https://www.infoaut.org/

05 aprile 2020 

 

Intervista dalla terapia intensiva

 

Stiamo vivendo un’esperienza di massa che prende le forme di una crisi sanitaria, sociale, economica di un sistema nella sua totalità, esserci in una fase storica come questa cosa significa?

 

C’è chi non accetta di pagare il prezzo troppo alto di questa crisi in una lotta quotidiana per la vita. L’emersione di comportamenti di rifiuto, di richieste di necessità, di riformulazione di bisogni è ciò che possiamo intravedere come spinta e possibilità di presentare il conto.

Attraverso l’inchiesta che vogliamo presentare in queste righe, sviluppatasi come una rete che costruisce nodi un po’ qua e un po’ là, ci si propone, innanzitutto, di raccogliere una panoramica di esperienze e racconti vissuti in prima linea. Voci di persone che, a loro dire, nulla hanno di leggendario ma tutto di drammaticamente reale. Tanto reale quanto le ore di vita regalate a chi nei passati decenni ha scelto di tagliare i fondi e i letti di ospedale, quanto il rischio di contagiarsi e di portare la malattia a casa dai propri cari. Reale quanto il peso di convivere quotidianamente con la morte, una morte di massa in una solitudine assordante. Quanto la responsabilità di riorganizzare il proprio lavoro nell’emergenza perché nella cosiddetta normalità i dirigenti hanno pensato esclusivamente alla produttività dimenticandosi di costruire un accesso alla cura equo e universale.

L’intento dell’indagine è sì di partire dall’ambito della sanità, evidentemente “epicentro della crisi e della sua gestione” inteso come luogo di osservazione e di potenziale attivazione privilegiato, in quanto contenitore della trasformazione in atto dei rapporti che riproducono il sistema, e la società stessa, nel continuo trovarsi di fronte alla condizione o di vita o di morte. Nelle interviste che seguiranno proviamo a comprendere questi rapporti: com’erano, come sono ora, perché non funzionano ma anche come e perché cambiano. Non vorremmo limitarci a questo ambito ma provare ad addentrarci nella formazione trasformata in telelavoro, nel ricatto travestito da missione per chi lavora nei settori essenziali del settore sociale, nelle manifestazioni di forza degli operai che si sono rifiutati essere trattati da merce. I limiti precedenti all’emergenza emergono in maniera dirompente e stanno nell’impossibilità stessa di riorganizzare il lavoro secondo i criteri di sicurezza, perché mancano spazi adeguati, manca personale degnamente pagato e formato, mancano forniture di materiali. In questo momento più che mai è ora di immaginare e mettere le basi per una società in cui l’educazione, la cura, la presa in carico delle fasce più deboli, la tutela, la prevenzione, la salute non siano costi scaricati su soggetti sfruttati sia nella sfera della produzione che in quella della riproduzione sociale.

Perché? Perché tutte quelle capacità umane che fino ad oggi sono state schiacciate dentro la dimensione del consumo e della produttività conoscono spinte inedite e si riappropriano del loro valore. Attraverso le parole di chi sta in prima linea possiamo iniziare a darne un nome, stabilire dei confini dell’accettabilità: qualcosa di estremamente prezioso, risorsa antagonistica a un sistema da (s)travolgere. Perché accumularle significa costruire un sapere di parte, autonomo e che sia patrimonio collettivo.

Per provare a essere all’altezza della sfida, inforcando le lenti giuste per individuare le domande nuove che, prima soffocate dal fluire della normalità, possono sorgere. Per esserci nelle nuove direzioni che inizia a prendere la storia. O che potrebbe, se colte in tempo.  

Per iniziare questo percorso vi proponiamo una dettagliata intervista che abbiamo fatto a uno specializzando anestesista rianimatore che svolge il suo lavoro nei reparti di terapia intensiva. Periodicamente, ogni lunedì mattina, faremo uscire una nuova puntata di questo lavoro d'inchiesta, con nuove interviste e materiali. Buona lettura!

 

Qual'è il tuo lavoro? Che inquadramento hai dentro il settore sanitario?

Medico specializzando, settore anestesia e rianimazione.

 

Potresti descriverci la tua esperienza di lavoro dentro la crisi Coronavirus? Cosa è cambiato?

