AsiaNews - 19/12/2011 – Dharamsala. Il Tibet e la Cina intera “hanno perso un grande amico, un campione della democrazia e un ispiratore per tutti, più di un amico per me, per il Tibet e per la Cina intera”. Con queste parole il Dalai Lama ha commentato oggi la morte di Vaclav Havel. Lo stesso Dalai Lama volle premiare Havel con il premio “Light of the Truth”, per il suo contributo alla causa del Tibet e alla democrazia mondiale.


Vaclav Havel 1936
di Annalia Guglielmi


"Il potere dei senza potere"
di Václav Havel


Vaclav Havel, «Il potere dei senza potere»
di Francesco Rinaldini


Václav Havel, il potere dei senza potere
di Gabriele Merlini


Io Havel
di Vaclav Havel

Dal discorso di commiato rivolto ai cittadini
di Vaclav Havel


Vàclav Havel, ovvero: la democrazia come rivoluzione esistenziale
di Paolo Flores d'Arcais


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Comitato per la Foresta dei Giusti

Vaclav Havel 1936
di Annalia Guglielmi

Nasce a Praga da una famiglia di noti imprenditori che subisce la nazionalizzazione dei beni dopo l’ascesa al potere dei comunisti. A causa della sua estrazione sociale non può iscriversi alle scuole superiori. Studia da carpentiere, poi da tecnico di laboratorio e contemporaneamente frequenta un ginnasio serale. Non è ammesso a nessuna facoltà universitaria umanistica e si iscrive a Economia. Dopo il servizio militare lavora come tecnico al teatro Na Zabradlí, (Alla ringhiera), dove mette in scena le sue prime opere, incoraggiato dal direttore.
Nel 1964 sposa Olga Splichalova e l’anno successivo entra nella redazione del mensile dell’"Associazione degli Scrittori Cecoslovacchi." In seguito, per il suo impegno contro la discriminazione di alcuni autori, viene cancellato dalla lista dei candidati al direttivo dell’Associazione. 
Nel marzo 1968 firma con 150 intellettuali una lettera aperta al Comitato Centrale del partito sostenendo il processo di democratizzazione, in aprile diventa presidente del “Club degli Scrittori Indipendenti.” Partecipa attivamente alle proteste contro l’invasione sovietica. A settembre manda una lettera aperta ad Alexander Dubcek ed è uno degli autori dell’appello contro la “normalizzazione”. Negli anni ’70 i suoi testi vengono messi all’indice e ritirati da tutte le biblioteche, Havel è perseguitato a più riprese dal regime. Nel dicembre 1972, con 35 scrittori céchi, invia una petizione al presidente Husak che chiede l’amnistia per i detenuti politici; l’8 aprile 1975 firma la famosa Lettera al segretario generale del Partito comunista Gustav Husak, in cui descrive la Cecoslovacchia come una società governata dalla paura. Alla fine del 1975 fonda la rivista clandestina “Expedice” che pubblica libri di autori céchi e stranieri. Nell’agosto 1976, insieme ad altri autori e filosofi invia una lettera al premio Nobel Heinrich Boll, chiedendo solidarietà per i musicisti del gruppo “Plastic People” in carcere. Il loro processo e l’entrata in vigore del Documento Finale della Conferenza di Helsinki fanno nascere una collaborazione tra gli intellettuali della Primavera di Praga e gli ambienti cristiani, fino a quel momento isolati tra loro. Da questi nuovi legami nasce "Charta ’77", una “comunità libera informale ed aperta di uomini di diverse convinzioni, diverse religioni e diverse professioni, legati dalla volontà di operare individualmente e insieme per il rispetto dei diritti civili ed umani". Il 1 gennaio 1977 viene resa pubblica la "Dichiarazione di Charta ’77." I primi portavoce della Charta sono Vaclav Havel e Jiri Hajek e Jan Patocka che muore il 13 marzo 1977, dopo estenuanti interrogatori. Il giorno dopo anche Havel è arrestato e accusato di crimini contro lo stato. Rilasciato a maggio, viene messo al centro di una campagna diffamatoria che lo costringe a dimettersi dalla carica di portavoce. Nell’ottobre 1977 viene condannato a 14 mesi di prigione e a tre anni di condizionale per aver leso gli interessi dello Stato all’estero. Il 27 aprile 1978 è tra i fondatori del “Comitato di Difesa degli Ingiustamente Perseguitati” (VONS). In ottobre scrive il saggio più famoso: Il potere dei senza potere, e lo spettacolo teatrale La firma, mentre dal 6 novembre torna a ricoprire l'incarico di portavoce di Charta '77. 
Il 29 aprile 1979 è arrestato con altri 15 membri del VONS per attività sovversiva e condannato a 4 anni e mezzo di carcere senza condizionale. Dalla prigione scrive alla moglie 144 lettere raccolte in un volumetto dal titolo Lettere a Olga. Ottiene la libertà nel gennaio 1983 per una grave malattia ai polmoni. 
Negli anni seguenti Havel non smette di battersi per difendere i cittadini perseguitati e non abbandona la vocazione teatrale L'11 novembre 1986 riceve il Premio Erasmo "per il suo contributo alla cultura europea”. Il 16 gennaio 1989, anniversario del suicidio di Jan Palach, viene arrestato e condannato a 9 mesi di carcere per aver deposto fiori sotto la statua di san Venceslao. Il 19 novembre 1989 è tra i fondatori del Forum Civico, la principale struttura della “Rivoluzione di Velluto”. Il 29 dicembre diventa Presidente della Federazione Cecoslovacca, carica da cui si dimette nel 1992, dopo la scissione dalla Slovacchia. Il 26 gennaio 1993, il nuovo parlamento céco lo elegge primo Presidente della Repubblica Céca. Nel gennaio 1996, dopo una lunga malattia, muore la moglie Olga, amatissima in Patria. Il 20 gennaio 1998, il Parlamento lo elegge nuovamente presidente della Repubblica, rimarrà in carica fino al 2003.




