La politica che Vogliamo


Premessa
La situazione italiana ed internazionale negli ultimi mesi non fa che peggiorare. Ciascuno di noi in Italia sta cercando di proporre e alternative culturali, politiche, economiche, di produzione, di partecipazione e di promozione dei diritti per tutti/e mentre il sistema politico italiano – al pari di quello di molti altri paesi- prosegue su una vecchia strada autoreferenziale e separata dalla società.
Ci sentiamo lontani da quelle scelte politiche che in questi anni hanno reso ancora più evidenti le logiche militariste e di guerra, le privatizzazioni dei beni comuni, la discriminazione e l’intolleranza verso immigrati e stranieri, la precarizzazione del lavoro. Il nostro Paese vive un declino politico economico, sociale e culturale che è frutto della palese incapacità delle classi dirigenti in ogni campo della società (la politica, l’economia, la cultura e i media) di dare risposte innovative, e centrate sul principio della solidarietà, della responsabilità, della cultura civile, alle sfide ed emergenze che viviamo. Tutto ciò che di nuovo e di solido emerge nasce da una creatività e progettualità condivisa tra i movimenti, le mille forme della protesta e della proposta, e singole persone responsabili che pure nelle istituzioni riusciamo a raggiungere, ma con crescente fatica.
A livello internazionale i rischi di guerra, a partire dall’Iran, e le conseguenze di un potere economico neoliberista fallimentare, ma pur sempre dominante, che alimenta povertà e diseguaglianze e concentrazione di potere in poche mani, stanno mettendo a rischio quelle esperienze e speranze di cambiamento che si sono fatte carico delle nuove e sistemiche emergenze ambientali e sociali, ma anche di disinnescare i prossimi conflitti e la corsa al riarmo, mosse con forza dalla società civile internazionale negli ultimi anni e che hanno generato, per la prima volta dopo decenni, nuove dinamiche politiche in alcune regioni del Sud del pianeta.
Dobbiamo lavorare tutti insieme, a partire dalle persone, i piccoli gruppi, reti, comitati, iniziative locali, unire le forze subito e darci un “programma minimo” assicurando centralità alle mobilitazioni locali per i beni comuni e contro le grandi opere, la devastazione del territorio, le basi militari, nello spirito del movimento di Genova, e rilanciare le nuove forme della democrazia partecipata e deliberativa e – contro ogni collateralismo o cooptazione subalterna nelle istituzioni - la proposta di una autonoma identità politica delle soggettività sociali e dei movimenti.
Non c’è bisogno di una nuova organizzazione o di un coordinamento intergruppi, ma - rispettosi dell'autonomia e dell'indipendenza delle nostre esperienze e di ciascuno – crediamo che sia cruciale cercare legami comuni per andare oltre il frammento, e costruire tra di noi modalità nuove di relazione e di rete che ci diano più forza nella nostra pressione verso le istituzioni ed il sistema politico del paese.
Rivendichiamo la nostra autonoma soggettività politica come persone ed organizzazioni che si vogliono impegnare per il cambiamento. Fuori dai partiti e fuori dal sistema della rappresentanza –che rappresentano comunque aspetti determinanti della formazione della volontà politica generale- si sono diffuse in questi anni forme nuove di politica dal basso che hanno dato vita a sedi e spazi di democrazia partecipata: chiediamo pari dignità tra le diverse forme della politica impegnate nella costruzione del bene comune e dell’interesse generale. Sappiamo bene anche che la politica non è altro che lo specchio della società: ed è per questo che ci sentiamo anche parimenti impegnati verso una trasformazione sociale, economica, dei comportamenti quotidiani, capace di ricostruire una politica nuova, come servizio e gratuità, come adempimento dei doveri di solidarietà e del bene comune.
Perciò vogliamo proporre l’avvio di un processo condiviso per costruire uno spazio comune dove praticare e proporre forme autentiche di democrazia, aperto a quelle organizzazioni, campagne, movimenti, ed associazioni della società civile italiana che noi crediamo siano pronte per condividere azioni e strumenti di mobilitazione ed iniziative sui temi che insieme decideremo come prioritari.


