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mercoledì 13 maggio 2015

 

Il conflitto israelo-palestinese e il ruolo dei media internazionali

di Iacopo Tonini

 

Recentemente sono stato a un seminario dove il professor Ruben Durante di Sciences Po ha presentato il suo ultimo lavoro, dal titolo: “Attack when the world is not watching? International Media and the Israeli-Palestinian conflict”. Sebbene l’articolo abbia un focus specifico, quello della guerra israelo-palestinese, la ricerca ambisce a dimostrare l’esistenza di un rapporto di causazione tra scelte politiche impopolari e notizie con un forte impatto mediatico.

“Ho notato che mia figlia più grande tende a rubare i giochi del fratellino più piccolo in assenza di noi genitori”, ha detto sorridente il professore italiano, spiegando come è nata l’idea della ricerca. In effetti, il processo sembra logico. Nel caso di un conflitto influente come quello israelo-palestinese, è possibile che i vertici delle due fazioni aspettino che il mondo guardi da un’altra parte, prima di coordinare e lanciare un grosso attacco o riiniziare gli scontri dopo un periodo di pace.

Al di là dell’intuitivo esempio estrapolato dalla quotidianità familiare, casi più concreti sono i seguenti. Il 13 luglio 1994, ovvero il giorno in cui la nazionale italiana si è qualificata per la finale della coppa del mondo, il governo Berlusconi passò un decreto di emergenza – ribattezzato successivamente “salva-ladri” – che ha permesso a vari politici accusati di corruzione di evitare il carcere. Un altro esempio è l’avvio delle operazioni militari russe per l’invasione della Georgia, iniziate il giorno della cerimonia di apertura delle Olimpiadi Estive di Pechino del 2008. Infine, l’8 luglio 2014, mentre allo stadio Mineirão di Belo Horizonte la Germania infliggeva alla Seleçao una storica débâcle, Israele lanciava l’operazione “Protective Edge” contro Gaza.

 

“I governi sono tenuti a rispondere delle loro azioni, nella misura in cui il pubblico è informato del loro operato. I mass media dunque, svolgendo il loro lavoro di informare i cittadini, garantiscono che i governi agiscano responsabilmente”, ha risposto il professore ad una domanda rivoltagli da uno studente. Quando pensiamo all’informazione prodotta ogni giorno, e dunque al livello di presa di coscienza dei cittadini, deve essere tenuta in considerazione la possibile presenza di “news obbligate”, che potrebbero diminuire lo spazio destinato ad informare i cittadini sulle azioni governative. L’assunto su cui la ricerca si basa, e che nel caso specifico del conflitto israelo-palestinese sembra dimostrare, è che i politici potrebbero sfruttare tali “news obbligate” per attuare azioni impopolari in modo che coincidano con grandi eventi che distolgano l’attenzione del pubblico.

Una visione paranoico-complottista del ricercatore? I dati confermano che non è così. Il professor Durante mostra che la copertura mediatica del conflitto israelo-palestinese determina un aumento nell’interesse del pubblico, come conferma l’aumento del 12% delle ricerche su Google relative al tema.

Ma veniamo al caso studiato: il conflitto israelo-palestinese.

Dagli anni Settanta il governo israeliano dedica molta attenzione a proiettare un’immagine positiva di Israele e del suo esercito. Tale politica è denominata Hasbara, che in ebraico significa “spiegazione”, e include produzione di materiale informativo su questioni riguardanti Israele e il Medio Oriente, collaborazioni tra giornalisti internazionali e israeliani e operazioni per influenzare l’opinione pubblica tramite i social media. Niente di simile si ha invece in Palestina.

Durante, nel suo articolo, scrive: “Verosimilmente, in un conflitto niente ha un impatto più negativo sull’opinione pubblica internazionale della presenza di vittime civili”. Anche le due fazioni del conflitto israelo-palestinese sono perfettamente consce del ruolo primario dei media nell’informare, e quindi influenzare, l’opinione pubblica. Un esempio di ciò sono le parole del Primo Ministro israeliano Netanyahu che in un’intervista rilasciata alla CNN il 20 luglio 2014 spiegava le strazianti immagini di vittime civili palestinesi a Gaza dicendo: “Hamas vuole ammassare più vittime civili possibile […] usano morti telegenici per raggiungere il suo obiettivo”.

I risultati della ricerca, “ottenuti combinando dati sugli attacchi da parte di entrambi gli eserciti con dati sui contenuti delle news serali per le principali emittenti TV statunitensi”, mostrano che è molto più probabile che gli attacchi israeliani siano perpetrati quando il giorno successivo agli attacchi le news negli USA sono dominate da eventi rilevanti, non collegati con il conflitto israelo-palestinese – come un’elezione o il Super Bowl. Nello specifico, la ricerca mostra che lo “strategic timing” da parte dell’esercito israeliano è meno rilevante in un periodo di combattimenti intensi e che la pianificazione strategica degli attacchi è presente solo qualora vi sia la possibilità che vengano colpiti civili. I fatti documentati confermano che l’intento di Israele è quello di “minimizzare la copertura del giorno successivo agli attacchi” che, nel caso di contenuti grafici violenti e emotivi riportanti vittime civili, avrebbero un impatto particolarmente negativo sull’opinione pubblica americana.

Al contrario, lo stesso risultato non è rinvenuto per gli attacchi palestinesi, che non sembrerebbero essere pianificati. Questo potrebbe riflettere il marcato gap che esiste tra i due schieramenti militari: la Palestina non ha le stesse risorse e gli stessi livelli organizzativi dell’esercito israeliano, e non è in grado di attuare le stesse strategie – si noti tuttavia che non va escluso a priori che la Palestina abbia un minore interesse verso l’opinione pubblica americana.

A ldi là degli interessanti risultati del paper riguardo al conflitto israelo-palestinese, questa ricerca va oltre e offre un ottimo spunto per ricordare l’importanza del ruolo giocato dai mass media: un cane da guardia tanto potente da influenzare le azioni dei governi, semplicemente portando avanti il suo lavoro di informare i cittadini – e questo assume ancora più valore alla luce del progresso tecnologico che vede l’interconnessione tra le persone crescere esponenzialmente.

 

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