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08/2/13

Squadroni della morte targati Usa, dal Salvador alla Siria

Macellai nazisti, con un solo compito: uccidere in massa, torturare, seminare il terrore. Ieri in America Latina, per stroncare la resistenza democratica in Salvador e la rivoluzione sandinista in Nicaragua, e oggi in Medio Oriente, per demolire la Siria come nazione dopo aver annientato l’Iraq. Cambia solo la manovalanza: soldati e miliziani sudamericani, oppure fanatici di Al-Qaeda, tagliagole reclutati nelle monarchie del Golfo e mercenari al soldo di agenzie controllate dal Pentagono. Identica la regia, targata Washington. Sempre la stessa persino la catena di comando: che risale al famigerato team collaudato dall’ex ambasciatore John Negroponte, l’inventore degli “squadroni della morte” che sterminarono migliaia di persone e assassinarono Oscar Romero, arcivescovo di El Salvador. Rivelazioni inquietanti: anche in Iraq e in Siria hanno operato i killer coordinati dalla “squadra” di Negroponte e del suo “allievo”, l’ambasciatore Robert Stephen Ford.

La denuncia è firmata dal professor Michel Chossudovsky, che dal Canada dirige il “Global Research Institute”, autorevole agenzia indipendente per il monitoraggio degli scenari internazionali. «Il reclutamento degli squadroni della morte fa parte di una ben consolidata agenda militar-spionistica degli Stati Uniti», scrive Chossudovsky in un intervento su “Global Research” ripreso da “Tlaxcala”. Si tratta di «una storia lunga e macabra», fatta di «finanziamenti clandestini, sostegno a brigate del terrore e omicidi mirati». La Siria è soltanto l’ultimo capitolo della vicenda, con campi di addestramento operativi dal 2010 – quando ancora in Libia c’era Gheddafi. Il grande collaudo avvenne in America Centrale: 75.000 morti solo in Salvador, per sostenere la dittatura militare grazie all’azione terroristica dei “contras” dislocati in Honduras anche per arginare il “contagio” dei rivoluzionari sandinisti del Nicaragua.

Dall’America Latina al Medio Oriente: «Squadroni della morte sponsorizzati dagli Usa – racconta Chossudovsky – sono stati reclutati in Iraq a partire dal 2004-2005 in un’iniziativa lanciata sotto la guida dell’ambasciatore statunitense John Negroponte, inviato a Baghdad dal Dipartimento di Stato nel giugno 2004». Negroponte era “l’uomo giusto per il lavoro”. Come ambasciatore degli Stati Uniti in Honduras dal 1981 al 1985, aveva svolto un ruolo fondamentale nel sostenere i “contras” e dirigere gli “squadroni della morte” dell’esercito honduregno. Uno schema “perfetto”, che il Pentagono rivaluta spesso. Anche nel 2005, quando conferma che «la formazione di squadre di azione terroristica di combattenti curdi e sciiti per prendere di mira i leader rivoltosi della Resistenza irachena, come risorsa strategica, è stata presa a prestito dalla lotta degli Stati Uniti di 20 anni fa contro i guerriglieri di sinistra nell’America Centrale». Sulle linee della cosiddetta “Opzione El Salvador”, elementi armati iracheni e statunitensi sarebbero stati inviati ad assassinare o rapire leader rivoltosi, anche raggiungendoli in Siria, dove alcuni di loro pensavano di trovarsi al sicuro.

I “contras”, ricorda Chossudovsky, venivano equipaggiati con il denaro proveniente da vendite illegali di armi dagli Usa verso l’Iran: «Uno scandalo che avrebbe potuto rovesciare il signor Reagan». Si ricomincia dunque da Baghdad: «Non era chiaro se l’obiettivo principale di queste missioni in Iraq sarebbe stato quello di assassinare i ribelli o di rapirli, per poi interrogarli sotto tortura». Operazioni in ogni caso «gestite dalla Cia, che doveva assicurare come un alibi all’amministrazione al potere l’estraneità delle decisioni, fornendo ai funzionari e ai dirigenti degli Stati Uniti la possibilità di negare la conoscenza delle operazioni stesse». Mentre l’obiettivo dichiarato della “Opzione Salvador in Iraq” era di “neutralizzare la ribellione”, in pratica «le brigate terroristiche sponsorizzate dagli Usa venivano coinvolte in uccisioni sistematiche di civili, al fine di fomentare la violenza settaria tra le fazioni». A loro volta, la Cia e il servizio segreto britannico Mi6 «facevano da supervisori delle unità “Al Qaeda in Iraq” impiegate in omicidi mirati direttamente contro la popolazione sciita».

