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03 giugno 2015

USA, vera forza di difesa israeliana
di Jeffrey St. Clair


Davanti ai crimini di Israele Washington rimane imperterrita, nel suo perpetuo vuoto etico, con un Congresso pieno di politici equivalanti a OGM impegnati a diffondere la loro sinossi pesticida

Il venerdì pomeriggio del 22 maggio scorso l’aria in Cisgiordania era triste. Nulla di straordinario, solo il funerale di un altro giovane che non avrà futuro. Sotto l’ombra implacabile del Muro e sotto tiro dei fucili israeliani, oltre 200 persone in lutto percorrevano il viale verso il vecchio cimitero della città di Beit Ummar. Alcuni urlando contro i soldati per aver causato un’ altra morte senza senso.
Era il funerale dello studente universitario Jafaar Awad, entrato in coma e morto dopo due mesi di detenzione in un carcere israeliano dove la sua grave malattia era peggiorata per la mancanza di cure. Awad non aveva neanche 22 anni quando è morto nelle mani dei carcerieri israeliani, come tanti altri prigionieri palestinesi, per negligenza medica.

Fuoco sul funerale
Mentre il dolore dei presenti di stringeva intorno alla tomba di Awad, le Forze di difesa israeliana lanciavano in quella direzione una serie di candelotti di gas lacrimogeno stordendo e disperdendo il gruppo. Poi le armi automatiche hanno aperto il fuoco vero, di proiettili, colpendo una dozzina di persone, tra cui il cugino di Jaafar, Ziad Awad. Ziad, colpito alla spina dorsale, è morto poche ore dopo nell’ospedale di Hebron. Aveva solo 28 anni. Ancora qualche ora dopo la morte di Ziad per mano di cecchini israeliani, la FDI emetteva un laconico comunicato adducendo che i soldati erano stati costretti a sparare perché qualcuno aveva iniziato a lanciare sassi contro di loro.
Mi ha sorpreso che la FDI si è sentita in obbligo di giustificarsi per un assassinio che ormai è routine nei territori palestinesi: i bambini lanciano pietre, scalano rocce, saltano a corda, fanno le bolle i sapone o gettano terra su una tomba aperta. Non avevano altra scelta che sparare.
I palestinesi non hanno diritto a risarcimenti per questa carneficina quotidiana: non ci sono tribunali a cui chiedere di giudicare la legittimità dei colpi sparati, nessuna giurisdizione a cui chiedere indennizzi per i costi delle cure mediche, il dolore, la sofferenza o i giorni di lavoro perduti. Nessun giustizia per la mattanza.
Quante perdite, quanta miseria, quante umiliazioni è in grado di sopportare una persona?

Lo stato di Israele sempre più violento e sanguinario
Nel 2014 le FDI hanno assassinato a Gaza oltre 2300 palestinesi, ferendone circa 17.000. La peggior carneficina dal 1967, l’epoca in cui si intensificò l’occupazione della Cisgiordania e di Gaza, successiva alla Guerra dei Sei Giorni.
Nell’attacco di Israele a Gaza dell’estate scorsa, oltre 500.000 palestinesi sono scappati dalle loro case. Inoltre, secondo un recente dossier ONU, intitolato Fractured lives (Vite spezzate) più di 100.000 di questi sfollati sono ancora senza casa. E’ aumentato il numero di detenuti palestinesi: alla fine di febbraio di quest’anno oltre 6.600 palestinesi risultavano rinchiusi nelle prigioni e nei centri di detenzione delle FDI, la cifra più alta degli ultimi 5 anni.
Così stanno le cose, gli ingranaggi della macchina assassina israeliana funziona nell’impunità, e ogni mattanza serve unicamente a fomentare altre morti.
Chi la fermerà? Di certo non sarà il principale investitore finanziario dello stato di Israele, il Congresso degli Stati Uniti d’America. C’è una capacità di sincronizzazione selvaggia nell’alleanza tra la nazione che bombarda cortei nuziali con i droni e chi mitraglia i cortei funebri.

Come si paga un gangster in cambio di protezione
Ogni anno il Congresso nordamericano dona a pioggia oltre 3 miliardi di dollari a Israele. Anche i più taccagni delle Camere sono d’accordo. L’unico dibattito che si produce è se questa sontuosa elargizione, che rappresenta oltre la metà del bilancio in aiuti militari, sia sufficienti per dissetare le sempre più assetate Forze di difesa israeliane (FDI). Pur sapendo che Israele ha più volte sabotato la politica degli Stati Uniti nella regione, lo stesso Barak Obama ha definito il “pacchetto di aiuti” come “sacrosanto”.
Alla luce dei fatti, questa annuale sovvenzione a Israele da parte degli USA somiglia sempre più al pagamento di una potente tassa ad un gangster in cambio di protezione.
Non dovrebbe sorprendere che due dei discepoli americani più vicini a Benjamin Netanyahu, Ted Cruz e Tom Cotton, si sono laureati in legge ad Harvard, incubati nella serra sionista di Alan Dershowitz. Comunque né Cruz né Cotton sono casi eccezionali. In realtà non c’è un briciolo di differenza tra le posizioni di Ted Cruz e Elizabeth Warren, l’Athena dei progressisti, quando si tratta di difendere lo scandaloso comportamento di Israele. Warren, come molti altri liberali, sembra investire gli straordinari per dimostrare una fedeltà senza paragoni nei confronti dello stato ebraico.
La tanto decantata lobby israeliana ha bisogno solo di un lobbista. Ultimamente, i nuovi membri del Congresso arrivano già predisposti a provare la loro devozione alla causa israeliana. Non c’è bisogno di bustarelle dei PAC (Comitati di azione politica), cortei di prostitute o ricatti tramite foto scandalose. Quando Israele uccide uno scienziato iraniano, impiega armi chimiche contro la popolazione di Gaza, tortura prigionieri, assassina una giovane pacifista statunitense, spara su un funerale o, persino, la si scopre a spiare lo stesso presidente USA, il Congresso salta all’unisono in sua difesa – se nessuno chiede non c’è bisogno di risposte – e invia un altro assegno a Tel Aviv.
Davanti al crimine di guerra più prolungato al mondo, Washington rimane imperterrita, nel suo perpetuo vuoto etico, con le sue Camere piene di equivalanti politici degli OGM impegnati a diffondere la loro sinossi pesticida.


Jeffrey St. Clair, nato a Indianapolis, Indiana (USA) nel 1959. Giornalista investigativo e editore del magazine CounterPunch. Ultimo libro pubblicato è Killing Trayvons: an Anthology of American Violence ( scritto con Joann Wypijewski e Kevin Alexander Gray), sul caso della vergognosa assoluzione del poliziotto George Zimmerman che in Floridia, il 26 febbraio del 2012, uccise con un colpo di pistola il 17enne afroamericano Trayvon Martin. (traduzione di Marina Zenobio)
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