Come medico specializzando in anestesia rianimazione il nostro settore è stato sempre la terapia intensiva. Non siamo stati chiamati a lavorare in questo settore, ma ci siamo trovati ad avere direttamente questi pazienti Covid 19 in terapia intensiva. Quello che è cambiato è che prima la terapia intensiva era un reparto in cui ti trovavi o pazienti post operati oppure pazienti in condizioni critiche che dovevano essere monitorati. Cioè la differenza tra la terapia intensiva e un reparto qualsiasi è che mentre in un reparto qualsiasi il paziente sta nel letto e sostanzialmente sta là come degenza senza nessuna apparecchiatura particolare, la terapia intensiva è un reparto di monitoraggio avanzato. E' collegato a un ECG, con accessi venosi, accessi arteriosi, e monitoraggio avanzato dal punto di vista respiratorio. Quello che ci siamo trovati noi a fare è quindi sostanzialmente riorganizzare completamente le terapie intensive. Noi, ad esempio, abbiamo quattro terapie intensive in un'ospedale e una terapia intensiva in un altro ospedale (consideriamo che entrambi gli ospedali sono parte della stessa azienda ospedaliera integrata). Dal momento che c'è stato un aumento in pochissimo tempo dei contagiati, non si poteva mettere nella stessa terapia intensiva sia pazienti Covid che non Covid perchè altrimenti rischiavi di infettare tutti, quindi alcune terapie intensive, tutte sostanzialmente, sono diventate terapie intensive Covid e una sola terapia intensiva è rimasta come terapia intensiva che accoglie tutto il resto dei pazienti. Quello che sta succedendo però è in continuo divenire: anche oggi stesso stavano dicendo poco fa l'unica terapia intensiva rimasta non Covid potrebbe diventarlo a breve. E dunque vengono aperte anche nuove terapie intensive. C'erano delle aree dell'ospedale che noi chiamavamo "terra di mezzo" perchè appunto erano tra le varie terapie intensive, che sono state adibite a nuove terapie intensive. Lo stesso blocco operatorio (tu pensa che l'anestesista si divide tra la sala operatoria, la terapia intensiva e poi i ruoli d'emergenza all'interno dell'ospedale),  dal momento che le sale operatorie d'elezione sono state tutte sospese (ovviamente si cerca di evitare ulteriori contagi, quindi gli interventi procastinabili, d'elezione programmabili a tre - quattro mesi, sono stati fatti tutti saltare) è diventato una terapia intensiva. Il nostro lavoro sostanzialmente di per sè non è cambiato (come medici anestesisti) perchè noi ci siamo trovati ad affrontare quello che affrontiamo giornalmente. E' cambiato per tutte le altre categorie di medici, perchè i chirurghi si sono ritrovati senza lavoro, allo stesso modo di chi fa attività ambulatoriali.

 

Il problema per gli altri è che chiaramente tutti si volevano rendere utili, ma o sei anestesista e rianimatore, medico dell'emergenza, o comunque una categoria di medico che lavora in questo settore o altrimenti non puoi essere utile in una terapia intensiva. Fondamentalmente perchè non hai le conoscenze adeguate. Un neurologo, un endocrinologo, un diabetologo, cioè un qualsiasi clinico che non sia un anestesista rianimatore non è formato adeguatamente, paradossalmente ne so più io che sono un medico specializzando al primo anno che un medico strutturato di un altro settore: non è abituato a lavorare con i ventilatori, non ha idea di come impostare i parametri del ventilatore, non ha idea di accessi venosi, arteriosi. Ed è un problema dal momento che non ti sono utili in quel senso, quindi agli anestesisti rianimatori sostanzialmente la vita lavorativa dal punto di vista delle conoscenze non è cambiata tanto perchè i pazienti Covid che vanno peggio sono dei quadri di stress respiratorio e lo gestisci come se fosse un quadro di stress respiratorio. Poi sono tutti pazienti uguali, sono pazienti che se tu vedi le TAC sono uno la fotocopia dell'altro e li tratti tutti allo stesso modo. Impostare i ventilatori, i parametri per intubazione (sono tutti pazienti intubati) sono cose che l'anestesista rianimatore fa sempre. I problemi principali sono problemi gestionali. E' quello che sta andando tutto sottosopra. In Lombardia che è stato l'epicentro hanno avuto proprio grosse difficoltà a dover gestire un numero enorme di pazienti. Perchè una terapia intensiva per esempio di 48 posti letto è una terapia già di notevoli dimensioni che però è abituata a gestire un certo numero di ingressi giornalieri. Se improvvisamente ti ritrovi a dover gestire un numero di ingressi che è tre - quattro volte il tuo solito accesso giornaliero si complica tutto.