Questione di uomini, anche. Come Robert Stephen Ford: prima di diventare ambasciatore degli Usa in Siria, Ford era il braccio destro di Negroponte a Baghdad nel 2004-2005, consigliere speciale per gli “affari politici”. «Non solo era membro del team più esclusivo – spiega Chossudovsky – ma era anche collaboratore stretto di Negroponte nell’impostare l’“Opzione Salvador”». Prima a Najaf, poi a Baghdad: a Negroponte e Ford «veniva affidato il compito del reclutamento degli squadroni della morte iracheni». Mentre il “maestro” coordinava l’operazione dal suo ufficio presso l’ambasciata degli Stati Uniti, Ford era incaricato di stabilire «contatti strategici con gruppi di miliziani sciiti e curdi». Nello staff, avevano un ruolo di reclutatori di “estremisti” altri due funzionari d’ambasciata, Henry Ensher e Jeffrey Beals. Terzo uomo-chiave nel team di Negroponte: James Franklin Jeffrey, ambasciatore Usa in Albania e poi in Iraq fino al 2012.

Fondamentale il ruolo dei militari. Magari veterani del Vietnam come il colonnello a riposo James Steele, già coordinatore dei “contras” in Honduras e riciclato da Negroponte a Baghdad come “consigliere” per le forze di sicurezza irachene: di fatto, Steele «curava la selezione e la formazione dei membri dell’Organizzazione Badr e dell’Esercito del Mahdi, le due più importanti formazioni di miliziani sciiti in Iraq, allo scopo di prendere di mira la dirigenza e le reti di informazioni di supporto in primo luogo della Resistenza sunnita». Risultato: «Questi squadroni della morte immediatamente sfuggivano ad ogni controllo, per diventare la principale causa di morte in Iraq». Corpi martoriati, torturati e mutilati, «saltavano fuori per le strade di Baghdad ogni giorno». Era il “lavoro” del team di Negroponte: «Ed è questa la violenza settaria, sostenuta segretamente dagli Usa, che in gran parte ha portato al disastro infernale che è l’Iraq di oggi».

Secondo il deputato democratico Dennis Kucinich, il colonnello Steele era il responsabile dell’attuazione di un piano in El Salvador per cui decine di migliaia di salvadoregni erano “scomparsi” o erano stati assassinati: c’era lui dietro l’omicidio di monsignor Romero e di quattro suore statunitensi. Dopo la sua nomina a Baghdad, lo stesso Steele – sempre lui – veniva assegnato ad una unità contro-insurrezionale conosciuta come “Reparto di Polizia Speciale” alle dipendenze del ministero degli interni iracheno. I rapporti confermano che «l’esercito degli Stati Uniti consegnava molti prigionieri alla Brigata Wolf, il temuto 2° battaglione delle unità speciali del ministero degli interni», sotto la supervisione del colonnello Steele. «Militari americani e consiglieri statunitensi stavano in disparte e non facevano nulla, mentre membri della Brigata Wolf picchiavano e torturavano i prigionieri», in una biblioteca di Samarra trasformata in carcere: un’intervista di Peter Maas per il “New York Times”, accompagnato dal colonnello Steele, «veniva interrotta dalle urla terribili di un prigioniero».

Altro personaggio di spicco nella macelleria irachena organizzata da Washington, l’ex capo della polizia di New York, Bernie Kerik, incriminato nel 2007 per gravissimi reati ma ingaggiato da Bush nel 2003 come addestratore della polizia irachena, fino a diventare “ministro ad interim” degli interni. Il “lavoro”: assassinare medici, ingegneri, scienziati e intellettuali iracheni. «Sotto la guida di Negroponte come ambasciatore degli Stati Uniti a Baghdad – scrive Chossudovsky – si era scatenata un’ondata di uccisioni di civili e di omicidi mirati, sotto copertura». Lo scrittore Max Fuller ha documentato in dettaglio le atrocità commesse sulla scia del programma contro-insurrezionale sponsorizzato dagli Stati Uniti: «La comparsa di squadroni della morte diventava assolutamente evidente», nel maggio del 2005, quando «decine di corpi venivano ritrovati gettati alla rinfusa in aree deserte attorno a Baghdad: tutte le vittime erano ammanettate, bendate e colpite alla testa, e molte di loro portavano anche i segni di essere state brutalmente torturate».