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18 dicembre 2011

Estratto da:

"Il potere dei senza potere"
di Václav Havel

Il direttore di un negozio di frutta e verdura mette in vetrina, fra le cipolle e le carote, un’insegna con lo slogan “Proletari di tutto il mondo, unitevi!”. Perché lo fa? Cosa cerca di comunicare al mondo? È veramente eccitato dall’idea di un’unione tra i lavoratori di tutto il mondo? Il suo entusiasmo è così grande che sente l’insopprimibile impulso di comunicare pubblicamente i suoi ideali? Si è davvero fermato un momento a pensare come una tale unificazione potrebbe verificarsi e che cosa significherebbe?

Penso che si possa tranquillamente presumere che la stragrande maggioranza dei commercianti non pensi mai agli slogan appesi nella loro vetrina, né che li utilizzino per esprimere le loro reali opinioni. Le insegne vengono consegnate al nostro ortolano dall’azienda, insieme alle cipolle e alle carote. Le ha messe tutte in vetrina semplicemente perché è stato fatto in questo modo per anni, perché lo fanno tutti, e perché questo è il modo in cui si deve fare. Se rifiutasse, potrebbe avere dei problemi. Potrebbe essere rimproverato per non aver ottemperato alla decorazione della sua vetrina; qualcuno potrebbe addirittura accusarlo di slealtà. Lo fa perché queste cose devono essere fatte se uno non vuole avere problemi nella vita. Si tratta di una delle migliaia di minuzie che gli garantiscono una vita relativamente tranquilla, “in armonia con la società”, come si suol dire.

