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29.09.2011

Andiano ad un cambiamento, abbandoniamo la paura.
di Majo Siscar

Il movimento per la Pace con Giustizia e Dignità si riunirà questa settimana con il presidente Felipe Calderon per continuare il dialogo che hanno iniziato il 23 di giugno e che ha creato tavoli di lavoro con i tre poteri dello stato per porre fine all’impunità, alla corruzione e per riarticolare il tessuto sociale di questo paese. Il movimento porrà sul tavolo nuove testimonianze di dolore raccolte nel suo ultimo peregrinare, e anche di resistenza.

- Torniamo rinnovati, forti, pronti per continuare questa lotta – dichiarò Amada Puentes all’arrivo nello zocalo di Città del Messico. Nel suo discorso si accumulavano gli undici giorni della Carovana Sud, un percorso di 3.000 kilometri, durante i quali, il movimento per la Pace con Giustizia e Dignità, partecipò a 24 riunioni con organizzazioni sociali e vittime della violenza di otto stati del sudest messicano. In ognuna di queste, le testimonianze come quella di Amada, una delle migliaia di madri che hanno perso un figlio in questa maledetta guerra che il Messico subisce, si mescolavano con quelle dei popoli originari, molto presenti negli stati meridionali e vittime anch’essi di altra violenza, sistematica e ancestrale che oggi s’intreccia con quella del narcotraffico. Così, dopo aver condiviso le loro esperienze con quelle di tanti altri, Amada non era stanca. La solidarietà che raccolse nel suo peregrinare, la sosteneva. – Andiamo a fare un cambiamento, abbandoniamo la paura, perché è l’unica arma che hanno, la delinquenza e le autorità, per tenerci i piedi sulla testa, non permettiamoglielo più! – così incitava la cittadinanza con la sua tempra.

Ella già perdette la sua pura. Suo figlio, Gustavo Castaneda, scomparve il 25 febbraio 2009 alla polizia, insieme a Melchiorre Flores. Entrambi lavoravano come mimi in una pizza di Moterey. L’11 di maggio del 2010, un poliziotto confessò di averlo arrestato ma non si fece nessun processo a suo conto, ne si trovarono i due giovani. Stanca di questa situazione Amada uscì per accogliere la Carovana che spinse il poeta Javier Sicilia ad attraversare Monterrey. Grazie a lui ottenne che il procuratore ponesse attenzione al suo caso che andrà in giudizio nei prossimi giorni. E ancora, viaggiando con la Carovana poté cambiare le sue ansie di vendetta con quelle di giustizia. Quella giustizia che non speriamo che venga solo dal governo ma anche dalla propria gente, così come hanno potuto ascoltare durante il loro percorso tra i popoli del sud.

Dopo aver visitato le comunità indigene di Oaxaca e del Guerrero e i loro esempi di resistenza, la Carovana entrò in Chiapas, dove visitò la comunità di Acteal, uno dei maggiori simboli dell’infamia della violenza in Messico, dove nel 1997 un gruppo di paramilitari antizapatisti assassinò 45 persone, bambini e donne incinte comprese, che andavano in chiesa. Quattordici anni dopo, le uccisioni si succedono nei quattro angoli del Messico, sommerso in una nuova guerra che, con la scusa del narcotraffico, ha riscosso la vita di 500.000 messicani negli ultimi cinque anni.

Tuttavia, nell’attuale congiuntura, la resistenza storica dei popoli originari alla violenza sistematica è stata di lezione al movimento. Proseguiamo resistendo e costruendo l’autonomia, in cerca di verità, pace e perdono che non sia impunità. Gli indigeni Tzotziles di Acteal li ha esortati ad organizzarsi, essi, senza dimenticare il loro dolore hanno affrontato la paura e continuano a seguire i loro principi sulla via della nonviolenza.

- La Carovana del nord ci ha dato un esempio del dolore, ma quella del sud ci mostrò la dignità che esiste nel paese.  E abbiamo bisogno di entrambe le cose – riassunse così Julián Lebarón, un ranchero dello stato settentrionale di Chihuahua il cui fratello fu assassinato.

