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Civil March For Aleppo - gruppo di coordinamento italiano

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Skopje 22/26 aprile 2017

 

Prima parte

Maurizio

 

Ciao,

vent’anni fa, per entrare nel conflitto yugoslavo bastava un cinquantello per l’autostrada e la benzina. Poi, arrivati ad Ancona ci s’imbarcava sul primo volo dell’Onu disponibile e in 45 minuti si atterrava a Sarajevo. Oggi, invece, servono centinaia di euro ogni volta, per raggiungere i conflitti mediorientali. Ne soffre il sempre più fragile rapporto con il ritmo del denaro che, solo raramente ormai viene sopraffatto dall’urgenza dell’ingerenza umanitaria. L’altra difficoltà è la differenza culturale, un gap che, almeno in Palestina viene superato dalla ormai multidecennale frequentazione. In Siria, invece, la questione rimane delicata, fragile e scabrosa, nonostante esistano piccole Ong spontanee che continuano da anni a portare aiuti, anche sopportando il costo del pedaggio imposto da chi presiede la frontiera.

 

Altra cosa è entrare in contatto con il conflitto, in passato ci sono stati rapimenti e tradimenti, proprio a causa delle difficoltà di capirsi, distinguersi e accettarsi l’un l’altro. Questi sono solo i primi ostacoli in cui ci si muove penetrando il conflitto siriano. Purtuttavia, con questa intenzione palesata sulle loro bandiere bianche, un vispo gruppone di volenterosi, sono partiti da Berlino il 26 dicembre, in pieno inverno, con destinazione Aleppo. Lo hanno fatto a piedi, come si faceva nel medioevo quando si andava a visitare i luoghi santi per espiare i propri peccati. E forse, la Pace in Siria è anch’essa un miracolo che molti chiedono al cielo, offrendo il sacrificio della marcia e perpetuando l’antica tradizione. La via è quella balcanica, già percorsa in senso contrario dai migranti in fuga dai conflitti mediorientali, anch’essi alla ricerca di pace. Così anche noi, io e Carla, siamo partiti per Skopje, Macedonia, per incontrare questi giovani che perpetuano l’ingerenza umanitaria.

 

Skopje in Macedonia,  si trova lungo il corso superiore del fiume Vardar,  su una delle strade principali dei Balcani tra l'Europa centrale ed Atene.

L’attuale ponte di pietra eretto dai romani, è stato ricostruito a metà del 15° secolo e si slancia sul fiume Vardar raggiungendo la sponda opposta alla Fortezza di Kale costruita sulle rovine dell’Impero bizantino di Giustiniano e sotto la quale tuttora prospera la vecchia città. Di fronte, dall’altra parte del ponte la città nuova, con la nuovissima piazza Alessandro Magno. L’11 aprile di due anni fa, il Guardian titolava “Come Skopje è divenuta la nuova capitale europea del kitsch”. Almeno 20 Palazzi e oltre 40 monumenti sono stati pianificati e progettati per essere costruiti come parte di un progetto che comprende anche la costruzione di altre 136 strutture. Inoltre, centinaia di Statue incontaminate di eroi, scrittori e artisti macedoni incorniciano la piazza, simbolo della nuova identità nazionale.

Tutto in stile Las Vegas, con un’enorme statua di Alessandro Magno che sovrasta una finta colonna Aureliana, con su narrata in basso rilievo, la storia delle sue imprese. La colonna sembra ottenuta con una stampante in 3D e poi verniciata a fascie bianche e grigio fumo. E ancora, il cavallone rampante con le gambe anteriori scagliate in aria, secondo l’iconografia dei condottieri a cavallo, dovrebbe suggerire che l’eroe sia morto in battaglia, ma invece Alessandro è morto nel suo letto a 33 anni, avvelenato da qualcuno che gli era molto vicino, o anche per cirrosi epatica, o forse per per una recidiva della malaria. Ma non in battaglia. Peccato. Sempre nella piazza si trovano anche alcune fontane in stile Las Vegas o anche Flamingo road. Dall’altra parte del vecchio ponte romanico, prima di raggiungere la statua, anch’essa enorme di Filippo II° il Macedone, papà di Alessandro e massacratore di greci. Prima, dicevo, c’è un’ennesima fontana eretta per celebrare la maternità, con madri che hanno tutte il profilo di Sofia Loren.

Infine anche un improbabile Arco di Trionfo, anch’esso ad uso e consumo di turisti e identità nazionale. Mi vengono in mente i cetnici serbi che, dopo la distruzione del ponte di Mostar dichiararono che ne avrebbero costruito uno ancora più vecchio. Ecco! Questo è il vero spirito dell’intero progetto Skopje 2014.

Comunque lo scopo di far crescere la consapevolezza della nuova identità nazionale, di cui la Macedonia ha tanto bisogno, coglie perfettamente nel segno. La carrozza tirata da due cavalli lipizzani e il trenino elettrico pieno di ragazzoni con telefonino e occhiali da sole, accompagnano i macedoni verso l’integrazione identitaria di cui non possono fare a meno, fino al punto che, anche qui, come in un tempo non ancora remoto nel Kossovo serbo, i macedoni rivendicano la patria macedone condannando gli albanesi all’emarginazione armata e difesa dai blindati bianche dell’Onu.