L’ortolano ovviamente non mette lo slogan in vetrina perché senta il desiderio di far conoscere al pubblico l’ideale che esprime. Questo, però, non significa che la sua azione non abbia alcun motivo o significato, o che lo slogan non comunichi nulla a nessuno. Lo slogan è veramente un segno e, come tale, esso contiene un messaggio subliminale, ma molto preciso. Verbalmente, potrebbe essere espresso così: “Io, l’ortolano XY, vivo qui e so che cosa devo fare. Mi comporto nella maniera che ci si aspetta da me. Sono affidabile e del tutto irreprensibile. Obbedisco e quindi ho il diritto di essere lasciato in pace”. Questo messaggio, ovviamente, ha un destinatario: esso è diretto in primo luogo ai superiori dell’ortolano, e allo stesso tempo è uno scudo che protegge l’ortolano da parte dei potenziali informatori. Il vero significato dello slogan, quindi, è fermamente radicato nell’esistenza dell’ortolano. Riflette i suoi interessi vitali. Ma quali sono questi interessi vitali?

Prendiamo nota: se l’ortolano fosse stato incaricato di esporre lo slogan “Ho paura e pertanto obbedisco senza fare domande”, non sarebbe quasi indifferente alla sua semantica, nonostante una tale dichiarazione rifletta la pura verità. L’ortolano sarebbe in imbarazzo e si vergognerebbe a mettere una tale dichiarazione inequivocabile del suo degrado in vetrina, e ovviamente è così perché egli è un essere umano e, quindi, ha un senso della propria dignità. Per superare questa complicazione, la sua espressione di lealtà deve assumere la forma di un segno che, almeno sulla sua superficie testuale, indica un livello di convinzione disinteressato. L’ortolano deve poter dire: “Che cosa c’è di sbagliato con i proletari del mondo che si uniscono?” Così il segno aiuta l’ortolano a nascondere a se stesso i bassi fondamenti della sua obbedienza, e nello stesso tempo il basso fondamento del potere al quale obbedisce. Si nasconde dietro la facciata di qualcosa di elevato. E questo qualcosa è l’ideologia.

L’ideologia è un modo falso di rapportarsi al mondo. Offre agli esseri umani l’illusione di una identità, una dignità e una moralità, rendendo più facile al contempo separarsene. In quanto imitazione di qualcosa di sovrapersonale e disinteressato, essa permette alle persone di ingannare la propria coscienza e di nascondere la loro vera posizione, e il loro inglorioso modus vivendi, sia al mondo che a loro stessi. Si tratta di un velo dietro il quale gli esseri umani possono nascondere le loro esistenza fallita, la loro banalità, e il loro adattamento allo status quo. Si tratta di un alibi che tutti possono usare, dall’ortolano, che nasconde la paura di perdere il suo posto di lavoro dietro un presunto interesse per l’unificazione dei lavoratori del mondo, al più alto funzionario, il cui interesse per restare al potere può essere avvolto in frasi circa il servizio alla classe operaia. La funzione primaria dell’ideologia, quindi, è quello di fornire alle persone, sia come vittime che come pilastri del sistema, l’illusione che il sistema è in armonia con l’uomo e con l’ordine dell’universo.

Il sistema tocca le persone ad ogni passo, ma lo fa con i guanti dell’ideologia. Questo è il motivo per cui la vita nel sistema è talmente permeata a fondo con ipocrisia e bugie: la burocrazia di governo è chiamato governo popolare; la classe operaia è schiava in nome della classe operaia; la completa degradazione dei singoli è presentata come la sua definitiva liberazione; celare le informazioni è chiamato divulgazione; la manipolazione autoritaria è chiamata controllo pubblico del potere, l’arbitrarietà e l’abuso di potere sono chiamate stretta osservazione del codice giuridico; la repressione della cultura è chiamata il suo sviluppo; l’espansione dell’influenza imperialistica è presentata come supporto per gli oppressi, la mancanza di libertà di espressione diventa la più alta forma di libertà; le elezioni-farsa diventano la più alta forma di democrazia; il divieto di pensiero indipendente diventa la più scientifica delle visioni del mondo; l’occupazione militare diventa fraterna assistenza. Poiché il regime è vincolato alle proprie menzogne, si deve falsificare tutto. Si falsifica il passato, il presente, e il futuro. Si falsificano le statistiche. Si finge di non possedere un onnipotente apparato di polizia capace di tutto. Si finge di rispettare i diritti umani. Si finge di non perseguitare nessuno. Si finge di non temere niente. Si finge di non fingere.