Altro esempio della dignità indigena in Chiapas è l’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN) che incontrò la Carovana. Un gruppo di 35 vittime guidate dal poeta Javier Sicilia, visitò la Giunta del Buon Governo per condividere il loro dolore. Gli zapatisti ascoltarono e li ringraziarono per la visita. Le loro comunità continuano ad essere molestate. Fin dal mese di luglio la Giunta del Buon Governo, il loro principale organo di rappresentanza civile, ha reso pubbliche oltre sei aggressioni di gruppi paramilitari e anche di militanti di partiti politici. Il caso più grave è avvenuto nel nord, nella comunità di San Patrizio, dove gli zapatisti si trovano assediati da forze paramilitari e temono per la loro vita. Questa comunità è vicina a Palenque, un municipio chiapaneco dove il narcotraffico è presente e opera.

Maria (nome di copertura) ha un ristorante vicino alla zona archeologica che ha reso famoso questo municipio. Da tre mesi deve pagare 20.000 pesos (circa 1.300 euro) mensili ad un gruppo di criminali che la minacciarono di rapire i suoi figli. Oggi sta pensando di chiudere il suo negozio, perché non riesce a coprire le spese, comunque ha ancora paura e assicura che nel municipio ci sono stati molti assassini, estorsioni e sequestri. – E’ un ambiente di violenza tremenda e severa, ci sono molti sequestri, si dice che siano gli Zetas, ma sono gente che ha a che fare con il potere, con la stessa polizia, gente che stava in politica … -

In questa spirale di violenza, uno dei settori più vulnerabili sono gli immigrati del sud che attraversano il Messico verso gli Stati Uniti. La loro situazione di clandestini li rende doppiamente vittime, del crimine e della legge, inoltre devono viaggiare per quei sentieri più nascosti che li conducono alla Bestia, come chiamano il treno merci che attraversa il paese. Viaggiano sotto il sole, le tormente e il freddo, attenti a non cadere dal treno ne a farsi prendere. Devono evitare i controlli della polizia immigratoria e i posti di blocco, e si devono guardare anche dagli Zetas. Sullo stesso treno si incontrano con altri migranti che si offrono di far loro da guida ma che lavorano per la delinquenza organizzata o per la polizia, che molte volte sono collusi con i narcos o con la delinquenza comune. – Viviamo in una regione veramente ingovernabile, il camminno migratorio è una vera e propria via crucis, gli alberghi dive si fermano puzzano di malattia, persecuzione, morte e crocifissione. E’ un vero e proprio olocausto e chiediamo che il passaggio di questa Carovana ci aiuti a lottare per un’immigrazione senza violenza, rifletté in Palenque, Padre Tomás González, un frate francescano che ha un albergo dove ospita i migranti. Il sacerdote gli attacchi che subiscono i migranti da parte delle bande della delinquenza, così come la rete di tratta delle persone che gestisce l’immigrazione. Questa situazione si ripete in tutto il suo attraversare il Messico, ma è alle frontiere dove diventa più tremenda.

