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Giovedì 15 dicembre 2016

 

Cristiani in egitto tra rabbia e dolore

di Alessandra Bajec

 

L’attentato dell’11 dicembre vicino alla cattedrale copta di San Marco, al Cairo, riaccende la tensione tra il regime di Al-Sisi e la minoranza copta che lamenta scarsa protezione delle chiese e impunità nella violenza anti-cristiana.

 

Una strage dal bilancio di 25 morti e 50 feriti, la mattina di domenica scorsa, 11 dicembre, a seguito di una forte esplosione nella piccola chiesa di San Pietro e Paolo, adiacente alla cattedrale copta di San Marco, nel quartiere cairota di Abbasiya. Un ordigno da 12 chili di tritolo, secondo fonti investigative.

Tra informazioni contradditorie rilanciate dai media egiziani, il presidente Abdel Fattah Al-Sisi si è precipitato ad individuare il colpevole, il ventiduenne Mahmoud Shafik Mohamed Moustafa, che si sarebbe fatto esplodere all’interno della cappella. Quattro sospetti tra cui una donna sono stati arrestati come complici, altri due sarebbero ricercati.

 

La sera del 13 dicembre è arrivata la rivendicazione dall’Isis: ‘’Grazie a Dio, il fratello Abu Abdallah Al-Masry si è diretto verso un tempio dei cristiani nel quartiere di Abbasiya nel centro del Cairo. Si è posto al centro di un raduno di crociati e ha fatto esplodere la sua cintura causando 80 tra morti e feriti’’, così si apre il comunicato fatto circolare sul web due giorni dopo la tragedia dal califfato, che minaccia di voler colpire altri ‘’infedeli’’.

Un attacco bomba di questa portata contro un luogo di culto cristiano non avveniva dal gennaio 2011, quando un attentatore suicida fece 23 morti e almeno 100 feriti davanti alla chiesa dei Santi di Alessandria. L’episodio di domenica scorsa ha provocato grande dolore ma anche molta rabbia tra i copti d’Egitto, una minoranza pari a circa il 10% della popolazione del paese a maggioranza musulmana.

 

Comunità presa di mira

I cristiani copti sono da tempo nel mirino degli islamici integralisti, con il primo attacco riportato nel 1972 e molti altri a seguire negli ultimi anni, fa sapere Mina Thabet, ricercatore copto della Commissione egiziana per i diritti e le libertà. Numerosi gli assalti a case, chiese e negozi di cristiani dopo i violenti scontri nelle piazze di Rabaa e Al-Nadha, e il forzato sgombero di due sit-in organizzati dai sostenitori dell’islamista Mohamed Morsi nell’agosto 2013. Rappresaglie dai Fratelli Musulmani che ebbero come risultato oltre 85 chiese e monasteri bruciati e distrutti in circa 17 governatorati nel paese, in base alle stime di Thabet.

 

Dal golpe militare del 2013, che secondo gli islamisti fu appoggiato da gran parte dei cristiani, ammontano a una quarantina le aggressioni contro la minoranza copta a seguito della deposizione del presidente Morsi. La maggioranza delle violenze settarie si sono susseguite nelle zone dell’Alto Egitto e nel sud povero e privo di infrastrutture, in particolare nel governatorato di Minya dove il 35% di popolazione cristiana convive con una radicale presenza wahabita dopo il rientro in Egitto di numerosi migranti dai Paesi del Golfo.

 

Sebbene Al-Sisi, dopo aver destituito Morsi, abbia promesso di ristabilire l’ordine e proteggere le minoranze, e abbia più volte ribadito di considerare ‘’tutti uguali nei loro diritti e nei loro doveri, in accordo con la Costituzione», di fatto il presidente egiziano si guarda dal punire l’intolleranza islamista, attento a non inimicarsi i fanatici sauditi, alleati nella lotta ai Fratelli Musulmani. In cambio, finanziamenti a moschee e scuole religiose dove si predica un islam fondamentalista che non tollera le minoranze.

 

Abbandonati dalle istituzioni 

A questo si aggiunge la marginalizzazione sociale in cui versano i cristiani d’Egitto. Sebbene abbia sempre avuto un ruolo chiave nell’economia e nella fondazione del paese, la minoranza copta viene esclusa da ogni aspetto della vita politica e sociale, e molti copti oggi vivono sotto la soglia di povertà.

‘’L’ideologia estremista, i discorsi d’odio, la sicurezza carente e la repressione della società civile sono tra le motivazioni di quello che è accaduto domenica’’, afferma Thabet. Per l’attivista copto, quest’ultimo attentato riapre un necessario dibattito sulla fallimentare strategia anti-terrorismo dell’attuale governo egiziano, così come dei precedenti, che si è giocata tutta attorno all’uso della forza militare. ‘’Anche se potessimo contare sui miglori apparati di sicurezza, e non è di certo il caso, continueremmo comunque a fallire’’, dice l’ex-leader dell’Unione giovanile Maspero, un gruppo che difende i diritti dei cristiani copti. ‘’Dobbiamo combattere la disoccupazione, l’esclusione sociale, l’odio interreligioso, promuovere la giustizia, la libertà religiosa e di espressione’’, continua.

 

Intanto, crescono rabbia e delusione dei cristiani in questi tre giorni di lutto nazionale, con proteste davanti alla cattedrale di San Marco contro le autorità di sicurezza e il ministro dell'interno Abdel Ghaffar, accusati di non aver garantito misure adeguate a proteggere i luoghi di culto e la comunità copta.

Una nuova violenza anti-cristiana kamikaze che si manifesta oggi in attacchi meno frequenti, più diretti a un maggior numero di persone possibili. Questo, malgrado la nuova legge approvata ad agosto, volta a rimuovere i vincoli burocratici e legali per la costruzione di nuove chiese che fino ad ora ne avevano limitato l’edificazione o il restauro.

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