Da: Israel HaYom

1.3.15

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martedì 10 marzo 2015

 

I paradossali effetti della guerra civile siriana

di Daniel Pipes

 

Fra tragedie ed orrori, si vanno ridisegnando i contorni di un Medio Oriente i cui stati nazionali erano in gran parte entità artificiali

 

Gli spostamenti di popolazione provocati da quattro anni di guerra civile hanno profondamente cambiato la Siria e i suoi tre paesi arabi vicini: l’Iraq, il Libano e la Giordania (anche Turchia e Israele hanno subito mutamenti, ma in misura minore). Paradossalmente, fra tragedie ed orrori, man mano che le popolazioni si adattano agli spietati imperativi del moderno nazionalismo, tutti e quattro questi paesi si stanno trasformando in entità potenzialmente un po’ più stabili. Il che accade perché i combattimenti spingono le popolazioni a passare dallo status di minoranza etnica a quello di maggioranza, favorendo il riunirsi dei gruppi simili fra loro. Prima di esaminare ciascun paese, vediamo alcune informazioni sul contesto.

Innanzitutto il Medio Oriente, con i Balcani, presenta uno dei più complicati e instabili assetti etnico-religioso-nazionali al mondo. Si tratta di una regione dove lealtà e alleanze transfrontaliere complicano profondamente la politica locale. Se i Balcani innescarono la prima guerra mondiale, il Medio Oriente rischia di provocare il terzo conflitto mondiale.

In secondo luogo, le storiche tensioni tra le due principali correnti musulmane, quella sunnita e quella sciita, si erano in gran parte smorzate prima dell’ascesa al potere in Iran dell’ayatollah Ruhollah Khomeini nel 1979. Da allora, fomentate dall’aggressività di Teheran, sono tornate a divampare.

 In terzo luogo, le potenze imperialiste europee avevano praticamente ignorato l’identità delle popolazioni che vivono in Medio Oriente all’epoca in cui ridisegnarono la maggior parte dei confini nella regione, concentrandosi piuttosto sui fiumi, sui porti e su altre risorse che rispondevano ai loro interessi economici. Il pasticcio che c’è oggi di paesi delineati in modo alquanto arbitrario (come ad esempio la Giordania) ne è la diretta conseguenza.

Infine i curdi, che un secolo fa furono i principali sconfitti: non avevano intellettuali che perorassero la loro causa e si ritrovarono divisi in quattro stati diversi, e perseguitati in tutti e quattro. Oggi si sono organizzati per l’indipendenza.

Ma torniamo alla Siria e ai suoi vicini arabi. Siria e Iraq hanno subito sviluppi straordinariamente simili. Dopo la scomparsa dei loro orrendi dittatori, rispettivamente nel 2000 e nel 2003, entrambi i paesi si sono spaccati negli stessi tre gruppi etnici: arabi sciiti, arabi sunniti e curdi. Teheran domina entrambi i regimi a orientamento sciita, mentre diversi paesi a maggioranza sunnita (Turchia, Arabia Saudita, Emirati Arabi, Qatar) sostengono i ribelli sunniti. I curdi hanno cercato di tirarsi fuori dalle guerre civili arabe per edificare le loro aree autonome. Dittature un tempo piene di ambizioni riescono a malapena a mantenere in funzione le rispettive politiche estere. Di più, il confine vecchio di cento anni che separa la Siria dall’Iraq si è in gran parte dissolto.

Siria. La parte del paese ancora governata da Bashar al-Assad (alawita) sta diventando sempre più sciita. Si stima che metà dei 22 milioni di abitanti che costituivano la popolazione siriana prima della guerra civile abbia dovuto abbandonare le proprie case. Di questi, i tre milioni di profughi per lo più sunniti che hanno lasciato il paese probabilmente non potranno farvi ritorno, sia perché la guerra civile continua, sia perché il regime di Assad ha revocato la loro cittadinanza. Il regime sembra persino che abbia deliberatamente ridotto il proprio controllo sull’area vicino al confine con la Giordania per incoraggiare i sunniti ad andarsene dalla Siria. Un altro espediente del regime per incrementare la quota di popolazione sciita è stato quello di accogliere e insediare circa 500mila sciiti iracheni, a diversi dei quali ha anche concesso la cittadinanza siriana.

 Iraq. La guerra civile siriana ha fornito allo “Stato Islamico” (ISIS) l’occasione per entrare in Iraq, impadronendosi di città come Falluja e Mosul, il che ha causato un esodo di arabi non sunniti (soprattutto sciiti e yazidi), ridisegnando l’Iraq secondo linee etniche. Data l’eterogenea popolazione del paese, specialmente nella zona di Baghdad, occorreranno anni, forse decenni, prima che le parti si stabilizzino. Ma il processo sembra inesorabile.

Libano. I sunniti diventano sempre più forti e stanno respingendo l’interferenza iraniana. Il milione di profughi sunniti arrivati dalla Siria costituisce ormai il 20% della popolazione del paese, portando ad un raddoppio della comunità sunnita locale. Inoltre Hezbollah, l’organizzazione sciita dominante in Libano, trascura i suoi seguaci e perde influenza all’interno, impegnata com’è a combattere in Siria per conto del regime di Assad (e dell’Iran).

Giordania. Il recente afflusso di profughi siriani va a sommarsi a una precedente ondata di circa un milione di profughi iracheni. Insieme, i due gruppi hanno abbassato la percentuale di palestinesi sul totale della popolazione presente in Giordania al punto che questi ultimi probabilmente non costituiscono più la maggioranza della popolazione del paese: un cambiamento destinato ad avere importanti conseguenze politiche. Da un lato, ciò riduce la potenziale minaccia che i palestinesi rappresentano per la monarchia hashemita. Dall’altro, toglie terreno alla tesi sostenuta da alcuni israeliani per cui la Giordania sarebbe di fatto lo stato palestinese.

In sintesi, Iraq e Siria si stanno gradualmente scomponendo nei gruppi etnico-religiosi che li costituivano, il Libano sta diventando sempre più sunnita e la Giordania sempre meno palestinese. Per quanto sia agghiacciante il costo umano della guerra civile siriana, il suo impatto a lungo termine potrebbe potenzialmente fare del Medio Oriente una regione meno infiammabile, meno a rischio di scatenare una terza guerra mondiale.

 

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