In un atto simbolico la Carovana incrociò il confine tra il Chiapas e il Guatemala, per rendere visibili queste altre vittime, così nel fiume Suchiate, lì dove inizia il calvario dei migranti, Javier Sicilia chiese perdono ai centroamericani per non essersi molitato prima per impedire la violenza di cui soffrono e denunciò la complicità dell’Istituto Nazionale dell’Immigrazione con il crimine organizzato e il cinismo del governo che lo protegge. Il Movimento per la Pace con Giustizia e Dignità, si unisce alla richiesta dei migranti ed esige dal governo messicano che faciliti un visto di transito per coloro che, dal sud, deovono attraversare il Messico per andare al nord. Di fatto anche nella Carovana c’era un gruppo di mmigrantiche avevano già sperimentato come, la ricerca del sogno americano, potesse trasformarsi in un incubo. Come Ana (nome di copertura) che attraversò il Messico di corsa in un mese fino al nord. Emigrò dall’Honduras in cerca di una vita migliore, di un lavoro che le permettese di pagare la scuola per sua figlia di 11 anni, e magari di poterla mandare all’Università. Tuttavia qui incontrò la morte molto da vicino. – Le donne sono quelle che soffrono di più, ci sono persone che si offrono di guidarci in cambio del poco denaro che abbiamo, o anche gratis, anche i nostri compagni, però ciò che vogliono è il sesso, così abbiamo violenza, maltrattamenti, furti e sequestri -. Di fatto poco dopo essere entrata in Messico perdette una delle sue compagne di viaggio. Avevano attraversato la frontiera in otto donne e un uomo, anch’egli migrante in apparenza, si offrì di guidarle. Quattro di queste donne decisero di seguirlo, mentre le altre quattro, tra loro Ana, decisero di proseguire per loro conto. Quindici ore più tardi le incontrarono per strada. Il cadavere di una di loro era steso per terra, violata, mutilata, assassinata. Le avevano tagliato un’orecchio. Le altre tre erano state colpite e avevano creduto di morire, ricorda Ana terrorizzata. – Se non avessimo fatto ciò che ci chiedevano, o se non avessimo dato il nostro denaro per pagarli ci avrebbero ucciso. Succedono tante cose lungo questo cammino -. Dice mentre le lacrime le salgono agli occhi. – Quando il padre che tiene l’albergo a Lecherìa, nello stato del Messico, le invitò ad unirsi alla Carovana del Sud, decise di unirsi a loro – Vengo perché non voglio che altre donne passino quello che abbiamo passato noi – afferma, e pensa che le prossime potrebbero essere le sue sorelle o le sue amiche.  

Comunque per rendere pubbliche queste ingiustizie, anche le organizzazioni in difesa dei diritti umani e dei migranti hanno subito molteplici minacce. Padre Tomàs è uno di quelli che le hanno sperimentate sulla propria carne, al punto che la Commissione Nazionale dei Diritti Umani gli assegnò misure precauzionali in aprile. Tuttavia la sera seguente al suo incontro con la Carovana, Padre Tomàs fu arrestato dalla polizia e dall’esercito insieme ad un attivista di Amnesty International, Ruben Figueroa e due migranti che li accompagnavano a comprare roba per l’albergo. I quattro furono detenuti e intimiditi per varie ore. – Il paese si è trasformato in un fango nel quale acqua e terra sono mescolati e non sappiamo dove si nascondano i criminali - disse Sicilia.

Le detenzioni arbitrarie, i sequestri e le sparizioni forzate si moltiplicano in questa spirale di violenza che vive il Messico. A Xalapa, la capitale dello stato di Vera Cruz, Javier Sicilia parlò dei falsi positivi messicani, come il padre di Janeth Fgueroa, Joachin Figueroa fu assassinato extra giudizialmente dalle forze di sicurezza lo scorso 17 giugno. Fu detenuto in un carcere militare sulla strada, quando stava ritornando dal lavoro insieme ad altri due compagni. Lo fecero scendere dal camion dove viaggiavano, lo colpirono, lo torturarono e lo uccisero. Mostrarono i loro corpi nudi insieme a otto uomini, accusando gli altri undici di essere i loro sicari. Sua figlia chiede giustizia ma non ha ottenuto accesso alle indagini, ne le hanno resttuito la roba di suo padre. - Le uniche cosa che abbiamo ricevuto dal governo è il disprezzo, le menzogne e le minacce per farci tacere -. Per questo anche Janeth Figueroa decise di incontrare la carovana. – Siamo qui per dire al governo che non abbiamo un prezzo, che la mia famiglia sta lottando per la verità, per la giustizia, siamo qui per dar loro una lezione di dignità – disse tra i singhiozzi.

