Quando arrivano le cavallette
di Arundhati Roy

Guanda 2009

Dove dovremmo andare dopo aver superato l'ultima frontiera?

Dove volano gli uccelli oltre l'ultimo cielo?

Dove dormono le piante dopo l'ultimo respiro?

MAHMUD DARWISH
La terra si sta richiudendo su di noi

Il crepuscolo della democrazia
di Arundhati Roy

Giacché ci stiamo ancora chiedendo se ci sia vita dopo la morte, possiamo mettere sul piatto un'altra domanda: c'è vita dopo la democrazia? E che tipo di vita sarà? Con «democrazia» non intendo un regime astratto e ideale cui aspirare. Mi riferisco al modello in funzione: la democrazia liberale occidentale con le sue varianti, prese così come sono.

E allora, c'è vita dopo la democrazia?

Tentare di rispondere a questa domanda spesso porta a paragonare i diversi sistemi di governo per giungere, in conclusione, a una difesa piccata e anche un po' aggressiva della democrazia. Ha i suoi difetti, diciamo di solito. Non è perfetta, ma è meglio di tutti gli altri sistemi a disposizione. Inevitabilmente, in sala c'è qualcuno che dice: «Afghanistan, Pakistan, Arabia Saudita, Somalia... preferireste così?»

Se la democrazia sia una sorta di ideale cui devono tendere tutte le società «in via di sviluppo» è un'altra questione. (Io ritengo di sì. La fase iniziale, ancora piena di ideali, può essere davvero inebriante.) La domanda sulla vita dopo la democrazia è da porre a quelli tra noi che vivono già in democrazia, o in paesi che fingono di essere democratici. Non vuole suggerire che si debba ricadere in un modello precedente e ormai screditato di governo totalitario o autoritario. Quello che lascia intendere è che non è la nostra economia, ma l'ideale che ci siamo fatti della democrazia ad aver bisogno di un po' di adeguamenti strutturali. La vera questione, qui, è: che cosa ne abbiamo fatto della democrazia? In cosa l'abbiamo trasformata? Che succede una volta che la democrazia si è consumata? Quando è stata svuotata e privata di senso? Cosa succede quando ciascuna delle sue istituzioni si è fatta metastasi fino a trasformarsi in un'entità maligna e pericolosa? Cosa succede ora che democrazia e capitalismo si sono fusi in un unico organismo predatorio dall'immaginazione limitata e costretta, incentrata quasi esclusivamente sull'idea della massimizzazione dei profitti? È possibile invertire questo processo? Un'entità che è mutata può tornare a essere ciò che era prima?

Ciò di cui abbiamo bisogno oggi, per la sopravvivenza del pianeta, è un progetto a lungo termine. Possono i governi democratici, la cui stessa sopravvivenza dipende da risultati immediati, dallo sfruttamento a breve scadenza, offrire questo progetto? Non potrebbe darsi che la democrazia, sacra risposta alle nostre speranze e preghiere a breve termine, baluardo delle nostre libertà individuali e nutrice dei nostri sogni più avidi, si riveli uno scacco matto per il genere umano? Non potrebbe darsi che la democrazia abbia tanto successo tra l'umanità moderna proprio perché ne rispecchia la più grande pecca: la miopia? La nostra incapacità di vivere nel presente, e al tempo stesso di guardare molto in là nel futuro, ci rende strani esseri «di mezzo», né bestie né profeti. La nostra intelligenza strabiliante sembra averci privato dell'istinto di sopravvivenza. Saccheggiamo la terra nella speranza di accumulare surplus materiali che compensino quella cosa profonda e indicibile che abbiamo perduto.

Sarebbe presuntuoso affermare che i saggi di questa raccolta forniscano risposte anche a una sola di tali domande. Servono solo a dimostrare, in modo abbastanza dettagliato, che la luce del faro all'apparenza si fa sempre più fioca: non si può (forse) più contare sulla democrazia perché ci garantisca giustizia e stabilità come pensavamo potesse fare. Tutti i saggi sono stati scritti sotto forma di interventi pubblici urgenti in momenti critici della vita indiana: poco prima della data prevista per l'impiccagione di Mohammad Afzal (imputato nel caso dell'assalto al parlamento del 13 dicembre 2001), durante le rivolte di massa nel Kashmir (dell'estate del 2008) e dopo gli attentati di Mumbai del 26 novembre 2008. Anche se quasi tutti sono stati pubblicati in India su giornali e riviste a grande diffusione, erano quasi sempre in contrasto con l'opinione «generale» prevalente. Spesso non erano solo risposte agli eventi, ma risposte ad altre risposte. Sebbene molti siano stati scritti con rabbia, in momenti in cui stare zitti era più difficile che dire qualcosa, i saggi hanno un filo comune. Non parlano di sfortunate anomalie o aberrazioni del processo democratico. Parlano di conseguenze e corollari della democrazia. Parlano di un incendio che inizia a divampare circolando nelle condotte dell'aria.

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