Al-Quds al-Arabi
28/03/2014

L’Iraq e il caos americano
di Abd al-Jabbar al-Jubouri
Traduzione e sintesi di Angela Ilaria Antoniello

Un Paese ostaggio di un grave conflitto settario interno

Oggi l’Iraq assiste al caos e ad una scena sanguinosa dell’immagine di democrazia, entrambi portati dall’amministrazione George Bush quando il Paese fu invaso. Un orrore a cui assiste tutta la regione e che ha creato quei disordini, conseguenza del progetto americano per l’intera regione, che in Iraq trovano la loro massima espressione. Un progetto, ideato da Bernard Lewis molto tempo fa, che ha determinato divisione e frammentazione su base settaria, etnica e nazionale.

Se si guarda a cosa è successo e succede nella regione, dall’Iraq alla Tunisia passando per Siria, Egitto e Bahrein, tutto è legato all’idea americana di Grande Medio Oriente, ma in Iraq la faccenda è diversa: qui la scena è oltremodo sanguinosa, complessa e caotica rispetto agli altri Paesi a causa del conflitto settario e della subordinazione di alcuni attori all’Iran politico, religioso e militare. Questo sta portando il Paese alla guerra civile settaria tra il governo e il popolo. L’Iraq oggi è un Paese senza presidente da due anni, ostaggio di una guerra settaria che coinvolge il partito di governo e il suo leader nonché le diverse province scosse dalla sua dittatura sanguinaria. Le province rivendicano i loro diritti legittimi, diritti che lo stesso capo del governo aveva riconosciuto.

Il potere di Al-Maliki, però, vacilla: le sue politiche poco oculate hanno arricchito le file degli avversari giorno dopo giorno ridimensionando il numero di alleati al governo, alleati che si sono trovati in un vicolo cieco dati i rapporti con i curdi, il movimento Sadr e alcune questioni con il Consiglio Islamico.  Tuttavia, il premier vuole andare fino in fondo: l’obiettivo è imporre la sua autorità e consolidare la sua posizione sulla Commissione elettorale, la Corte federale, la Banca centrale irachena, le forze armate, i servizi segreti e le varie milizie prima delle elezioni.

Al-Maliki sta portando il Paese sull’orlo del baratro. Lo slogan utilizzato è quello della “terra bruciata”, sia col popolo che con i suoi alleati nel processo politico, un processo che risente della mancanza di un presidente e del limitato ruolo del Consiglio, umiliato davanti al mondo intero, un precedente raro nei parlamenti del globo eccetto che in Iraq. Bisognerebbe dire ad Al-Maliki di fermarsi: basta insultare la Costituzione, il Parlamento e il popolo; basta guerre su base settaria tra il silenzio delle autorità e degli alleati che avrebbero potuto porre fine alla violenza e contenere il Primo Ministro sordo alle richieste del popolo e pronto ad aprire una crisi con i suoi avversari politici.

L’obiettivo di Al-Maliki, condiviso da Washington e Teheran, è assicurarsi il terzo mandato ad ogni costo, così il suo esercito compie esecuzioni di massa e si avvale della presenza di forze irregolari. Sì, ci sono gruppi terroristi, c’è disordine militare, politico, amministrativo, sociale e settario e una guerra civile settaria tra il governo e il popolo. L’Iraq assiste, quindi, ad una situazione di caos creato dagli americani.

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