- Joachin Fhueroa e i suoi due compagni, criminalizzati e umiliati si chiamano falsi positivi. Si uccidono uno, due, tre delinquenti e si aggiungono tre innocenti e già son sei. Questi sono i falsi positivi. Chiediamo che si pulisca il nome di questi uomini. I dolori di Vera Cruz iniziano a somigliare a quelli degli stati che più soffrono al nord -. Osservò Sicilia ed effettivamente le cifre lo dimostrano. Appena due giorni dopo il passaggio della Carovana per lo stato, 35 uomini si trovarono morti in una via della zona turistica del porto di Vera Cruz, uccisi come animali -.

Per il poeta Javier Sicilia, che guidava il movimento, tutte queste lamentele, quelle del nord come quelle del sud, sono il prodotto del modello economico: - la massimizzazione dei guadagni mediante lo sfruttamento della natura ridotta a risorsa materiale e degli esseri umani ridotti a risorse umane, ha distrutto le terre, spogliato il territorio, le culture, le memorie, provocato le migrazioni, generato forze paramilitari e terribili stragi come quella di Acteal in Chiapas o di Aguas Biancas nello stato di Guerrero. Per mantenere la spoliazione è stato strappato gravemente il tessuto sociale della patria, il crimine organizzato non ha fatto altro che portare tutto agli estremi più atroci: sequestri, traffico di persone, assassini, sfruttamento della forza lavoro disoccupata per la massimizzazione delle risorse dell’economia legale a scopi delittuali, la massimizzazione del capitale e del potere mediante lo sfruttamento illimitato di questa cosa chiamata “risorse umane”- . Così riassunse lo scopo della Carovana nel suo discorso allo zocalo di Città del Messico.

Anche per Amada Puentes è chiaro, e già lo disse quando la Carovana passò da Monterrey, - il governo del Messico è parte della delinquenza organizzata e ora lo abbiamo provato ancora di più. Svegliamoci e uniamoci tutti -. E’ quello che ha tentato di fare questa Carovana per il Sud. Nel suo peregrinare non solo ha raccolto le testimonianze del dolore ma ha anche articolato una rete di organizzazioni che lavorano per far emergere i delitti e per costruire la pace. e ancora si istituì un registro delle vittime e si documentarono 221 testimonianze, la maggioranza di persone scomparse, alle quali si darà appoggio e si seguiranno i casi, per ottenere attenzione giuridica e facilitare il lavoro degli avvocati che difendono i loro diritti umani. Però sopra tutto questo emerge una lezione importante, quanto più unità riusciremo a creare e tanto meno crimine affliggerà le nostre vite. – nelle zone meridionali dove permangono attuali le forme di vita comunitaria, il crimine organizzato è più limitato. Acteal e le zone zapatiste sono le più sicure tra i territori che la Carovana della pace ha attraversato – disse Javier Sicilia incitando il paese al cambiamento e a guardare all’eperienza dei popoli indigeni per ricostruire il tessuto sociale che l’economia e la paura distruggono.

Che succede ora? Domandò un reporter a Sicilia, - non sappiamo, andiamo costruendo un passo dopo l’altro – rispose. Al momento l’obbiettivo principale del movimento è opporsi alla proposta di legge di Sicurezza Nazionale che il governo pretende di approvare, e che getta le basi di uno stato militarizzato agli ordini dell’esecutivo, per disporre delle forze armate a sua discrezione senza la preventiva approvazione del Congresso.

Ad oggi il movimento ha già raggiunto lo scopo di elencare i nomi delle vittime di questa guerra dell’oscurità e le ha poste in agenda. Tutto grazie ad un padre che perse il proprio figlio, che non fu disposto a tacere, e ad un poeta che decise di scrivere poesia per testimoniare con ogni lettera il dolore di tutto un paese.


