Fonte: Ereticamente

https://www.ariannaeditrice.it/articoli/

11/02/2020

 

Perché non è obsoleto il dibattito sulla presenza delle basi statunitensi in Italia

di Annarita Curcio

 

Lo scorso 3 gennaio, nei pressi dell’Aeroporto Internazionale di Baghdad, il generale iraniano Qasem Soleimani cade vittima di un attentato voluto dal Presidente degli Stati Uniti Donald Trump, di concerto col Pentagono e apparati del cosiddetto Deep State americano. Muore così il secondo uomo più importante di Teheran, colui che nella guerra civile siriana e per contenere l’avanzata dell’ISIS in Iraq ha guidato la Forza Quds a sostegno di Bashar al-Assad.

 

In tutta risposta, la Guida Suprema, l’ayatollah Ali Khamenei, proclama tre giorni di lutto nazionale, definendo Soleimani un martire (shahid) e conferendogli, post-mortem, il grado di Tenente Generale. Immediatamente si diffonde la preoccupazione che l’evento possa cambiare gli equilibri geopolitici del Medio Oriente mentre in Italia circola la notizia secondo cui il drone che avrebbe colpito l’auto su cui viaggiava il generale iraniano sarebbe partito dalla base aerea di Sigonella in Sicilia. Notizia poi smentita dal Ministero della Difesa e dal Ministro degli Esteri Luigi Di Maio.

 

La vicenda fin qui narrata torna a sollevare una vecchia questione,  quella sulle basi USA, che divide in due opposte fazioni: chi, da un lato, sostiene la necessità di ospitarle sul territorio nazionale e chi invece le considera, come la sottoscritta, l’ennesimo sopruso di una potenza muscolare e prevaricatrice, una violazione della sovranità nazionale, un costo esoso, quello destinato alle attività di manutenzione, che grava sulle spalle degli italiani e un pericolo contro la nostra incolumità. All’indomani dell’accaduto, una richiesta al Premier Giuseppe Conte e al Ministro della Difesa Lorenzo Guerini di chiarire “immediatamente il ruolo” della Base di Sigonella arriva dal coordinatore dei Verdi Angelo Bonelli, e Luca Cangemi, della segreteria nazionale del Partito Comunista Italiano (PCI), ha denunciato il silenzio attorno al possibile coinvolgimento della Naval Air Station siciliana nell’assassinio di Soleimani.

 

Mentre si fa strada il timore che l’opinione pubblica – inebetita dalla frenesia degli acquisti in questa stagione di costi al ribasso, da notizie frivole come l’addio di Harry e Meghan alla Royal Family, o attenta com’è a seguire il tam tam mediatico su chi saranno i cantanti, gli ospiti e le soubrette del Festival di Sanremo – abbia completamente ignorato il riaffacciarsi di questo tema, tornato di attualità anche in occasione della crisi siriana, dei raid statunitensi contro le postazioni dell’ISIS (Daesh) in Libia, e, ancora indietro, quando le basi NATO in Italia ebbero un ruolo fondamentale nella campagna, nota come operazione “Allied Force”, di attacchi aerei portata avanti dalla NATO per oltre due mesi contro la Repubblica Federale di Jugoslavia di Slobodan Miloševi?.

 

In Italia, le basi ufficialmente dichiarate sono 120, oltre a 20 basi militari USA totalmente segrete. L’Italia è la nazione in Europa che ha il numero maggiore di militari americani, e, quando nel resto d’Europa sono diminuiti, in Italia sono persino aumentati. Non ultimo, nelle basi NATO di Aviano nel Friuli e Ghedi in Lombardia, sono presenti novanta testate atomiche, nonostante che con lo storico referendum sul nucleare, nel novembre del 1987, solo un anno dopo il disastro di Chernobyl, gli italiani abbiano detto no all’utilizzo dell’energia atomica per usi civili, figuriamoci per quelli militari!