I principali problemi che si sono avvistati sono stati quelli dal punto di vista organizzativo. Numero di ventilatori, numero di pazienti e soprattutto la degenza di questi pazienti: sono dei pazienti che purtroppo non stanno uno due giorni e poi vengono dimessi, non è un post-operato. Rispetto al numero dei contagiati, quello dei guariti è pochissimo, perchè sono pazienti che stanno qui quindici - venti giorni prima di essere dimessi. Quindi noi abbiamo avuto un sacco di difficoltà e sono proprio nel reclutare sempre nuovi posti letto perchè ci sono nuovi contagi, si aprono nuovi posti, però rimangono ancora per molti giorni tutti i vecchi contagiati (finchè si risolve il quadro). Dal punto di vista della terapia in realtà è una cosa abbastanza standardizzata e ha fatto da apripista la Lombardia con i protocolli terapeutici. Quindi si seguono quelli, si segue la letteratura dei casi che ci sono stati nelle vecchie ARDS (queste sindromi da distress respiratorio) dei vecchi coronavirus (il MERS e il vecchio SARS) e si seguono quei tipi di terapia. E' una terapia di supporto, più che altro. Si guarisce per reazione del sistema immunitario. Anche per gli antivirali in realtà non è stata comprovata l'efficacia. Tanto che stanno pensando forse di sospendere anche l'attuale terapia retrovirale che era fatta di un'associazione di farmaci usati per l'HIV. Sono farmaci difficili da prescrivere perchè spesso i pazienti hanno pure problemi epatici. Degli altri farmaci alcuni non sono neanche diretti contro il virus vero e proprio, ma contro la reazione infiammatoria che è scatenata dal virus che ti provoca i quadri peggiori. A volte secondo me sono più utili quelli.

 

Qual'è l'estrazione generazionale e sociale dei pazienti che arrivano in terapia intensiva?

Non sono solo anziani. Anzi anziani ultraottantenni ce ne sono pochi, la maggior parte sono tra la fascia d'età tra i 60 e gli 80 anni. La maggior parte dei ricoverati sono tra i 55 e i 75 anni. Ci sono anche alcuni giovani, non molti, però abbiamo due o tre sui trenta - quarant'anni. La maggior parte hanno co-morbilità, quindi hanno anche già delle situazioni di problemi respiratori, di cuore ecc... ecc... Tranne i giovani che hanno sostanzialmente una storia patologica muta. I ragazzi non hanno niente. Quello che ancora io non ho ben capito, però si pensa nell'ambiente, è che non si spiega bene come mai questo virus attecchisce così tra i giovani e l'ipotesi è che i quadri peggiori siano dati da una reattività del sistema immunitario. Cioè ci sono dei soggetti predisposti che hanno un sistema immunitario che dà una reazione eccessiva e quindi il quadro di distress respiratorio è proprio frutto di questa reazione eccessiva del corpo nel fronteggiare il virus. Cioè da un'ipersensibilità individuale. Questo potrebbe spiegare come la maggior parte dei pazienti che sono immunodepressi o che hanno un sistema immunitario debilitato hanno pochi quadri di coronavirus avanzato, si vedono più in soggetti che hanno un sistema immunitario normale. Quindi qualcuno stava avanzando l'ipotesi che sia dovuta, al contrario del SARS, a un'ipersensibilità individuale. E' un virus che non fa distinzioni, tranne i bambini in cui decorre in maniera per lo più asintomatica. Non è chiaro il perchè, anche qui un'ipotesi è che sia per via del sistema immunitario immaturo che hanno i bambini.

 

Secondo te era prevedibile che potesse succedere una cosa del genere? In ambito medico si discuteva di questa possibilità? C'è stata una sottovalutazione?