Alcuni obbiettivi prioritari di una politica nonviolenta

1) La riconversione delle industrie militari. E’ sicuramente un obbrobrio che il nostro paese sia un venditore di morte, e che anche con il governo di Centro sinistra, le nostre industrie militari si siano impinguate con grosse commesse sia con l’India che con la Cina e con altri paesi del mondo. Secondo noi perciò uno degli obbiettivi prioritari da portare avanti da un governo che si dichiari realmente nuovo ed amante della pace dovrebbe essere quella di una seria riconversione delle industrie militari. Riconversione che non vada a danno dell’occupazione degli operai che ci lavorano, ma che, anche con l’aiuto di ricercatori universitari o meno, e di tecnici esperti di questi settori, porti alla trasformazione di queste industrie verso attività civili che portino realmente un progresso sociale, e non sfruttino le guerre per fare affari.
2) La chiusura di tutte le basi militari. Annullare la decisione di allargare la base militare USA di Vicenza e prendere l’impegno di eliminare tutte le basi militari attualmente in atto nel nostro paese, con o senza armi nucleari (tra l’altro in aperto contrasto con l’Art.11 della nostra Costituzione che riconosce la difesa ma non l’attacco), annullando anche l’accordo per l’acquisto di altri aerei, gli F35, che vanno ad aggiungersi a quelli già ordinati gli “Eurofighter”, costosissimi, ed utilizzabili solo per conflitti armati di tipo aggressivo, e perciò, anche questi, contrari alla nostra Costituzione.
3) Eliminare il ricorso alla guerra per essere attivi nella descalata dei conflitti. Invece che per interventi armati, solo raramente giustificabili come interventi di pace, chiediamo che il nostro paese si faccia attivo nella ricerca della previsione dei conflitti armati, della loro prevenzione, e nella mitigazione e nella trasformazione degli attuali conflitti armati in conflitti nonviolenti, disarmati, e questo anche con l'uso di corpi civili di pace a questo formati (per la prevenzione, per l’interposizione e per la riconciliazione), da attivare sia all’interno del nostro paese sia a livello dell’Europa intera, per interventi sia all’interno del nostro paese (contro la mafia e la camorra), sia all’esterno, per superare l’attuale scalata di conflittualità a livello mondiale. Il direttivo IPRI-CCP del 24/02/08 , a proposito di questo argomento, ha deciso di invitare tutti i partiti, ed i raggruppamenti degli stessi, ad inserire, nel loro programma, il riconoscimento istituzionale dei Corpi Civili di Pace, a partire dal contenuto della proposta di legge sull’aspettativa: “Disposizioni per il riconoscimento dei congedi per la partecipazione a missioni organizzate nell’ambito dei Corpi Civili di Pace” n. 5812 del 25 maggio 2005, e dei documenti elaborati nell’ambito del lavoro del Tavolo dei Servizi Civili di Pace istituito presso il Ministero degli Affari Esteri durante l’ultima legislatura (documento Papisca).
4) Ridurre progressivamente il numero di forze armate o dipendenti dal Ministero della Difesa, ad esempio, approvando una legge che permetta i/le dipendenti del ministero della difesa di chiedere di "servire lo stato" alle dipendenze di altri ministeri, es: quello degli interni; p.s; vv.ff; corpo forestale dello stato.
5) Darsi da fare per superare l’attuale modello di sviluppo che sta aumentando gli squilibri tra ricchi e poveri, sia nel nostro paese che a livello mondiale, e sta incrementando le ingiustizie, per dar vita ad un modello di sviluppo alternativo, che punti ai quattro obbiettivi politici indicati da John Friedmann (nel suo “Empowerement, Verso il Potere di Tutti”): 1) una economia integrata che valorizzi le economie non di mercato: quella informale, quella solidale e quella di uso. Economie, queste ultime, che sono gran parte dell'attuale economia ma che sono escluse dai calcoli degli economisti, spesso anche da quelli fautori della decrescita , 2) una democrazia partecipativa che non si limiti al voto ma che integri il voto con forme di partecipazione dal basso, il "potere di tutti" capitiniano, con un controllo dal basso ben organizzato su chi è al potere, di qualunque partito questo sia; 3) una economia, ed una vita pubblica, in cui le donne abbiano lo stesso peso degli uomini, e non siano emarginate a ruoli spesso secondari, con salari ridotti; 4) una economia che rispetti la natura e salvi il nostro pianeta per le generazioni future. Da questo punto di vista sembra necessario, ad esempio, investire risorse economiche per energia alternativa: acqua vento sole, e lavorare per la valorizzazione della nostra agricoltura, delle foreste e della pesca. E’ noto che spendiamo per l’acquisto di cibo all’estero più di quanto guadagniamo vendendo all’estero le nostre armi.

