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15 maggio 2020

 

15 domande sul virus

di Francesco Boezi

                       

Il professor Andrea Crisanti è un microbiologo con competenze in immunologia, in genetica ed in evoluzione. Vede, insomma, il problema in maniera diversa rispetto a come lo vedrebbe un virologo, che è come se fosse un “meccanico del virus”. Crisanti è – per tutte le cronache nazionali – il professore che ha bloccato il Covid-19 nel Veneto governato da Luca Zaia. Nella grande confusione che in queste settimane ha contraddistinto l’opinione di molti esperti, abbiamo scelto d’intervistare l’inventore del “modello Veneto” per dipanare quindici dubbi riguardanti la pandemia, i suoi contorni ed il futuro che ci attende.

 

I numeri di Vo’ Euganeo sui positivi ci fanno dire che il Covid-19 è un virus altamente contagioso o no?

 

Certo. Guardi, il calcolo che abbiamo fatto ci dice che il virus ha un R0, cioè una capacità di trasmissione, che è tra il 2.6 ed il 2.8. Quindi il Covid-19 è abbastanza contagioso, anzi parecchio contagioso. Di sicuro più dell’influenza.

Qual è la vera percentuale di letalità del virus?

Penso che i dati più attendibili siano quelli della Germania. Il calcolo va fatto sui numeri tedeschi, ma anche su quelli della Corea del Sud. Sono i numeri più credibili. Il tasso di letalità si ottiene così: morti diviso casi. Quindi è fondamentale la diagnosi dei casi, altrimenti il tasso di letalità è artificialmente alto. Comunque dovrebbe essere tra il 2% ed il 3%.

Secondo diversi studi, ci sarebbero milioni di casi sommersi nel nostro Paese. Secondo lei questa ipotesi è valida?

Sì, ce ne sono molti. Non so se siano milioni, ma di sicuro siamo attorno al milione, un milione e mezzo.

Vo’ e i comuni del lodigiano hanno attivato subito la zona rossa. Nelle stesse ore, comuni come Alzano, Nembro, Orzinuovi e Cremona avevano lo stesso numero di morti/contagi di Vo’ ma non è stata fatta la zona rossa. Perché? E di chi è la colpa?

Penso che sia il risultato di molti fattori: leggerezza, ignoranza del problema e pressioni di carattere economico. Tutti questi elementi insieme hanno creato questa situazione.

Molti affermano che il contagio è esploso sulle arterie produttive. In realtà questa affermazione viene smentita nel caso veneto, giusto?

Il Veneto ha una struttura produttiva gigantesca. Il contagio avviene dappertutto. Lei saprà che tra Verona e Vicenza c’è una fabbrica continua. Il contagio però in Veneto non è esploso, perché lo abbiamo fermato. Sarebbe potuto esplodere come in Lombardia. In genere, però, i veri focolai dei contagi sono stati gli ospedali. Poi che si sia diffuso e che si sia stato spostato attraverso arterie di comunicazione è normale.

Secondo lei il virus, seppur naturale, potrebbe esser uscito dal laboratorio di Wuhan?

Nessuno può provarlo o escluderlo. Questa domanda, dal punto di vista scientifico, non ha senso. Non è possibile né provarlo né escluderlo. Non avremo mai una risposta a questa domanda.

Il plasma come cura per i malati di Covid-19 funziona davvero?

In alcuni casi funziona. Di sicuro va provata nei casi in cui i pazienti non rispondono alle cure. Ma un razionale c’è. Questa è una pratica comune che viene utilizzata in tantissime circostanze. Sarà successo anche a lei, magari da bambino. Le immunoglobuline sono il principio attivo che risiede nel plasma. Si tratta di una pratica comune. Non c’è nulla di rivoluzionario in tutto ciò.

Qual è secondo lei la ricetta per ripartire in sicurezza?

La ricetta per ripartire in sicurezza è assicurarsi da una parte che i cittadini siano adempienti a quelle che sono le misure, ossia indossare mascherine, distanziamento sociale ecc.. e dall’altra bisogna tenere in considerazione la prova di responsabilità per tutti gli imprenditori ed i datori di lavoro. La ripartenza non interessa solo i singoli cittadini privati, ma anche gli ambienti di lavoro dove il contatto è ravvicinato ed è in qualche modo molto più possibile. Non possiamo lasciare gli italiani da soli con le mascherine e i guanti: bisogna costruire una capacità di reazione sul territorio, cioè fare sì che ogni volta che viene individuata una persona malata, vengano pure tracciati i contatti. E quindi tamponi a tutti i familiari, tamponi a tutto il vicinato, tamponi a tutti i contatti. Poi c’è l’isolamento di questa persona positiva. Va creata una capacità di risposta. Se ci sono dei cluster, bisogna intervenire come abbiamo fatto a Vo’. Costi quel che costi in numero di tamponi. Se una città è composta da ventimila abitanti, bisogna sottoporre ventimila persone ai tamponi.