Perché il nostro ortolano ha dovuto addirittura mettere in vetrina la sua professione di fedeltà? Non lo aveva già fatto sufficientemente in vari modi? Alle riunioni sindacali, dopo tutto, ha sempre votato come dovrebbe. Ha sempre votato alle elezioni come ogni buon cittadino. Perché, dopo tutto questo, deve ancora dichiarare pubblicamente la sua fedeltà? In fondo le persone che oltrepassano a piedi la sua vetrina di certo non si soffermano a leggere che, nel parere dell’ortolano, i lavoratori del mondo dovrebbero unirsi. Il fatto è che non leggono affatto lo slogan, e si può persino assumere non lo vedono neanche. Se si chiedesse a una donna che si è fermata davanti al suo negozio ciò che ha visto in vetrina, potrebbe certamente dire se c’erano o non c’erano pomodori oggi, ma è altamente improbabile che abbia notato la presenza dello slogan, per non parlare di ciò che vi era scritto.

Sembra un’assurdità richiedere all’ortolano di dichiarare pubblicamente la sua fedeltà. Ma ha senso comunque. Le persone ignorano il suo slogan, ma lo fanno perché tali slogan si trovano anche in altre vetrine, su lampioni, bacheche, in finestre d’appartamento e sugli edifici: in effetti sono ovunque. Naturalmente, mentre si ignorano i dettagli, le persone sono molto consapevoli di questo panorama nel suo complesso. E che cos’altro è lo slogan dell’ortolano se non un piccolo componente di questo enorme sfondo alla vita quotidiana?

L’ortolano ha dovuto mettere lo slogan nella sua vetrina, quindi, non nella speranza che qualcuno possa leggerlo ed esserne persuaso, ma per contribuire, insieme con migliaia di altri slogan, al panorama che tutti conoscono bene. Questo panorama, naturalmente, ha un significato subliminale ulteriore: quello di ricordare alle persone dove vivono e che cosa ci si aspetta da loro. Dice loro ciò che tutti gli altri stanno facendo, e indica ciò che devono fare, se non vogliono essere esclusi, isolati, allontanati dalla società, rompere le regole del gioco col rischio della perdita della pace, tranquillità e sicurezza

Ora immaginiamo che un giorno qualcosa nel nostro ortolano scatti e che la smetta di esporre il suo slogan solo perché gli fa comodo. La smette di votare a delle elezioni che riconosce come una farsa. Comincia a dire ciò che pensa veramente alle riunioni politiche. E trova anche la forza dentro di sé per esprimere solidarietà a coloro che la sua coscienza gli comanda di sostenere. In questa rivolta l’ortolano smette di vivere all’interno della menzogna. Egli respinge il rituale e spezza le regole del gioco. Egli scopre nuovamente la sua identità e dignità soppresse. Dà alla sua libertà un concreto significato. La sua rivolta è un tentativo di vivere nella verità.

La resa dei conti non tarderà ad arrivare. Sarà esonerato dal suo posto come direttore del negozio e trasferito al deposito. La sua retribuzione sarà ridotta. Le sue speranze per una vacanza in Bulgaria evaporeranno. L’accesso all’istruzione superiore per i suoi figli sarà minacciato. I suoi superiori lo molesteranno in continuazione e i suoi compagni di lavoro si faranno domande sul suo conto. La maggior parte di coloro che applicano tali sanzioni, tuttavia, non lo farà spinto da qualche interiore convinzione, ma semplicemente sotto la pressione di certe condizioni: le stesse condizioni che una volta spingevano l’ortolano ad esporre gli slogan ufficiali. Essi perseguiteranno l’ortolano perché è quello che ci aspetta da loro, per dimostrare la loro lealtà, o semplicemente come parte del panorama generale, al quale appartiene la consapevolezza che questo è il modo in cui situazioni di questo tipo sono trattate, che questo, di fatto, è come le cose sono sempre state fatte, soprattutto se non vogliono diventare sospetti a loro volta.