Sì, che è stato sottovalutato è vero. E' stato sottovalutato pure in ambito medico. Nel senso, quando a fine gennaio, inizio febbraio si cominciava a parlare dei primi casi, se ne parlava anche molto in televisione, in ambito ospedaliero veniva un poco sottovalutato. Si pensava fosse come un'H1N1, viene fa il suo corso e sparisce e nessuno se ne ricorda, poi si guardavano i dati, le statistiche e si pensava "Ma questo ha una mortalità che è inferiore a quella del virus dell'influenza stagionale, di cosa stiamo a preoccuparci?". Quindi pure in ambito ospedaliero si è sottovalutata la faccenda, si guardavano i dati della Cina, si vedeva la mortalità e si pensava che effettivamente fosse un banale virus di influenza. Non giravano ancora immagini di TAC, di parametri della popolazione coinvolta e soprattutto a differenza del virus dell'influenza non si era verificato ancora quanto fosse contagioso questo virus. Perchè una delle armi peggiori che ha a disposizione il Covid è proprio l'alto tasso di contagiosità. Sicuramente si sarebbero dovute prendere prima le precauzioni. Si è sottovalutato in Italia questo. Questa rapida diffusione poi che c'è stata è stata dovuta al fatto che non sono state prese misure preventive soprattutto per le persone di rientro. Cioè, infatti adesso stanno dando risposta positiva.

 

Il fatto che si stia bloccando tutto pare abbia qualche effetto dato che stanno diminuendo i contagi in questi giorni. Non si sa se effettivamente ci sia una diminuzione dovuta al fatto perchè molti dati vengono pure falsati dal fatto che si eseguono meno tamponi. Se si eseguono meno tamponi effettivamente risultano meno contagi. Ma dal momento che non c'è un parametro a livello europeo o mondiale di esecuzione dei tamponi, ma cambia da regione a regione addirittura, non c'è uniformità nell'eseguire un protocollo su questo aspetto, sono tutti dati falsati un po' ovunque. Che si dica che in Cina la mortalità è del tot percento mentre in Italia la mortalità media è del 6% e in Lombardia del 10%, questi sono dati falsati, perchè in Lombardia è la regione in cui si eseguono il maggior numero di tamponi. In Cina ne hanno eseguiti tantissimi, in Cina si eseguivano pure su persone asintomatiche, in Italia si eseguono per lo più sui sintomatici. Se tu esegui i tamponi solo su persone sintomatiche è normale che la mortalità ti risulta più alta, perchè tu stai facendo un'analisi su campioni di popolazione contagiata che già sta molto male non su gli asintomatici. Un sacco di persone magari hanno contratto il virus, si sono fatti la convalescenza a casa, non hanno mai avuto un tampone e sono guariti. In Germania probabilmente falsano i dati o fanno campioni a tappeto e da loro risulta una mortalità più bassa, ma non perchè il virus sia meno letale. Più tamponi fai, più si riduce la mortalità. Regione per regione ognuno raccoglie i dati in una maniera diversa e quello è anche un problema che ti complica la possibilità di fare previsioni.

 

Com'è la situazione emotiva tua e delle persone che come te sono in prima linea?

La nostra principale difficoltà è sempre stata la questione organizzativa. Tu prima eri abituato a lavorare avendo dei turni settimanali fissi. Quindi tu sapevi già di settimana in settimana che turno saresti andato a ricoprire, quale giorno libero avevi nel mese, cioè tu avevi un prospetto mensile definito più o meno. Adesso è tutto in divenire, fai dei turni che non hai mai ricoperto prima in altri settori, sei un tappabuchi essenzialmente. Attualmente c'è una situazione in cui si corre a tappare buchi ovunque perchè c'è questa emergenza e quindi è tutto vissuto alla giornata. Magari vai a coprire sale operatorie o terapie intensive dove non sei mai stato prima, viene aperta una nuova terapia intensiva e quindi si deve riorganizzare tutto. Noi siamo tantissimi specializzandi, i turni ce li gestiamo tra di noi, c'è un capogruppo per ogni settore che ti organizza i turni. Mediamente per ogni gruppo ci sono una cinquantina di persone, siamo più o meno duecento, duecentocinquanta e quindi devi riorganizzare tutto per coprire tutti i turni. I turni del Covid sono molto pesanti in generale. Quello che percepisci in tutti è molta stanchezza, perchè sono dei turni in cui entri vestito tutto bardato, tre - quattro paia di guanti, camice, sovracamice, calzari, sovracalzari, visiera, mascherine che sono scomodissime e ti lasciano segni sul naso, quindi sono dei turni che in generale uno vive male dal punto di vista proprio fisico. Dal momento in cui tu entri in terapia intensiva sei considerato infetto e non puoi più uscire, o almeno, se esci ti devi svestire e poi ti devi rivestire per rientrare. Solitamente si esce massimo una volta a turno, questi turni sono dei turni molto lunghi di solito. A volte stiamo più tempo a casa proprio perchè facciamo dei turni molto più lunghi però facciamo meno frequenza. Normalmente tu lavori tutti i giorni della settimana, facendo così capita che stai un giorno di riposo a casa. Il turno è stremante, anche se non fai niente, è stremante dover tenere tutta quella divisa e non poter mangiare, non poter bere. C'è molta stanchezza in generale. Infatti molti si chiedono "ma quanto possiamo andare avanti tenendo questi ritmi?". Diventa proprio sfiancante, dal punto di vista proprio umano, perchè, sì, l'ospedale è il nostro ambiente, per gli estranei la terapia intensiva è un posto che mette soggezione, però è il nostro ambiente, un luogo dove noi oltre a lavorare scherziamo tra di noi, parliamo, facciamo battute. Adesso diventano difficili i contatti umani perchè ormai non ci si stringe la mano, un abbraccio, non esiste più niente. Quindi tu fai quel lavoro in maniera robotica, e diventa molto pesante arrivare a fine turno. Ci sono stati dei casi di infermieri che si sono suicidati. Che non hanno sopportato lo stress. Ci sono anche stati degli psicologi che si sono offerti di fare consulenze gratuite su Skype per dare il loro supporto.