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29.09.2011

 “Vamos a hacer un cambio, vamos a dejar el miedo”
di Majo Siscar

El Movimiento por la paz con Justicia y Dignidad se reunirá esta semana con el presidente Felipe Calderón para continuar con los Diálogos que emprendieron el 23 de junio y que ha establecido mesas de trabajo con los tres poderes del Estado para poner fin a la impunidad, la corrupción y rearticular el tejido social de este país. Pondrá sobre la mesa nuevos testimonios de dolor recogidos en su último peregrinar, y también de resistencia.

“Venimos renovados, fuertes, listos para continuar esta lucha” aseveró Amada Puentes al llegar al Zócalo de la Ciudad de México. En sus ojeras se acumulaban los once días de Caravana Sur, un recorrido de 3.000 kilómetros en los que el Movimiento por la paz con Justicia y Dignidad, tuvo 24 reuniones con organizaciones sociales y víctimas de la violencia de ocho estados del sureste mexicano. En cada una de ellas, los testimonios como los de Amada, una de las decenas de miles de madres que han perdido un hijo en esta “maldita guerra” que sufre México, se mezclaban con los de los pueblos originarios, muy presentes en los estados meridionales y víctimas de otra violencia, la sistemática, la ancestral, que ahora se entreteje con la del narcotráfico. Así, después de compartir sus experiencias con las de tantos otros, Amada no estaba cansada. La solidaridad que recogió en su peregrinar, la mantenía. “Vamos a hacer un cambio, vamos a dejar el miedo porque es la única arma que tienen la delincuencia y las autoridades para tenernos el pie en la cabeza, no se lo permitamos más”, instaba a la ciudadanía desde el templete.

Ella ya perdió ese miedo. Su hijo, Gustavo Castañeda, fue desaparecido el 25 de febrero de 2009 por la policía junto a Melchor Flores. Ambos trabajaban como mimos en una plaza de Monterrey. El 11 de mayo del 2010, unos policías confesaron su detención, pero no se emprendió ningún juicio en su contra, ni aparecieron los jóvenes. Harta de esta situación, Amada salió a recibir la Caravana que impulsó el poeta Javier Sicilia a su paso por Monterrey. Gracias a ella, logró que la Fiscalía pusiese atención a su caso que en los próximos días va a emprender un juicio. Y también con la Caravana reconoce que cambió “sus ansias de venganza por deseos de justicia”. Esa justicia que ya no esperan que venga solo del gobierno, sino de la propia gente, tal como han aprendido en su recorrido por los pueblos del sur.

Después de visitar a los comunidades indígenas oaxaqueñas y guerrerenses y sus ejemplos de resistencia, la Caravana se adentró en Chiapas, donde visitó la comunidad de Acteal, uno de los mayores símbolos de la infamia de la violencia en México, desde que en 1997 un grupo de paramilitares antizapatistas asesinó a 45 personas, niños y mujeres embarazadas entre ellas, que rezaban en una iglesia. Catorce años después, las matanzas se suceden por los cuatro costados de México, sumido en una nueva guerra que, bajo la excusa del narcotráfico, ya se ha cobrado la vida de 50.000 mexicanos en los últimos cinco años.

Sin embargo, en la actual coyuntura, la resistencia histórica de los pueblos originarios a una violencia sistemática han sido una lección para el Movimiento. “Seguimos resistiendo y construyendo autonomía, en busca de paz y perdón que no sea impunidad, de la verdad. Organícense” les instaron los indígenas tzotsiles de Acteal, quienes, sin olvidar su dolor, han enfrentado el miedo y siguen en sus principios por la vía de la no violencia. “La caravana al norte nos dio una muestra del dolor, pero el sur nos dio una muestra de la dignidad que también hay en el país. Y necesitamos las dos cosas”, resumió Julián Lebarón, un ranchero del norteño estado de Chihuahua cuyo hermano fue asesinado. Otro ejemplo de la dignidad indígena en Chiapas es el Ejército Zapatista de Liberación Nacional (EZLN) con quien también se reunió la caravana. Una comitiva de 35 víctimas, encabezada por el poeta Javier Sicilia visitó a la Junta de Buen Gobierno para compartirles sus dolores. Los zapatistas escucharon y les agradecieron su visita. Sus comunidades no cesan de sufrir hostigamientos, Desde julio a la fecha las Juntas de Buen Gobierno, su principal órgano de representación civil, han hecho públicas más de 6 agresiones por grupos de paramilitares y por parte de militantes de partidos políticos. El caso más grave se sitúa en la zona norte, en la comunidad de San Patricio, donde los zapatistas se encuentran sitiados por fuerzas paramilitares y se teme por su vida. Esta comunidad esta cerca de Palenque, un municipio chiapaneco, donde el narco también hace ya de las suyas.