 

L’Accordo Bilaterale sulle Infrastrutture (BIA), anche detto “Accordo Ombrello”, ovvero il trattato che disciplina lo stato giuridico delle basi americane in Italia, è stato sottoscritto da USA e Italia il 20 ottobre del 1954, in piena Guerra Fredda, quando si rese necessario creare un avamposto da cui poter contrastare la possibile invasione dell’Europa Occidentale da parte dei Paesi aderenti al Patto di Varsavia. Con la caduta del muro di Berlino, il 9 novembre 1989, e la conseguente dissoluzione dell’Unione Sovietica, questa minaccia non esiste più, eppure gli armamenti nucleari sul territorio nazionale stanno ancora lì. Perché?

 

Perché dalla fine della Seconda Guerra mondiale, l’Italia, uscita sconfitta dal conflitto, firmando l‘armistizio con le forze alleate, l’8 settembre 1943, ed entrando, successivamente, a far parte del cosiddetto Blocco Atlantico, ha rinunciato alla propria indipendenza per firmare un patto non di alleanza ma di sudditanza con gli USA, prima potenza mondiale, che da oltre mezzo secolo influenza le nostre vite, con l’imposizione del pensiero unico, quello secondo cui la democrazia capitalistica sia il migliore dei mondi possibili; peccato che questo modello di una economia dedita al solo profitto, alla distruzione della terra da cui dipendiamo e disinteressato ai bisogni dell’uomo, sia in crisi e che all’orizzonte non si intravedano valide alternative. Dunque, il dibattito sulla presenza militare americana sul nostro territorio non solo non è obsoleto, ma è una questione della massima urgenza, poiché è a rischio la nostra sicurezza nazionale e perché è moralmente necessaria una lotta, da parte delle forze politiche e della società civile, all’America, il cui cammino di potenza “civilizzatrice” è lastricato di violenza, ingiustizie e prevaricazioni.

 

Mauro Bulgarelli, ex-Deputato verde, promosse, era il 2007, un referendum per smantellare qualsiasi armamento nucleare sul territorio italiano, ed ha anche redatto una proposta di legge per la desecretazione dei documenti di Stato, per fare luce sulle troppe questioni che rimangono ancora oscure, dalle basi militari alle stragi*. In tempi più recenti, è stato il Movimento 5 stelle a dare dei segni di insofferenza nei confronti dei nostri rapporti all’interno della NATO anche se questo non ha poi prodotto nessuna iniziativa concreta in funzione di una possibile uscita dal Patto Atlantico. Oggi, riproporre un referendum torna di attualità, ma il timore è che ancora una volta la nostra sia la voce di chi grida nel deserto, allora mi viene in aiuto un adagio indiano: “il fiume non va spinto, scorre da sé”; in altre parole, nonostante tutto, è più saggio non abbandonare la speranza che prima o poi i tempi saranno maturi per un cambio di paradigma.

 

* Da una serie di inchieste giudiziarie emergerebbe che le basi NATO in Italia sono state utilizzate come covo per operazioni speciali che facevano capo a “Gladio”, nonché come deposito di armi per la medesima organizzazione paramilitare. Si è ipotizzato inoltre che tali “operazioni” consistessero in organizzazioni di “colpi di Stato”: si può supporre un coinvolgimento degli USA nel fallito colpo di Stato avvenuto in Italia durante la notte tra il 7 e l’8 dicembre 1970 e concepito da Junio Valerio Borghese, fondatore del Fronte Nazionale, per evitare l’ingresso del PCI nell’area di Governo, e in attentati che, tra il 1964 e il 1980, hanno fatto precipitare il nostro Paese in una sorta di guerra civile permanente.

.

.

Fonte: Il Manifesto

https://www.ariannaeditrice.it/

11/02/2020

 

Grecia, svendita di basi militari agli Stati uniti

di Manlio Dinucci

 

Il Parlamento greco ha ratificato l’«Accordo di cooperazione per la reciproca difesa», che concede agli Stati uniti l’uso di tutte le basi militari greche. Esse serviranno alle forze armate Usa non solo per stoccare armamenti, rifornirsi e addestrarsi, ma anche per operazioni di «risposta all’emergenza», ossia per missioni di attacco. 