 

In questo ambiente variopinto e trasversale al pensiero unico televisivo e internettiano, incontriamo i marciatori che irrompono alla chetichella sventolando le loro bandiere bianche. Anna, l’organizzatrice polacca, residente a Berlino, è la prima ad arrivare con il suo cameraman al fianco. Poi via via tutti gli altri. Sono venticinque, ma a loro si aggiungeranno i nuovi arrivati, oltre a noi che siamo solo in visita, c’è una signora australiana, rumeni, inglesi, catalani, e quant’altro. Sono quasi trenta le diverse nazionalità dei partecipanti che si sono avvicendati lungo il percorso. Ad incontrare la marcia anche il responsabile dell’Onu per la Macedonia. E un’italiana impiegata presso l’OSCE in Kossovo. Purtroppo non c’è molto spazio per approfondire tematiche e informazioni sulla marcia, perché il clima è molto evanescente e si vive e ci s’organizza giorno per giorno senza considerare troppo gl’interrogativi che attendono più avanti sulla strada. Dalla Macedonia proseguiranno per la Grecia e poi la Turchia. Giovani belli e sinceri si danno il cambio a staffetta in questa mega camminata di 3.600 km, partita sotto la neve, proseguita incurante del clima e diretta verso il caldo sole dell’Anatolia prima di raggiungere la frontiera con la Siria, prevista per settembre.

 

Seconda parte

Carla

 

I giovani che partecipano alla marcia hanno i volti leggermente abbronzati e i capelli arruffati dal vento, mentre gli occhi sono vigili e attenti, le bandiere impolverate e macchiate dal viaggio. Quando Anna la giornalista polacca che ha ideato e realizzato la marcia comincia a parlare sui volti dei marciatori si accendono orgoglio e tenerezza, nelle sue parole di benvenuto osserviamo la completa orrizzontalità della gestione organizzativa. Insieme a lei, un giovane brasiliano super attivo anima l’evento sulla piazza, e anche noi ci sentiamo trascinati e coinvolti dall’entusiasmo generale a distribuire volantini (scritti in macedone) che spiegano le ragioni della marcia e invitano il pubblico locale all’incontro del pomeriggio successivo. Mentre distribuisco i volantini, si avvicina un elegante signore accompagnato da 3 figlioletti scatenati che ben presto conquistano una bandiera e scorrazzano felici nella piazza. L’uomo si presenta come funzionario turco delle Nazioni Unite, ma aggiunge di avere nonna e mamma siriane e di essere molto vicino alla marcia, intenzionato ad aiutare quando si raggiungerà la Turchia. Lo reindirizzo verso Anna a cui lascerà i suoi contatti. L’appuntamento di domani è per marciare nella città vecchia, oltre il fiume. Per stasera, i marciatori hanno bisogno di riposare, Giulia, in quel momento l’unica italiana della compagnia, dice che hanno percorso 31 km ieri e 35 oggi.

 

Ci rivediamo nella solita piazzona Kitsch con Alessandro che guarda a sudest, dominante sul suo bel cavallone impennato. Raggiungiamo la città vecchia superando l’ancor più vecchio ponte di pietra romanico, le bandiere bianche, è domenica e le viuzze del bazar sono semi vuote, noi siamo circa un’ottantina e cantiamo insieme al brasiliano che suona la chitarra.

Mi ritornano in mente le altre vecchie marce in terra balcanica. Durante la guerra. Lo dico ai ragazzi che camminano intorno a me, quanto oggi marciare con loro mi dia speranza e gratitudine e li incoraggio. C’è Giulia, una giovane marciatrice di Milano, un catalano di Barcellona appena arrivato, che marcerà per un mese. Ci sono anche un gruppo di giovani funzionari dell’OSCE venuti appositamente da Pristina. Tra loro Corinna, da Frosinone, con cui si attiva una lunga e intensa conversazione sulle difficoltà del Kosovo e della minoranza albanese di Macedonia. Lei conosce Gianmarco Pisa, anche lui come noi della rete-CCP, che porta avanti il progetto Pulsar a Mitrovica. Io ho avuto una lunga esperienza in Kosovo, con il progetto Campagna Kosovo, e conosco fatti e protagonisti della storia locale che a Corinna interessano moltissimo.

 

Finito il percorso ci sediamo in circolo, Anna parla della marcia e mentre racconta la sua scelta di non restare a guardare questa orribile guerra, di aver scelto di agire da persona comune, di compiere un gesto di partecipazione e fratellanza dal basso, si commuove fino alle lacrime. Più tardi si siederà vicino a me per dirmi che le sue due figlie di 5 e 6 anni la sono venuta a trovare la scorsa settimana. A questo punto sono io che mi commuovo e l’abbraccio ringraziandola di esserci e di offrire una speranza anche a noi vecchiotti. Dopo altre conversazioni fiume, salutiamo questi giovani meravigliosi con la promessa di rivederci a settembre in Turchia e di condividere con loro il tentativo di entrare in Siria per raggiungere Aleppo.

 

Siamo stati forse troppo mielosi e tenerastri, ma questo è quanto.

 

Per il proseguo, vorremmo rafforzare il coordinamento italiano e cercare di formare un gruppo di marciatori italici disponibili ad affrontare la calda estate dell’Anatolia, magari anche con qualche mezzo motorizzato. Durante la marcia non sono tutti obbligati a camminare, tra gli altri c’era un anziana signora di Stoccarda che li seguiva fin dall’inizio su uno dei due pulmini wolkswagen, che trasportano zaini e attrezzi per il campeggio.

 

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