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lunedì 10 novembre 2014

 

Il Pontificio Consiglio per il dialogo sui I crimini e la barbarie del Califfato islamico

 

I militanti del Califfato responsabili di azioni indegne dell'uomo: esecuzioni pubbliche, umiliazione delle donne, terrore ,.. verso cristiani, yazidi e membri di altre religioni. L'invito ai capi religiosi e i governi islamici a condannare e perseguire tali crimini perché sia credibile la loro volontà di dialogo. Potenziare la convivenza fra cristiani e musulmani che pur fra alti e bassi dura da secoli.

 

Città del Vaticano (AsiaNews) - Il Pontificio consiglio per il dialogo interreligioso denuncia senza mezzi termini la serie di violenze che i militanti del califfato islamico sta compiendo in Medio Oriente, soprattutto in Iraq e in Siria. L'organismo vaticano domanda ai membri di tutte le religioni e della comunità internazionale di unirsi nella condanna. Esso chiede anche ai capi religiosi islamici di condannare l'uso falso della religione come giustificazione al terrorismo, per rendere più vera e più credibile la cultura della convivenza e del dialogo, cresciuta in questi anni. Riportiamo qui di seguito la traduzione integrale della dichiarazione pubblicata  dal Pontificio consiglio.

 

Il mondo intero ha assistito con stupore a ciò che viene ormai chiamata "la restaurazione del califfato", che era stato abolito il 29 ottobre 1923 da Kemal Ataturk, fondatore della Turchia moderna.

Le critiche di questa "restaurazione" da parte della maggioranza delle istituzioni religiose e politiche musulmane non ha impedito ai jihadisti dello "Stato islamico" di commettere e continuare a commettere azioni criminali indicibili.

 

Questo Pontificio consiglio, tutti coloro che sono impegnati nel dialogo interreligioso, gli aderenti di tutte le religioni, come pure le donne e gli uomini di buona volontà non possono che denunciare e condannare senza ambiguità queste pratiche indegne dell'uomo:

-      il massacro di persone per il solo motivo della loro appartenenza religiosa;

-      le pratiche esecrabili della decapitazione, crocifissione e l'impiccagione dei cadaveri nei luoghi pubblici;

-      la scelta imposta a cristiani e yezidi fra la conversione all'islam, il pagamento di un tributo (jizya) o l'esodo;

-      l'espulsione forzata di decine di migliaia di persone, fra le quali bambini, vecchi, donne incinta e malati;

-      il rapimento di ragazze e di donne appartenenti alle comunità yezida e cristiana come bottino di guerra (sabaya);

-      l'imposizione della pratica barbara dell'infibulazione;

-      la distruzione dei luoghi di culto e dei mausolei cristiani e musulmani;

-      l'occupazione forzata o la dissacrazione di chiese e monasteri;

-      l'eliminazione di crocifissi e altri simboli religiosi cristiani  e di altre comunità religiose;

-      la distruzione del patrimonio religioso-culturale cristiano, dal valore inestimabile;

-      la violenza abbietta allo scopo di terrorizzare le persone per obbligarle ad arrendersi o a fuggire.

 

Nessuna causa potrebbe giustificare una tale barbarie e senz'altro nessuna religione. Si tratta di un'offesa di estrema gravità verso l'umanità e verso Dio che ne è il Creatore, come ha spesso ricordato papa Francesco.

Non si può dimenticare comunque che - seppure con alti a bassi - cristiani e musulmani hanno potuto vivere insieme lungo i secoli, costruendo una cultura della convivialità e una civiltà di cui sono fieri. Ed è su questa base che in questi ultimi anni il dialogo fra cristiani e musulmani ha continuato e si è approfondito.

La drammatica situazione dei cristiani, degli yazidi e delle altre comunità religiose ed etniche numericamente minoritarie in Iraq esige una presa di posizione chiara e coraggiosa da parte dei responsabili religiosi, soprattutto musulmani, delle persone impegnate nel dialogo interreligioso e di tutte le persone di buona volontà. Tutti devono essere unanimi nella condanna senza ambiguità di questi crimini e denunciare l'appello alla religione per giustificarli.

 

Altrimenti quale credibilità avranno le religioni, i loro aderenti e i loro capi?

 

Quale credibilità potrebbe ancora avere il dialogo interreligioso così pazientemente perseguito in questi ultimi anni?

 

I responsabili religiosi sono anche chiamati a esercitare la loro influenza presso i governanti perché cessino tali crimini, siano puniti coloro che li commettono, si ristabilisca uno stato di diritto su tutto il territorio, assicurando il ritorno degli sfollati a casa loro. Ricordando la necessità di un'etica nella gestione delle società umane, questi stessi capi religiosi non mancheranno di sottolineare che il sostegno, il finanziamento e l'armare il terrorismo è da condannare moralmente.

Ciò detto, il Pontificio consiglio per il dialogo interreligioso è riconoscente verso tutti coloro che hanno già levato le loro voci per denunciare il terrorismo, soprattutto quello che utilizza la religione per giustificarlo.

Uniamo dunque le nostre voci a quella di papa Francesco: "Che il Dio della pace susciti in noi un desiderio autentico di dialogo e di riconciliazione. La violenza non si vince con la violenza. La violenza si vince con la pace!".

 

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