Così la struttura del potere, attraverso il comportamento di coloro che effettuano le sanzioni, quelle anonime componenti del sistema, espelle da sé l’ortolano. Sarà lo stesso sistema a punirlo per la sua ribellione, attraverso la sua presenza alienante nelle altre persone. Ed è obbligato a farlo, in modo automatico, per auto-difesa. L’ortolano non ha commesso una semplice, individuale infrazione, isolata nella sua unicità, ma qualcosa di incomparabilmente più grave. Ha infranto le regole del gioco, ha interrotto il gioco in quanto tale. Lo ha esposto come un semplice gioco. Egli ha frantumato il mondo delle apparenze, il pilastro fondamentale del sistema. Egli ha sconvolto la struttura di potere lacerando ciò che lo tiene insieme. Egli ha detto che il re è nudo. E poiché il re in effetti è nudo, qualcosa di estremamente pericoloso è accaduto: con la sua azione, l’ortolano ha affrontato il mondo. Egli ha permesso a tutti di scrutare dietro le quinte. Egli ha dimostrato a tutti che è possibile vivere nella verità. Infatti vivere all’interno della menzogna può fungere da pilastro del sistema solo se la menzogna è universale. Il principio deve permeare e abbracciare tutto.


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Lunedi 19 Dicembre, 2011

tratto da: Litterae Communionis, febbraio 1980 (anno VII), p. 46.
Vaclav HAVEL, Il potere dei senza potere, CSEO/outprints, 1979, pp. 96, L. 3.000.

Vaclav Havel, «Il potere dei senza potere»
di Francesco Rinaldini

«Ma chi sono veramente questi "dissidenti"? Da dove nasce la loro opposizione e che senso ha? In che cosa consiste il senso di quelle "iniziative indipendenti" su cui i "dissidenti" si aggregano e che reali chances hanno queste iniziative? E' opportuno, riferendosi alla loro azione, usare il concetto di "opposizione"? Se sì, che cosa è veramente - nell'ambito di questo sistema - una simile "opposizione", come opera, che ruolo giuoca nella società, in che cosa spera e in che cosa può sperare? Hanno i "dissidenti" come uomini che sono al di fuori di tutte le strutture del potere e nella posizione di "subcittadini" - le forze e le possibilità per agire in qualche modo sulla società e sul sistema sociale? Possono, in definitiva, cambiare qualcosa?».

Con queste domande si apre questo breve scritto, “Il potere dei senza potere”, che Havel ha terminato nell'ottobre del 1978, pochi mesi prima di essere arrestato, e a queste domande quest'opera cerca una risposta. Anzitutto attraverso una riflessione sul carattere del potere nei sistemi socialisti dell'Europa orientale. A questo proposito qui basterà solo riferire che Havel individua una serie di fattori che lo portano a concludere che le forme del totalitarismo socialista sono sostanzialmente diverse da quelle della dittatura classica: Havel designa questa nuova forma di organizzazione del potere come sistema «post-totalitario».

Il ruolo che l'ideologia svolge in questo sistema è determinante. Se le intenzioni della vita sono di esprimersi in modo variegato, libero, di costruire secondo la pluralità delle forme, il sistema post-totalitario esige e permette solo una grigia uniformità, il più rigido monolitismo. L'ideologia è chiamata a sanare questa frattura fra le intenzioni della vita e le intenzioni del sistema: ad essa è assegnato il compito di spacciare le intenzioni del sistema come quelle che servono la vita, che la rendono tale. L'ideologia costruisce un mondo dell'apparenza da cui i bisogni autentici della vita sono assenti: essa prende in considerazione l'uomo e i suoi bisogni solo per quanto ciò può contribuire alla realizzazione delle intenzioni del sistema.