Le prove della strage erano così convincenti, ricorda il “Financial Times”, che l’associazione degli accademici musulmani (Ams), una delle principali organizzazioni sunnite, rilasciava dichiarazioni pubbliche in cui le forze di sicurezza organizzate dagli Usa venivano accusate di «stare dietro agli omicidi», con l’aiuto del ministero degli interni di Baghdad, responsabile di un vero e proprio «terrorismo di Stato». Dietro le quinte, il colonnello Steele e il suo braccio destro, Steven Casteel, consigliere statunitense al ministero degli interni iracheno, reduce dalle “guerre della droga” in Colombia contro Pablo Escobar e il Cartello di Medellin negli anni ’90. Un “lavoro” «impostato dalle fondamenta da Negroponte nel 2005» e poi «pienamente realizzato sotto il suo successore, l’ambasciatore Zalmay Khalilzad». Un patrimonio “prezioso”, da riciclare immediatamente: in Siria. «La macabra versione irachena dell’“Opzione Salvador”», sotto la guida di Negroponte, «è servita come “modello di comportamento”» per la creazione dei nuovi “contras” mediorientali, quelli del cosiddetto “Libero Esercito Siriano”. Obiettivo identico: creare divisioni tra fazioni (in questo caso tra sunniti e alawiti, sciiti e curdi, drusi e cristiani) per disintegrare la Siria.

Lo conferma un articolo dello “Spiegel” sulle atrocità commesse nella città siriana di Homs: omicidi di massa ed esecuzioni extragiudiziali paragonabili a quelli condotti dagli squadroni della morte in Iraq, con il pieno appoggio degli Stati Uniti. Gli abitanti di Homs sono stati regolarmente classificati come “prigionieri” (sciiti, alawiti) e “traditori”. I “traditori” sono quei civili sunniti, all’interno dell’area urbana occupata dai ribelli, che esprimono il loro dissenso o la loro opposizione alle “regole del terrore” del Libero Esercito Siriano. L’accelerazione in Siria risale al luglio 2011 ed è firmata da Robert Stephen Ford, il braccio destro di Negroponte a Baghdad: il progetto, rileva Chossudovsky, ha richiesto un programma iniziale di reclutamento e di addestramento di mercenari: squadroni della morte composti da unità salafite libanesi e giordane, e penetrati in Siria già dal marzo 2011 attraverso il confine con la Giordania. Gran parte dell’operazione, secondo “Global Research”, era già in atto prima dell’arrivo di Ford a Damasco nel gennaio 2011.

Mentre nel giugno 2011 veniva annunciata la creazione del Libero Esercito Siriano, sigla che rappresenta una vera e propria “cortina fumogena”, il reclutamento e la formazione di mercenari stranieri erano stati avviati in un periodo ben precedente. Se i media occidentali hanno sempre sostenuto che il Libero Esercito Siriano rappresenta un’entità militare formatasi come risultato di diserzioni di massa delle forze governative, in realtà «il numero di disertori non è stato né significativo né sufficiente per costituire una struttura militare coerente con le funzioni di comando e controllo». Si tratta invece di «una rete a maglie larghe di distinte brigate terroristiche, che a loro volta sono costituite da numerose cellule paramilitari che operano in diverse parti del paese». Milizie «controllate da agenti delle forze speciali e di intelligence, supportate dagli Stati Uniti e dalla Nato e incorporate nei ranghi di determinate formazioni terroristiche». Addestramento elevato e professionale, per i macellai degli squadroni della morte: «Molti di loro sono dipendenti di compagnie private di sicurezza», mercenari e contractor reclutati dalla Nato e dalle monarchie petrolifere del Golfo, coordinati da agenzie del Pentagono nonché dallo Special Air Service britannico e dai paracadutisti francesi.

E’ un universo tenebroso: dai terroristi dinamitardi della Brigata Al-Nusra, “affiliata” ad Al-Qaeda, ai “professionisti” reclutati dall’americana Blackwater. Scene da incubo: «Quando i terroristi cercano di controllare l’identità religiosa di un sospetto, gli chiedono di citare le genealogie risalenti fino a Mosè», denuncia la cattolica “Agenzia Fides” in una cronaca da Aleppo. Agli sventurati alawiti «chiedono di recitare preghiere che hanno rimosso: non hanno alcuna possibilità di uscirne vivi». Oltre agli squadroni salafiti “targati” Al-Qaeda, si muovono altre brigate «sotto gli auspici dei Fratelli Musulmani», attive fin dall’inizio della rivolta nel marzo 2011. Secondo fonti dell’intelligence israeliana, questo caos sanguinoso è stato avviato e promosso dalla Nato e dalla Turchia, secondo modalità che ricordano l’arruolamento dei mujaheddin afghani per la “guerra santa” organizzata dalla Cia quando Kabul era ancora sotto l’occupazione sovietica.