 

Poi come reazioni emotive ognuno ha delle reazioni individuali. C'è chi anche tra il personale medico che magari era già un po' ipocondriaco, aveva paura delle malattie infettive, che ha sviluppato una fortissima paranoia. C'è chi non vorrebbe andare a lavorare, chi vorrebbe stare solo chiuso nello studio medico e non uscire. C'è chi è anche un poco entusiasta (ovviamente non della situazione ma dal punto di vista medico), perchè ti stai confrontando dal punto di vista conoscitivo, scientifico, ecco, con qualcosa che non si era mai visto prima e quindi un nuovo modo di imparare, di fronteggiare la situazione. I pazienti ti lasciano un segno dentro perchè molto spesso li vedi entrare e sono dei pazienti che effettivamente chiedono dei loro parenti, alcuni pensano addirittura che i loro parenti si siano dimenticati di loro, ma effettivamente è un ambiente isolato. Noi li chiamiamo i parenti e poi riportiamo telefonicamente a loro com'è la situazione, ora stiamo cercando addirittura di utilizzare la strumentazione che abbiamo interna per poter fare delle videochiamate in maniera da fare in modo che loro possano vedere i parenti. Adesso vediamo se ci riusciamo, perchè tu dentro effettivamente non puoi utilizzare il tuo telefono perchè non te lo porti dentro il reparto. Nel momento in cui entri qualsiasi cosa è da considerarsi infetta e quindi tu lasci tutto fuori. Quelle dodici ore che fai sono dodici ore in cui tu non hai nessuna strumentazione elettronica con te. Cioè se tu la portassi dentro quella poi dovrebbe rimanere dentro. Abbiamo portato dei cellulari da lasciare lì, ma soltanto perchè ci servono per raccogliere alcuni dati e fare delle foto, ma restano lì. Ai parenti poi noi diamo le comunicazioni ed è brutto perchè magari a un certo punto qualcuno muore e il parente non ha più visto il proprio caro. Il proprio caro sta lì quattro, cinque, dieci giorni, due settimane senza poter avere una comunicazione diretta, quindi anche per quello si sta cercando di trovare un modo per permettere di comunicare. Perchè è difficile sia per noi, ma soprattutto per i parenti. Sì, i pazienti ti fanno molta tristezza perchè vedi pure dei giovani, che sono ridotti lì a testa in giù, cioè li proniamo per farli respirare meglio, girati con la pancia rivolta verso il letto, che effettivamente respirano meglio. Vedere un giovane di 35 anni ridotto in quel modo certo ti fa preoccupare della situazione. E' un virus che sicuramente farà, quando finirà, ma anche adesso ripensare a molte cose, un nuovo setting proprio, non solo emotivo, ma proprio la società. Ti fa proprio riscoprire e dare il giusto peso a certi valori. Un poco riassettato nuovamente secondo me. Cambierà, cambierà tutto quando finirà. Sta cambiando adesso, ma cambierà secondo me proprio il modo di vivere, di vedere le cose. 