Che cosa può rompere questo mondo dell'apparenza costruito dall'ideologia in cui tutti, dal dirigente del partito all'operaio hanno un ruolo preciso e un compito da svolgere?

L'emblematico protagonista del libro, un verduraio, un bel giorno decide di non esporre nella vetrina del negozio che gestisce, il cartello con lo slogan «Proletari di tutto il mondo unitevi!» uno dei tanti che compongono il panorama del mondo dell'apparenza. Egli, come tutti, ha esposto il cartello per anni: al di là del significato dello slogan, che gli è probabilmente del tutto estraneo, egli ha manifestato la sua fedeltà al mondo dell'apparenza, si è adattato alle circostanze. Così facendo ha posto la sua pietra per l'edificazione di quel mondo, egli stesso ne è divenuto cittadino a pieno titolo nell'unico modo possibile: mentendo.

Il giorno in cui decide di non esporre più il cartello con lo slogan, il nostro personaggio compie un tentativo di vivere nella verità. Questo gesto scatena contro di lui una lunga serie di «punizioni»: perderà il posto di direttore del negozio e tornerà a fare l'operaio, molto probabilmente i figli non potranno accedere alle scuole superiori, subirà angherie da parte dei superiori ecc. Nell'ottica del sistema questi provvedimenti non sono affatto sproporzionati: togliendo il suo mattone dall'edificio della menzogna, il nostro personaggio ne rende instabili le strutture. La «vita nella menzogna», infatti, si perpetua solo a condizione della sua universalità: ogni trasgressione, ogni tentativo di vita nella verità «la nega come principio e la minaccia nella sua totalità». Perciò, afferma Havel, la vita nella verità «non ha solo una dimensione esistenziale (restituisce l'uomo a se stesso), noetica (rivela la realtà com'è), e morale (è un esempio); ma ha anche una evidente dimensione politica». Infatti, nei sistemi post-totalitari il potere si fonda sulla sottrazione ai danni degli uomini della loro esistenza autentica, sulla loro alienazione. Fornendo una falsa risposta al desiderio dell'uomo, il potere deve far riferimento alla vita autentica che dimora inespressa negli uomini. Celata nel mondo dell'apparenza, della menzogna, vive perciò la sfera segreta inespressa, delle intenzioni della vita. Tuttavia, essa non resta sempre segreta e inespressa: nel momento in cui viene alla luce e si manifesta (in un gesto come quello del nostro verduraio, per es.) lo fa con un'enorme forza dirompente. Il sistema viene sgretolato dalle sue fondamenta poiché la manipolazione delle intenzioni autentiche della vita gli viene ormai impedita: l'uomo si riappropria dell'espressione del suo desiderio.

Se nei sistemi post-totalitari esiste qualcosa che può definirsi «opposizione», non può essere nient'altro che questa «vita nella verità». Di essa non può dirsi a quali scadenze porterà un mutamento generale della società e dell'organizzazione politica, ma è certo che lo porterà. In quale direzione? Havel non «occidentalizza». Paradossalmente il superamento dei sistemi post-totalitari non viene individuato nei sistemi «democratici»: si fa timidamente strada l'idea di un sistema «post-democratico». Ciò rappresenta la prospettiva non utopica della «rivoluzione esistenziale», che è «soprattutto prospettiva di una ricostituzione morale della società, cioè di un rinnovamento radicale del rapporto autentico dell'uomo con quello che ho chiamato "ordine umano" (e che non può essere sostituito da nessun ordine politico). Una nuova esperienza dell'essere; un rinnovato ancoraggio nell'universo; una riassunzione della "responsabilità suprema"; il ritrovato rapporto interiore con l'altro uomo e con la comunità umana - ecco la direzione...».

Dalla cella in cui l'autore di queste parole è rinchiuso, esse risuonano ancora più cariche di consapevolezza e serietà, e testimoniano della sua personale assunzione di quella responsabilità suprema verso la verità.


