto di fluidità e su quello di convivenza fra comunità “… E’ possibile la coabitazione fra diverse famiglie e origini ebraiche accanto ad altre realtà. A Gerusalemme ci si sfiora, tutti diversi… Un insegnamento importante, significativo: si può convivere mantenendo la propria identità nello stesso luogo, anche se molto stretto. Senza colpirsi. Senza aggredirsi”.
Gli oltre 400.000 palestinesi che vivevano nella città santa prima dell’occupazione militare sono diventati 340.000. Mentre il numero di coloni ebrei, cittadini di altre nazioni, continua a crescere e con esso gli insediamenti giudicati illegali dai maggiori organismi mondiali (Consiglio di Sicurezza Onu, Corte internazionale di Giustizia) tanto che da tempo si parla di ebraizzazione della città. Nei ricordi del passato la presidente Di Segni si supera col servizio militare svolto “…nel gruppo dell’Intelligence. Un insostituibile allenamento culturale. Non l’odio verso il nemico. Una parola che non ho mai, dico mai, sentito in due anni. C’era sempre un concetto di difesa, di tutela…” Se lei lo dice, sarà accaduto. Però la storia di Shin Bet, Mossad, Tsahal, la storia d’Israele dice anche altro. In tanti casi cose per niente onorevoli. Nelle migliori situazioni parla di soprusi, vessazioni, torture, come testimoniano da decenni le cronache che coinvolgono la popolazione palestinese. Non solo i suoi leader politici, i militanti o i gruppi armati. Gente comune colpita, anche a morte, solo per il fatto d’essere palestinese, in quella scellerata equazione di arabo eguale terrorista grazie a cui Sharon ha costruito il Muro dell’apartheid parlando di difesa. Un concetto tutto militare, ripetuto anche da Noemi Di Segni. Un sentimento che riporta alla mente la pratica di combattimento Krav Maga, messa a punto dall’addestratore militare israeliano Imi Lichtenfeld. Anche questa tecnica definisce difesa l’attacco, e può prevedere l’uccisione del potenziale avversario. |