 

Come sensazioni, sono diverse le sensazioni tra gli operatori. Quello che c'è è lo stress, quello è una cosa comune a tutti. Perchè per quanto qualcuno può essere entusiasta o c'è chi ha molta paura di fare il turno, quello che a fine turno ti porti è quella stanchezza infinita. Anche se dal punto di vista pratico non è un turno diverso da tutti gli altri turni che facevamo prima, anzi i turni in terapia intensiva sono dei turni in cui hai dei pazienti molto critici, non dormi mai perchè c'è sempre da fare, devi monitorarli continuamente e succede sempre qualcosa. I pazienti covid sono dei pazienti tutti uguali che sostanzialmente sono, a meno che non abbiano delle patologie pregresse importanti, stabili, dal punto di vista emodinamico sono pazienti che una volta che li attacchi al respiratore dici aspettiamo e vediamo come va la terapia e come risponde il loro sistema immunitario. Non c'è un carico di lavoro in più, il carico di lavoro in più è proprio nella gestione di questa situazione infettiva. Quindi come ti devi vestire tu, come ti devi comportare all'interno, cos'è il percorso sterile all'interno dell'ospedale, percorso non sterile ecc... ecc... E' pure tutta la burocrazia che cambia completamente, e il ritmo di lavoro. Il punto sono le difficili condizioni in cui si lavoro, non tanto il carico di lavoro. E' un carico di lavoro diverso dovuto appunto alla situazione che si è venuta a creare.

 

La privatizzazione ha avuto un impatto e di che tipo?

C'è da dire che anche gli ospedali privati sono stati piuttosto d'aiuto in questo contesto. Si sono resi anche loro disponibili ad ammortizzare. Anzi una delle prime cose che si faceva inizialmente è proprio per non congestionare l'ospedale pubblico, prima di riempire terapie intensive, si cercava di mandare negli ospedali periferici, poi non è che si faceva tanta distinzione tra privato e pubblico dell'ospedale periferico. Quindi si cercava di contenere l'epidemia inizialmente negli ospedali più piccoli perchè gli ospedali più piccoli sono una fonte minore di contagio. Prima di riempire una terapia intensiva di un ospedale grande, in cui per ogni settore ci sono 12 - 16 - 18 posti letto, poi le varie terapie intensive arrivano a grandi numeri come quella di 48 che citavamo prima. Le terapie intensive piccole invece hanno minori numeri e quindi si cercava di mandarli in questi ospedali periferici all'inizio. In questo senso hanno dato una mano anche le strutture private, più che i privati i privati convenzionati con il pubblico. Quelli hanno dato una mano. Sicuramente in una situazione di questo tipo però si fa sempre riferimento all'ospedale pubblico. E' sempre l'ospedale pubblico quello che gestisce queste situazioni, i grossi interventi, le chirurgie maggiori vanno sempre negli ospedali pubblici. Sono sempre quelli pubblici che gestiscono situazioni di questo tipo e effettivamente avere avuto in questa situazione molti più ospedali pubblici avrebbe aiutato. Perchè uno legge gli articoli di giornale e vede: "Gli ospedali privati hanno salvato la situazione che sarebbe precipitata soltanto con il pubblico", è vero che hanno dato una mano, ma se ci fossero stati fondi maggiori per gli ospedali pubblici e più ospedali pubblici sarebbe stata vista da tutta un'altra prospettiva la cosa. In questa situazione di emergenza tutti cercano di dare una mano, se l'ospedale pubblico avesse avuto più fondi disponibili non ci sarebbe stato il rischio di essere a fine mascherine, manca il materiale, manca tutto, avremmo parlato diversamente... Situazioni di questo tipo sono sempre state gestite dagli ospedali pubblici quindi sarebbe stato meglio avere investito di più nella

sanità. Forse se ne stanno rendendo conto nelle nuove manovre che stanno facendo. L'Italia investe poco in questo.

 

Cosa cambierà secondo te nel settore della sanità dopo quello che sta succedendo? C'è un dibattito tra il personale sanitario?