Ci rendiamo conto che questo è un programma rivoluzionario, che riprende le idee di Gandhi e dei suoi collaboratori, e di Capitini e Dolci, che hanno parlato della necessità di una “rivoluzione totale”, una rivoluzione del cuore dell’uomo, della sua cultura, dell’economia prevalente e delle strutture sociali autoritarie diffuse ovunque. Questa è sicuramente una impresa titanica, difficilmente affrontabile nei brevi tempi che abbiamo prima delle prossime elezioni, con le forze che abbiamo attualmente. Ma il ritrovarsi, fare unità, mettere a punto linee programmatiche comuni, e cercare, su queste, di condizionare almeno quei partiti più realmente interessati alla nonviolenza, ed ad una trasformazione nonviolenta della nostra società e del mondo intero, ci sembra un'opera che dobbiamo tentare, convinti che la linea politica vincente non è né l'estraneazione dalla politica elettorale, né il vedere in questa il centro della politica attiva, ma che il cambiamento reale può venire solo da una politica del doppio binario, che operi contemporaneamente nelle istituzioni e nel movimento, ma che veda quest'ultimo come il vero centro della politica. Non è una politica facile ma non vediamo altre alternative credibili.

La prima parte di questo testo, la premessa, vede come primi firmatari della società civile :
Alessandro Santoro (Comunità le Piagge) Alberto Castagnola (Formin) Alex Zanotelli (Missionario Comboniano) Alberto Zoratti (Fair) Antonio Tricarico Andrea Baranes (CRBM) Antonio Vermigli, Sergio Lomi , Antonio Savio (Rete Radiè Resch di Quarrata) Andrea Morniroli (Cantieri Sociali ) Pierluigi Sullo Gianluca Carmosino (Carta) Carmela Galeone (campagna WNairobiW.) Davide Biolghini ( Res) Francuccio Gesualdi (Cnms) Monica Di Sisto (Fair) Giulio Marcon Tommaso Rondinella Alessandro Bagnulo (Lunaria) Gianni Fazzini (Bilanci di Giustizia) Bruno Amoroso, Rosario Lembo (UBC) Riccardo Petrella (UBC) Riccardo Troisi (Reorient) Nicola Capone (l'Assise della Città di Napoli e del Mezzogiorno d'Italia) Gianni Mina e Loredana Macchietti (Latinoamerica e tutti i sud del mondo) Bruno Volpi (Associazione Mondo di Comunità e Famiglia) Giuseppe De Marzo (Asud) Francesco de Carlo ( Megachip ) Patrizia Gentilini Giovanni Malatesta, Mario, Musumeci (Punto Pace del x Municipio Roma) Massimo Paolicelli (AON) Francesco Vignarca (Rete Disarmo) Giorgio Beretta (Coordinatore Campagna Banche Armate) Gianni Tarquini (Terre Madri) Antonella Rossi (Insieme nelle Terre di Mezzo onlus) Antonio Calabrò (As. Condividi) Fabio Alberti (Un Ponte Per) Enzo Scandurra (Univ.La Sapienza) Roberto Sardelli (Non Tacere)
La seconda parte è una proposta di Alberto L’Abate, Gigi Ontanetti e Marco Sodi della Fucina per la Nonviolenza di Firenze. L’Abate è anche presidente dell’IPRI-Rete Corpi Civili di Pace all’interno del cui direttivo (24/2/08) la proposta è stata discussa ed approvata nelle linee generali, tranne una verifica diretta sul testo qui accluso, ed è in attesa di completamenti, suggerimenti e adesioni anche da parte dei firmatari della premessa, e di tutti i gruppi e le persone interessate.

Firenze 26 Febbraio 2008


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