María (nombre falso) tiene un restaurante cerca de la zona arqueológica que ha hecho famoso este municipio. Desde hace tres meses tiene que pagar 20.000 pesos (unos 1300 euros) mensuales a un grupo de criminales que la amenazaron que si no lo hacía se llevarían a sus hijos. Ahora está pensando en cerrar su negocio, porque no le sale a cuenta, pero aún así tiene miedo, porque asegura que en el municipio hay muchos asesinatos, extorsiones y secuestros. “Es una ola de violencia tremenda y severa, hay muchos secuestros, se dice que son los Zetas pero son gente que han estado en el poder y han trabajado para la misma seguridad del pueblo, gente que estuvo en la policía,…”, cuenta.

En esta espiral de violencia, uno de los sectores más vulnerables son los migrantes del sur que cruzan México hacia los EEUU. Su situación de sin papeles los hace doble víctimas de la ley y del crimen, pues deben viajan por aquellos caminos más apartados hasta que llegan a la Bestia, como llaman al tren de mercancías que cruza el país. Aguantan solanas, tormentas y frío, intentando no caerse del tren en marcha ni que los agarren. Tienen que evitar los controles migratorios, los retenes policiales y ahora, también los de los Zetas. En el mismo tren se encuentran con otros migrantes que les ofrecen jale o ser sus guías y que trabajan para la delincuencia organizada, o para la Policía, que muchas veces están coludidos con los narcos o la delincuencia común. “Estamos en una región verdaderamente ingobernable, la ruta migratoria es un verdadero viacrucis, los albergues donde los recibimos huelen a enfermedad, persecución, muerte, a crucifixión. Es un verdadero holocausto y queremos que el paso de esta caravana nos ayude a luchar por una migración sin violencia”, reflexionó en Palenque, Fray Tomás González, un padre franciscano que regenta un albergue donde se hospedan los migrantes. El cura denunció los ataques que sufren los migrantes por bandas de delincuentes, así como las redes de trata de personas que los manejan, coludidos con los agentes de migración. Estas situación se repite en todo su transitar por México pero es en las fronteras donde se hace más acuciante.

En un acto simbólico, la Caravana cruzó la barda entre Chiapas y Guatemala, para visibilizar estas otras víctimas. Así, en el río Suchiate, allí donde empieza el calvario de los migrantes, Sicilia pidió “perdón” a los centroamericanos por no haberse movilizado antes para “impedir” la violencia que sufren y denunció “la complicidad del Instituto Nacional de Migración con el crimen organizado” y el “cinismo” del gobierno que lo protege. El Movimiento por la Paz con Justicia y Dignidad, se suma, además a las demandas de las personas migrantes y exige al gobierno mexicano que facilite una visa de tránsito para aquellas que, desde el sur, pretenden recorrer México para llegar al norte. De hecho, en la propia caravana participaron un grupo de migrantes que ya han visto como la búsqueda del sueño americano puede convertirse en una pesadilla. Como Ana (nombre ficticio), que llegó a México hace un mes rumbo al norte. Salió de Honduras en busca de una vida mejor, un trabajo que le permita pagar la escuela de su hija de 11 años, tal vez incluso que vaya la universidad.  Sin embargo aquí vio la muerte muy cerca. “Las mujeres somos las que más sufrimos, hay personas que nos ofrecen guiarnos a cambio del poco dinero que llevamos, o  gratis, incluso compañeros nuestros, pero que lo que quieren es propasarse con nosotras, hay violaciones, maltratos, robos, secuestros…”, resume. De hecho, poco después de entrar en este país perdió a una de sus compañeras de viaje. Habían cruzado la frontera ocho mujeres juntas, y unos hombres, tambien migrantes en apariencia, les ofrecieron  guiarlas.