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18 dicembre 2011

articolo scritto nell’ottobre scorso dal nostro boemista, Gabriele Merlini, che riproponiamo nel giorno della scomparsa del grande drammaturgo e politico ceco

Václav Havel, il potere dei senza potere
di Gabriele Merlini

Capita con curiosa frequenza di incappare in qualcuno etichettato come trasversale. Ci troviamo nello smisurato campo delle accettazioni vaghissime tuttavia utilizzate come fossero infallibili, imprescindibili e ultra-qualificanti. Václav Havel è stato traversale per moltissimi individui: analisti politici, sociologi, critici teatrali, letterati e qualche dittatore. D’altronde la sua biografia parla chiaro. Parimenti, parla chiaro la lista dei tizi che hanno inviato i propri messaggi di auguri all’ex presidente ceco (nato a Praga il cinque ottobre del trentasei). Bill Clinton e signora Hillary, di professione segretario di stato, Lou Reed e Angela Merkel (due che menzionati assieme nella stessa frase generano un inaspettato effetto art-rock) più l’imperatore giapponese Akihito e potenti di ogni sorta. Gruppetto al quale dobbiamo aggiungere persino l’attuale presidente della Repubblica Ceca Václav Klaus, ovvero uno che di Havel è stato cordialissimo antagonista per circa trent’anni.

In questi giorni un giornalista ceco ha scritto che pure una scimmietta potrebbe svolgere in modo decoroso la professione di ministro da queste parti. Il riferimento va alla recente nomina di Petr Bendl al dicastero della agricoltura. Il governo di centrodestra guidato da Petr Necˇas che l’ha proposto e fatto accomodare in poltrona risulta infatti essere piuttosto screditato tra popolazione e media, e simili constatazioni sono conseguenze di un diffuso malessere.

Sia come sia -e con tutto il rispetto per le scimmiette- combinare quel che Havel ha combinato nel corso della propria esistenza è faccenda assai diversa dal ruolo di un politico in questi tempi. Tendenzialmente più intrigante. Competenze e spirito necessari si scovano con difficoltà tra grossi primati o tra gli interpreti della attuale scena locale, più o meno benvisti. Ovvio: contesti non paragonabili. Ma piace pensare che lo spessore di qualcuno sappia emergere anche in assenza di partiti unici, filo spinato e polizie segrete. La scorsa settimana il compleanno di Havel è stato festeggiato al centro d’arte contemporanea DOX di Praga 7, piacevole palazzo situato dove la Moldava fa un’ansa e gli spazi espositivi per pittori spuntano come funghi. Presenti circa cinquecento persone tra le quali la grande amica (ed ex segretario di stato USA con natali cechi) Madeleine Albright, che ha portato in dono un compasso pare risalente ai tempi nei quali i confini cecoslovacchi vennero tracciati su carta: era il 1918. Precisazione da rotocalco magari inadatta ad un magazine di geopolitica, ma prendiamola come notifica del fatto che la salute di Havel continui a reggere dopo i problemi respiratori dell’anno scorso e ciò deve essere motivo di felicitazione tra gli osservatori dell’area e non solo.

Uomo di stato pescato dalla gattabuia e spedito nello sfarzo del Castello a ridosso della libertà riconquistata*, primo presidente della Repubblica Ceca dopo la divisione con la Slovacchia, nonché drammaturgo di riconosciuta sensibilità. Deciso capopopolo e magnetico capocomico, Havel si è dimostrato capace di reinventarsi, rinascere e riproporsi infinite volte dando costantemente di sé la parte migliore o più funzionale al progetto. Adam Michnik, polacco dissidente e papà della celebre Gazeta Wyborcza, nel fare gli auguri a Havel ha ricordato che il potere dei senza potere (la giustizia secondo una celebre definizione dello stesso Havel) sarà sempre più forte di ogni dittatura e finirà per imporsi in ogni contesto. Più che una constatazione storica, una speranza in chiave futura. Servono sempre. A seguire i ringraziamenti per l’impegno ai tempi della lotta e lo spessore delle opere prodotte.