Non è un argomento di cui si parla tanto perchè siamo ancora nell'occhio del ciclone per cui il pensiero principale attualmente è cercare di capire come uscirne, se ne usciremo. Quindi questa è più una questione economica e gestionale, come dovrebbe essere organizzata la sanità. Però tra gli operatori sanitari non è il principale argomento di discussione questo attualmente. Sicuramente c'è la presa di coscienza che ha dato questo virus e però attualmente non ti so dire come potrebbe essere riorganizzato l'intero sistema. Bisognerebbe vedere anche tutte le esperienze degli altri paesi. Secondo me fare previsioni adesso è un poco prematuro, anche perchè dobbiamo vedere come sta rispondendo l'Italia e come rispondono gli altri stati. Perchè qui siamo da venti giorni nell'occhio del ciclone però in Spagna, Germania, Inghilterra hanno avvertito il peso solo nell'ultima settimana. Ecco gli Stati Uniti sarebbero secondo me uno dei metodi di paragone più interessanti perchè sono quelli che hanno un sistema sanitario completamente privato e quindi sarà interessante vedere come andrà lì che sarà totalmente diverso rispetto alle nostre realtà. Solo alla fine, secondo me, dopo aver fatto i bilanci di ogni sistema sanitario (facendo statistiche è sempre difficile però come dicevo prima, i dati già hanno degli indici di errore in tempi di pace, figuriamoci adesso) si trarranno le conclusioni. E' utile facendo anche un confronto con gli altri paesi.

 

Durante la vostra formazione a tuo parere siete stati preparati ad affrontare questa situazione?

La parte più epidemiologica viene affrontata nei sei anni di studio universitario, il fatto è che in quei sei anni hai una formazione teorica, poi iniziato il percorso di specialità tu vai sempre ad ipersettorializzarti. Una volta che ti ipersettorializzi, non soltanto dal punto di vista dell'epidemiologia, perdi proprio la visione di insieme delle cose. Tanto che ci sono delle categorie di medici che in questa situazione non possono proprio essere utili, almeno che non si mettano a svolgere solo dei lavori di burocrazia per dare una mano. Non saprebbero totalmente come affrontare una situazione di questo tipo. Per quanto riguarda l'epidemiologia, ognuno che fa ricerca se ne occupa: gli igenisti, chi fa statistica. C'è proprio una specializzazione che riguarda quello. Gli igenisti sono quelli che si occupano proprio di fare statistica, di analizzare i dati e i trend nel tempo di un qualsiasi patogeno. Noi non siamo esperti di epidemiologia, noi andiamo sul fronte e facciamo la terapia d'attacco. Loro sono la figura medica più inserita nel settore gestionale - amministrativo - politico. Come è giusto che sia, perchè l'igenista è quello che ha la maggiore conoscenza sia rispetto al punto di vista epidemiologico, ma anche da quello gestionale - organizzativo. La maggior parte dei direttori sanitari sono igenisti. Alcuni diventano sindaci, è normale che sia così perchè sono quelli che hanno oltre la formazione medica anche la formazione giuridica amministrativa. Se li metti dentro un reparto ospedaliero però non sanno lavorare, non hanno mai visto o visitato un paziente, però conoscono benissimo dal punto di vista epidemiologico gestionale come organizzarsi.

 

Che ne pensi delle misure che sono state prese in ambito sociale?

Tutte le informazioni che loro, sia gli infettivologi che gli igenisti, stanno dettando tartassandoci in tv come lavarsi le mani ecc... ecc.... sono cose che la gente dovrebbe fare indipendentemente dal Coronavirus. Dovrebbero essere le regole del quotidiano per qualsiasi cosa, che sia un banale virus dell'influenza o  altro. Sembra che un sacco di persone abbiano scoperto le regole dell'igene personale solo dopo il coronavirus. E' un dato assurdo. Ormai tutti sanno come lavarsi le mani. Sono contento che, almeno da quello che vedo, un po' ovunque si sia presa coscienza e si sia presa sul serio questa quarantena. Anche a Sud ho visto foto di strade centrali delle città completamente vuote. E' una fortuna dal punto di vista sanitario - sociale che sia arrivata prima al Nord, in Lombardia dove c'è il sistema sanitario più ricco, perchè quei giorni in cui c'è stata l'epidemia in Lombardia hanno permesso al Sud di prendere coscienza e organizzarsi. Se fosse arrivato prima al Sud con l'organizzazione e la strumentazione che ci sono al sud sarebbe stato una catastrofe. Non oso immaginare. 48 forse sono i posti letto in terapia intensiva di tutta l'intera regione Puglia o Calabria, non di un singolo ospedale. E' stata una grande fortuna per il Sud arrivare a prendere coscienza tra le persone e stare a casa. Non mi aspetto che ci sia un aumento dei contagi al Sud continuando su questa linea. Non so come evolverà la situazione, può darsi che ci saranno nuovi cicli e nuove ondate di contagi. Una volta che la misura contenitiva più drastica verrà meno non credo che si potrà riprendere subito la vita come prima. L'obbiettivo è diminuire il contagio. Come l'effetto campana: tu non stai cercando di abbattere sul momento i contagi, ma di dilazionarli in un periodo più ampio. Perchè se tu hai cento contagi in due giorni è diverso da averli in quindici giorni. Dilazionandoli in quel modo riesci a non saturare il sistema sanitario e a permettere alle strutture di andare avanti. Bisognerà vedere quando si potrà uscire di casa quale sarà il trend perchè non penso che si potrà riprendere a vivere come si faceva prima all'inizio. Riscrive un poco le abitudini della gente, sarà difficile ritornare alla normalità, ci sarà una normalità diversa.