«È in atto una campagna per arruolare migliaia di volontari musulmani nei paesi del Medio Oriente e nel mondo musulmano, e portarli a combattere a fianco dei ribelli siriani», avvertiva già nell’agosto 2011 “Debka Files”, un sito vicino al Mossad. «L’esercito turco avrebbe ospitato questi volontari, li avrebbe addestrati e avrebbe assicurato il loro passaggio in Siria». Eserciti segreti, come quelli formatisi nella cittadella militare di Zayed negli Emirati Arabi Uniti, con mercenari forniti da agenzie come Xe Services, ex Blackwater. «L’accordo con gli Emirati Arabi Uniti per stabilire un campo militare per la formazione di mercenari è stato firmato nel luglio 2010, nove mesi prima dello scatenarsi delle guerre in Libia e in Siria», ricorda Chossudovsky. E, secondo recenti sviluppi, società di sicurezza sotto contratto con la Nato e il Pentagono «sono impegnate nell’addestramento di squadroni della morte di “oppositori” sull’uso di armi chimiche», come conferma un recente servizio della “Cnn”.

Nell’ombra, sempre gli stessi dirigenti formatisi alla scuola di Negroponte: insieme a Robert Stephen Ford, ha traslocato da Baghdad a Damasco l’intero staff degli organizzatori degli squadroni della morte: lo stesso Ford «ha fatto parte di un gruppo ristretto inserito nella squadra del Dipartimento di Stato degli Stati Uniti, che curava il reclutamento e la formazione di brigate terroristiche», in collaborazione con uomini come Derek Chollet, nuovo sottosegretario alla Difesa, incaricato per la sicurezza internazionale. La squadra, continua “Global Research”, operava sotto la guida dell’ex sottosegretario di Stato per il Medio Oriente, Jeffrey Feltman. «Il gruppo di Feltman era in stretto collegamento con il processo di reclutamento e addestramento di mercenari provenienti da Turchia, Qatar, Arabia Saudita e Libia», che ha spedito in Siria almeno 600 miliziani anti-Gheddafi.

Feltman agiva di concerto con due ministri degli esteri, il saudita Saud al-Faisal e lo sceicco Hamad bin Jassim, del Qatar. Attraverso il “coordinamento speciale per la sicurezza” istituito a Doha, nel Qatar, Feltman coordinava un gruppo di cui faceva parte anche il principe Bandar bin Sultan, famigerato 007 saudita. Dulcis in fundo, nel giugno 2012 lo stesso Feltman è stato nominato sottosegretario generale per gli affari politici dell’Onu, «una posizione strategica che, in pratica, consiste nel fissare l’agenda delle Nazioni Unite (per conto di Washington) in merito alle questioni relative alla “risoluzione dei conflitti” nei diversi “punti geopolitici caldi” di tutto il mondo», tra cui Somalia, Libano, Yemen, Libia, Mali e, appunto, Siria. «Per amara ironia – osserva Chossudovsky – i paesi oggetto della “risoluzione dei conflitti” sono proprio quelli che sono il bersaglio delle operazioni segrete degli Stati Uniti».

Non solo: in collaborazione con il Dipartimento di Stato Usa, la Nato «e i loro manutengoli dei paesi del Golfo», da Doha a Riyadh, sempre Feltman è «l’uomo di Washington che sta alle spalle dell’inviato speciale dell’Onu», Lakhdar Brahimi, incaricato di sviluppare una “proposta di pace” in Siria, il paese dove i “peacekeeper” della scuola di Negroponte hanno portato la guerra e la strage, sulla scorta dell’esperienza dell’America Latina e poi dell’Iraq. «Gli Stati Uniti hanno proposto che la “fine del gioco” in Siria non coincida con un cambio di regime, ma con la distruzione della Siria come Stato-nazione», conclude il professor Chossudovsky. «Il dispiegamento di squadroni della morte di “oppositori”, con il mandato di uccidere civili, fa parte di questa impresa criminale». In più, questo aberrante “terrorismo dal volto umano” è ora sorretto dall’ipocrisia delle Nazioni Unite, mentre gli Usa puntano alla disgregazione dalla sovranità della Siria per minacciare direttamente il vero obiettivo, l’Iran, e i media occidentali si bendano gli occhi e preferiscono addossare al regime di Assad le atrocità «commesse dagli squadroni della morte Usa-Nato».

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