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16/12/2011

Emergency: Francesco E' Libero E Sta Bene

La conferma dalle autorità di Nyala

"Le autorità sudanesi hanno confermato che Francesco è libero e sta bene". Lo ha detto Gino Strada, riferendosi alla liberazione dell'operatore di Emergency rapito in Darfur. Si conclude così un sequestro che aveva tenuto familiari e colleghi in uno stato di profonda angoscia per quattro mesi. Francesco, originario di Reggio Calabria, è di stanza a Nyala, la capitale del Darfur meridionale, dove lavora presso il centro pediatrico gestito dall'ong italiana. Era stato rapito lo scorso 14 agosto, mentre, a bordo di un'auto insieme ad alcuni collaboratori, si stava recando in aereoporto, da un commando di uomini armati. Un sequestro che è sembrato anomalo sin dall'inizio: miliziani ribelli che stanno sfidando le autorità locali e il governo sudanese o semplici banditi? Emergency ha immediatamente chiesto un silenzio stampa che è stato rispettato in modo quasi ferreo. A metà settembre era trapelato un cauto ottimismo, quando la presidente Cecilia Strada aveva riferito di aver sentito telefonicamente Francesco e di aver ricevuto rassicurazioni circa le sue condizioni: "Una settimana fa abbiamo avuto un contatto diretto con Francesco Azzarà. Ci ha detto che sta bene, per quanto possibile nella situazione in cui si trova. Mangia e beve e tiene duro". Sono seguite settimane di trepidazione, durante le quali la liberazione è stata sfiorata ma non raggiunta. Ma lo sforzo dei negoziatori è continuato.

Mentre sul terreno le trattative andavano avanti, circondate da uno stretto riserbo, voci incontrollate si sono rincorse più volte. Qualcuno ha scritto che il rapimento sarebbe stata opera di una tribù araba entrata in rotta di collisione con Khartoum e Nyala. Pochi giorni dopo il sequestro, si erano diffuse indiscrezioni circa una richiesta di riscatto avanzata ad Emergency, smentita subito dall'ong. Il momento peggiore però si è vissuto il 9 settembre, quando agenzie e giornali hanno diffuso la notizia di un blitz dell'esercito sudanese per liberare tre prigionieri che si era concluso con la morte di 13 soldati. Si è temuto che tra i sequestrati ci fosse anche Francesco e che fosse rimasto ferito o ucciso nel corso del raid delle forze di sicurezza sudanesi e che in ogni caso la fuga dei rapitori con l'ostaggio avrebbe complicato le trattative e messo in pericolo la vita di quest'ultimo. Solo la smentita ufficiale del governatore del Darfur meridionale, Abdul Karim Moussa, aveva placato l'ansia e svelato l'equivoco: il blitz si era svolto nei pressi di Jebel Marra, in una località del Darfur occidentale, e rientrava nel quadro di un'operazione militare contro gruppi armati attivi sulla frontiera lanciata insieme all'esercito del Ciad.

Nel frattempo, in Italia Emergency e diversi esponenti della società civile hanno guidato una mobilitazione per chiedere la liberazione di Azzarà. Stendardi di solidarietà con la foto di Francesco sono apparsi il primo settembre sui municipi di Torino, Venezia, Firenze e Napoli e più tardi anche di Roma e Milano. In prima persona si era speso anche il deputato del Pd Franco Laratta, che aveva scritto ai suoi colleghi per chiedere di attivarsi per fare pressione sulle autorità italiane, soprattutto sul ministero degli Esteri italiano: "In altri casi la mobilitazione è stata forte, decisa e decisiva. Il ministro degli Esteri venga alla Camera a riferire, l'opinione pubblica si mobiliti, tutti facciano sentire la loro voce. Il grido deve essere forte e unanime: 'Liberate Francesco' e deve sentirsi forte come un urlo in tutta Italia e in Europa. Francesco lavora per la povera gente, per i bambini, per la gente che viene sottomessa, soffocata, violentata in un teatro di guerra agghiacciante quale è il Darfur".

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