Particolarmente importante la base aerea di Larissa, dove la US Air Force ha già schierato droni MQ-9 Reaper, e quella di Stefanovikio, dove lo US Army ha già schierato elicotteri Apache e Black Hawk.  

L’Accordo è stato definito dal ministro greco della Difesa, Nikos Panagiotopoulos, «vantaggioso per i nostri interessi nazionali, poiché accresce l’importanza della Grecia nella pianificazione Usa». Importanza che la Grecia ha da tempo: basti ricordare il sanguinoso colpo di stato dei colonnelli, organizzato nel 1967 nel quadro dell’operazione Stay-Behind diretta dalla Cia, cui seguì in Italia la stagione delle stragi iniziata con quella di Piazza Fontana nel 1969. 

In quello stesso anno si installò in Grecia, a Souda Bay nell’isola di Creta, un Distaccamento navale Usa proveniente dalla base di Sigonella in Sicilia, agli ordini del Comando Usa di Napoli. Oggi Souda Bay è una delle più importanti basi aeronavali Usa/Nato nel Mediterraneo, impiegata nelle guerre in Medioriente e Nordafrica.  

A Souda Bay il Pentagono investirà altri 6 milioni di euro, che si aggiungeranno ai 12 che investirà a Larissa, annuncia Panagiotopoulos, presentandolo come un grande affare per la Grecia. 

Il primo ministro Kyriakos Mitsotakis precisa però che Atene ha già firmato col Pentagono un accordo per il potenziamento della sua flotta di F-16, che costerà alla Grecia 1,5 miliardi di dollari, e che è interessata ad acquistare dagli Usa anche droni e caccia F-35. La Grecia si distingue inoltre per essere nella Nato, dopo la Bulgaria, l’alleato europeo che destina da tempo alla spesa militare la più alta percentuale del Pil (il 2,3%).

 L’Accordo garantisce agli Stati uniti anche «l’uso illimitato del porto di Alessandropoli». Esso è situato sull’Egeo a ridosso dello Stretto dei Dardanelli che, collegando in territorio turco il Mediterraneo e il Mar Nero, costituisce una fondamentale via di transito marittima soprattutto per la Russia. 

Inoltre la limitrofa Tracia Orientale (la piccola parte europea della Turchia) è il punto in cui arriva dalla Russia, attraverso il Mar Nero, il gasdotto TurkStream. 

L’«investimento strategico», che Washington sta già effettuando nelle infrastrutture portuali, mira a fare di Alessandropoli una delle più importanti basi militari Usa nella regione, in grado di bloccare l’accesso delle navi russe al Mediterraneo e, allo stesso tempo, contrastare la Cina che intende fare del Pireo un importante scalo della Nuova Via della Seta. 

«Stiamo lavorando con altri partner democratici nella regione per respingere malefici attori come la Russia e la Cina, anzitutto la Russia che usa l’energia quale strumento della sua malefica influenza», dichiara l’ambasciatore Usa ad Atene Geoffrey Pyatt, sottolineando che «Alessandropoli ha un ruolo cruciale per la sicurezza energetica e la stabilità dell’Europa». 

In tale quadro si inserisce l’«Accordo di cooperazione per la reciproca difesa» con gli Usa, che il Parlamento greco ha ratificato con 175 voti favorevoli del centro-destra al governo (Nuova Democrazia e altri) e 33 contrari (Partito Comunista e altri), mentre 80  hanno dichiarato «presente» secondo la formula del Congresso Usa, equivalente all’astensione, in uso nel Parlamento greco. 

Ad astenersi è stata Syriza, la «Coalizione della Sinistra Radicale» guidata da Alex Tsipras. Partito prima di governo, ora all’opposizione, in un paese che, dopo essere stato costretto a svendere la propria economia, ora svende non solo le sue basi militari ma quel poco che resta della sua sovranità.

 

top