 

L'organizzazione molto specialistica dei saperi di cui parlavamo prima, secondo te, di fronte a quello che sta succedendo e che potrebbe succedere in futuro, andrebbe ripensata?

 

Io credo che non cambierà, che resterà così. Non è tanto una questione di saperi, i sei anni di università sono uguali per tutti che tu faccia il chirurgo, l'ortopedico, l'anestesista, il cardiologo ecc... ecc... Quello che c'è nei sei anni sono saperi di base che bene o male tutti hanno. Il punto è che dopo ultraspecializzandoti perdi quella visione, e quindi non hai più idea del resto. Prima della crisi mi trovavo a cena con degli altri colleghi urologi, ginecologi e otorinolaringoiatri, tre settori chirurgici, in cui loro mi dicevano che non avevano completamente idea su alcune questioni base che sono cose molto simili a quelle che sono accadute con l'avvento del Coronavirus. Mi hanno detto: "noi non abbiamo completamente idea di come fare questo o quello, se dovessimo entrare in una situazione di questo tipo". Ma perchè? Perchè al di là della questione del sapere è l'attività pratica che ti porta a dimenticare tutto. Tu hai potuto anche studiare tutte quelle cose, ma se poi non hai un riscontro, un'applicazione, inevitabilmente li dimentichi. Se l'ortopedico sta tutto il giorno facendo sala operatoria e ogni volta che c'è un problema internistico chiama il medico internista o l'anestesista per risolvere il problema è abituato a lavorare in quel modo. Secondo me non cambierà questa visione ultraspecialistica perchè uno impara lavorando in quel settore specifico. Lo studio c'è ma viene coltivato per lo più a livello individuale, ma la tua formazione avviene eminentemente nella pratica.

 

Tendenzialmente i medici internisti, i geriatri e gli anestesisti sono quelli meno ultraspecializzati perchè hanno a che fare con diverse patologie e tipologie di pazienti. Ti trovi ad affrontare quotidianamente situazioni diverse tra di loro. Un ortopedico, un neurochirurgo invece fanno solo quello, difficilmente visitano altri reparti. Per avere una visione più di insieme hanno introdotto ed è tutt'ora presente, durante il periodo di formazione, una rotazione di tot mesi all'interno di altri reparti proprio per non perdere la visione d'insieme. Adesso non so nelle chirurgie come sia organizzata, ma in tutte le specializzazioni devono fare questi periodi che chiamano "tronco comune" in cui nel biennio o nel triennio ruotano negli altri reparti. Non so se la facciano anche i chirurghi in realtà. Noi ad esempio questa rotazione non la facciamo anche perchè noi siamo dei jolly già di nostro come anestesisti. Noi facciamo interventi di qualsiasi specialità, quindi ci tocca restare aggiornati un po' ovunque. Forse invece di fare solo poche settimane o uno - due mesi si potrebbe allungare il tempo di questa rotazione anche per non congestionare gli altri reparti in modo che se si trovano ad avere un problema all'interno del loro reparto magari siano capaci di gestirlo un po' da soli. Questa sarebbe magari un'opzione futura: aumentare il periodo di rotazione oppure farlo più frequentemente durante gli anni di formazione. 

 

top