Proporre in questa sede un bignamino della vita di Havel sarebbe forse inutile e superfluo; per gran parte è cosa nota. Inoltre il web trabocca di notizie al riguardo e fortunatamente Wikipedia è tornata a fornire il proprio preziosissimo contributo. Tuttavia, a chiunque fosse interessato a celebrare il settantacinquesimo compleanno del personaggio regalandosi un approfondimento trasversale e dettagliato si consiglia (impersonale giornalistico per dire: consiglio io) l’intrigante documentario «Obcˇan Havel: scény z prezidentské kuchyneˇ», correlato di sottotitoli in inglese a beneficio di chi non masticasse fluentemente il ceco. Il titolo tradotto significa «Cittadino Havel: scene da una cucina presidenziale»: tra stoviglie e caffè, qualche imbarazzo e fantastici scorci praghesi, un punto d’osservazione privilegiato per recepire qualcosa di una indole particolarissima e ripercorrere la vicenda di un tizio che come pochi ha lasciato indelebile l’impronta del proprio piedone sulla storia dell’ultimo cinquantennio in Europa centro-orientale e che, quando serve, la sua città omaggia.

* Lo slogan, ai tempi della «sametová revoluce» [«rivoluzione di velluto»: termine di conio non ceco per definire gli eventi del novembre e dicembre 1989 che portarono al rovesciamento del regime cecoslovacco] era appunto Havel na hrad, «Havel nel Castello».


 
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2 febbraio 2003

Dal discorso di commiato rivolto ai cittadini

di Vaclav Havel

Cari concittadini... Cari concittadini, il cambiamento radicale della situazione del nostro paese mi ha condotto dalla fine del 1989 fin qui, al Castello di Praga. E' accaduto tutto così all'improvviso che non ho nemmeno avuto il tempo di riflettere adeguatamente se sono stato all'altezza del mio compito. Allora ero sinceramente convinto che l'avrei assunto solo per alcuni mesi, fino alle prime elezioni libere. Ecco, tutto è andato diversamente: tranne la breve parentesi durante la seconda metà del '92, sono qui già da tredici anni. Durante questo periodo ho potuto vedere e ho vissuto direttamente molti cambiamenti epocali, sia da noi che in tutta Europa e nel mondo intero. Lo ritengo un grande dono del destino per il quale non cesserò mai di essere grato. E facile distruggere tutto il delicato meccanismo delle istituzioni civili e dei rapporti insorti nel giro di diversi decenni, statalizzare ogni ambito e amministrare la vita di tutto il paese con un unico centro politico. Ma dover risistemare tutto, dopo decenni passati fuori dalla storia, è enormemente impegnativo e a lunga scadenza. E' come se doveste restaurare dei mobili antichi: occorre molto più tempo che a sfasciarli del tutto.

... Oggi vorrei ringraziare di cuore tutti voi che in un modo o nell'altro mi avete dato fiducia, simpatia o appoggio. Senza il vostro affetto non sarei potuto resistere nella mia funzione nemmeno per un minuto... Alle volte forse ho commesso degli errori. Ma vorrei assicurarvi di una cosa: ho cercato sempre di seguire l'imperativo di quell'istanza su cui ho posto il mio giuramento: quello della mia scienza e coscienza.

A tutti coloro che in qualche modo ho deluso, che non hanno approvato le mie azioni o per i quali sono stato solo un avversario, porgo le mie scuse sincere, e sono sicuro che mi perdoneranno...

Cari concittadini, quando il 17 luglio 1992 lasciai la funzione di presidente cecoslovacco, ringraziai fra gli altri anche mia moglie Olga per essermi stata sempre vicino. Olga è morta, io mi sono risposato e la mia seconda moglie Dagmar ha dovuto assumersi un compito in condizioni molto sfavorevoli. Per questo oggi vorrei ringraziare anche lei per la pazienza, la solidarietà e per aver accolto creativamente il suo compito.

Cari amici, mi congedo da voi come presidente, ma resto con voi come concittadino! !


 
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