Perché secondo lei sembra persistere una certa ritrosia nel fare tamponi a pioggia? 

Io non la metterei in questo modo. Penso che implementare il sistema che abbiamo utilizzato noi in Veneto non è facile. Non si improvvisa. Servono risorse. E bisogna creare una vera e propria rete epidemiologica sul territorio. Occorre pure una continuità assistenziale: dalla telefonata del paziente alla visita, passando per il controllo all’analisi ed alla registrazione dei dati. Il modello Veneto prevede una serie di attività che vengono effettuate. Non è soltanto una questione di tamponi, ma di sistema che deve essere edificato.

In quanto tempo pensa che l’Italia possa raggiungere l’immunità dal nuovo coronavirus?

L’immunità di gregge per le malattie infettive si raggiunge a prezzi altissimi. Non a caso abbiamo creato i vaccini. L’immunità di gregge si raggiunge anche con il morbillo, ma al costo di un bambino morto ogni mille. L’immunità di gregge si raggiunge a prezzi elevatissimi. Nel caso specifico, siamo lontanissimi da questo obiettivo.

Pensa che la fase 2 possa interrompersi a breve?

Questo modello di ripartenza mi sembra abbastanza caotico. Di sicuro non è basato sui dati e sull’analisi reale dei rischi. Come premesso, in molte circostanze non abbiamo visione del numero esatto dei casi. E se non abbiamo questa visione non abbiamo un’idea del rischio. Stiamo viaggiando in piena nebbia. Dunque andiamo pianissimo. Per cui andiamo a tentoni ed aspettiamo di vedere cosa accade tra due settimane. Il governo ha detto che, a seconda di una serie d’indicatori, verranno prese delle decisioni. Io penso che questi indicatori siano molto ritardati (casi, terapia intensiva ecc..) rispetto all’evento. Prima che si riempiano le terapie intensive – come abbiamo visto nel caso di Vo’ – può essersi già infettata una percentuale pari al 3% della popolazione. L’esempio è quello di un ladro che entra in casa, con l’allarme che scatta dopo 15 giorni, mentre il proprietario è fuori. Quegli indicatori non sono segnali d’allarme. Bisogna essere più vicini possibili alla linea di trasmissione: più tamponi vengono effettuati, più si è vicini a quello che sta succedendo.

Cosa differisce il “modello Veneto” dagli altri modelli sperimentati?

Noi siamo partiti dal presupposto che se c’è una persona infetta, qualcuno gli ha trasmesso la malattia. La persona infetta va isolata. Ma a noi interessa soprattutto la persona che ha trasmesso la malattia, perché può infettare altre persone. Come abbiamo fatto? Come si individua la persona che ha trasmesso la malattia? Molto probabilmente questa persona sta bene, si muove, non è consapevole di essere malata o non è ancora malata. E questa persona risiede tra i contatti, tra i parenti o tra i vicini di casa del malato. Noi abbiamo cercato di fare i tamponi a tutti per scovare questa persona. E poi abbiamo lavorato affinché la popolazione veneta sapesse che in ospedale sarebbe stata sottoposta a tamponi in ogni caso. Bastava anche la paura di aver incontrato un positivo per ottenere un tampone. E abbiamo impedito che l’ospedale di Padova, quello più grande della Regione, diventasse un centro di trasmissione com’è accaduto altrove.

Si fa un gran parlare delle mutazioni di questo virus. Altri sostengono che il Covid-19 non muti affatto. Qual è la verità?

La verità dimora nel mezzo. Il virus un po’muta, ma noi non abbiamo informazioni sulla capacità di trasmissione e sulla virulenza.

Quale incidenza delle pandemie o delle epidemie nel prossimo futuro?

Chi lo sa. La storia dell’evoluzione dell’uomo è costellata di trasmissione di virus dall’animale all’uomo. Penso al morbillo, che ha poi subito una sua evoluzione. Ne esistono molte di malattie di questo tipo.

Per l’HIV non esiste vaccino. Perché per il Covid-19 dovremmo invece riuscire a crearne uno?

Non so perché esista questa speranza. Io non condivido questo ottimismo. Molte persone non producono anticorpi. Questo è un mistero che deve essere chiarito.

 

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