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Lunedì 12 gennaio 2015


Se i giornali mentono
di Mostafa El Ayoubi


«Se i giornalisti avessero fatto il loro mestiere, se avessero esaminato e messo in discussione la propaganda invece di amplificarla, centinaia di migliaia di uomini, donne e bambini potrebbero essere vivi oggi; milioni di persone non avrebbero dovuto abbandonare le loro case; la guerra settaria tra sunniti e sciiti non ci sarebbe stata e il famigerato Stato islamico (Isis) forse non esisterebbe». Sono le parole del giornalista australiano John Pilger in un articolo pubblicato sul suo sito il 5 dicembre scorso intitolato “War by media and the triumph of propaganda”. Pilger ha citato una sua conversazione con Carne Ross, un diplomatico britannico che nel 1990 fu responsabile per le sanzioni contro l’Iraq, che gli rivelò: «Davamo in pasto ai giornalisti informazioni parziali e manipolate dall’intelligence, oppure li tenevamo fuori». Udo Ulfkotte, ex corrispondente esteri della Frankfurter Allgemeine Zeitung, ha dichiarato di aver lavorato per conto dei servizi segreti occidentali, fornendo informazioni, ma soprattutto modificando i propri scritti per fornire al pubblico “realtà” in cui Usa e Nato fossero sempre visti come i buoni, e gli altri come i cattivi. Per molti anni, ha ammesso, è stato anche a libro paga della Cia. Un suo scritto del settembre 2014, “Giornalisti comprati”, dice: «La diversità di opinioni nei giornali è una pura finzione, i nostri messaggi sono spesso puro lavaggio del cervello».
È ormai un segreto di Pulcinella quello dello stretto rapporto tra le grandi potenze economiche e militari e i grandi media. Questi ultimi giocano da tempo un ruolo centrale nel modellare le coscienze e nel convincere l’opinione pubblica circa la necessità degli interventi militari – “umanitari” – per proteggere le popolazioni da massacri da parte dei governi dittatoriali.
Per quanto riguarda l’Iraq, nel 2003 i grandi media avevano avallato e diffuso le bugie di Bush e Blair sull’esistenza di armi di distruzione di massa e su una presunta complicità tra Saddam e Bin Laden.
Lo fecero anche durante la prima guerra del 1991. In quel periodo circolò la notizia che «gli invasori avevano fatto irruzione in un ospedale, rimuovendo 312 neonati dalle loro incubatrici e lasciandoli morire sul freddo pavimento dell’ospedale di Kuwait City». Questa falsa storia fu «sbandierata ripetutamente dal presidente Bush sr., ribadita dal Congresso, avallata dalla stampa più autorevole e persino da Amnesty international; questa notizia così orripilante ma anche così circostanziata da indicare con assoluta precisione il numero dei morti, non poteva non provocare una travolgente ondata di indignazione: la guerra contro Saddam era non solo necessaria ma anche urgente» (vedi Domenico Losurdo, L’industria della menzogna quale parte integrante della macchina di guerra dell’imperialismo, 4 settembre 2013).
Sulle conseguenze disastrose delle guerre contro l’Iraq, i media mainstream sono rimasti colpevolmente silenti. Secondo Denis Halliday, ex alto funzionario delle Nazioni Unite in Iraq, le sanzioni uccisero più di un milione di iracheni; stando ad altre fonti, mezzo milione di bambini sono morti in seguito alle offensive “umanitarie” contro l’Iraq. Eppure i media che contano hanno tenuto l’opinione pubblica all’oscuro di tutto ciò. Da un sondaggio dell’istituto ComRes, emerge che circa il 70% dei britannici pensa che la guerra abbia causato solo 10mila morti tra gli iracheni (vedi “Iraqi death toll survey”, ComRes, 2013).
Stessa logica riguardo la Siria. I media mainstream avevano diffuso notizie false circa l’uso da parte di al-Assad di armi chimiche. Lo stesso hanno fatto circa il massacro di bambini a Hola nel maggio del 2012: la Bbc ha diffuso una foto di repertorio di bambini morti risalente alla guerra dell’Iraq del 2003. E soprattutto hanno omesso di raccontare alla gente che quelli che combattono da circa 4 anni in Siria contro al-Assad sono in gran parte dei jihadisti.
La crisi ucraina è un altro esempio preoccupante. La mistificazione dell’informazione a favore dei progetti geopolitici espansionistici degli Usa/Nato, alle porte di Mosca, è giunta a dei livelli allarmanti. È un gioco pericoloso perché la Russia non è l’Iraq o la Libia. E la guerra mediatica contro i russi potrebbe sfociare in un nuovo conflitto armato mondiale anche per colpa dei media.

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