Cuatro decidieron irse con ellos, las otras cuatro, entre ellas Ana, se negaron y siguieron por su cuenta. Quince horas después se las encontraron en medio del camino. El cadáver de una de ellas yacía en el piso, violada, mutilada, asesinada. Le habían incluso cortado una oreja. Las otras tres también habían sido golpeadas y se veían“casi muertas”, recuerda horrorizada. “Si no nos dejamos hacer lo que ellos quieren, o si no tienes dinero para pagarles nos matan. Pasan tantas cosas en este camino…”, dice, mientras la impotencia le salpica la mirada. Cuando el padre que regenta el albergue de migrantes de Lechería, en Estado de México, les invitó a participar en la Caravana al Sur, decidió sumarse. “Vengo porque no quiero que todo lo que hemos pasado en el camino, lo pasen otras mujeres”, asevera y piensa en que las próximas podrían ser sus hermanas o sus amigas.

Pero por hacer públicas estas injusticias, también las organizaciones de defensa de los derechos de los migrantes, han recibido múltiples amenazas. Fray Tomás es uno de los que las ha experimentado en carne propia hasta el punto que la Comisión Nacional de Derechos Humanos ya le otorgó medidas cautelares en abril. Sin embargo, justo la tarde siguiente a su encuentro con la caravana, Fray Tomás fue retenido por la Policía y el Ejército, junto al activista de Amnistía Internacional, Rubén Figueroa y dos migrantes que los acompañaban a comprar ropa para el albergue. Los cuatro fueron intimidados y retenidos por varias horas. “El país se ha convertido en un lodo, donde el agua y la tierra están mezclados y no sabemos ya donde se esconden los criminales”, dijo Sicilia.

Las detenciones arbitrarias, los secuestros y las desaparicones forzadas se multiplican en esta espiral de violencia que vive México. En Xalapa, la capital del estado de Veracruz, Sicilia habló de los falsos positivos mexicanos, como el padre de Janeth Figueroa. Joaquín Figueroa fue asesinado extrajudicialmente por las fuerzas de seguridad el pasado 17 de junio. Fue detenido en un retén militar en la carretera cuando regresaba del trabajo junto a otros dos compañeros. Los bajaron de su camioneta, los golpearon, los torturaron y los mataron. Presentaron sus cuerpos desnudos junto a otros ocho hombres, acusando a los once de ser sicarios. Su hija clama justicia pero no ha tenido acceso a la investigación, ni siquiera a la ropa de su padre. Lo único que ha recibido del gobierno es “desprecio, mentiras y amenazas para que nos callemos”. Por eso, decidió salir a encontrar a la Caravana.“Venimos a decirle al gobierno que no tenemos precio, que mi familia está luchando por la verdad, por la justicia, les vamos a dar una lección de dignidad”, aseveró entre sollozos.

“Joaquín Figueroa y sus dos compañeros, criminalizados, humillados, manchados se llaman falsos positivos. Como la guerra se cuenta por bajas se mata uno, dos, tres delincuentes y se agregan tres inocentes y ya son seis. Esos son los falsos positivos. Pedimos que se limpie el nombre de estos hombres. Los dolores de Veracruz empiezan a parecerse a los estados más dolientes del norte”, aseveró Sicilia y efectivamente las cifras lo demuestran. Apenas dos días después del paso de la Caravana por el estado, 35 hombres aparecieron muertos en una calle de la zona turística del Puerto de Veracruz, tirados como animales.

Para el poeta Javier Sicilia, que encabeza el movimiento, todos estos agravios (los del norte y los del sur), son “producto del modelo económico: la maximización de la ganancia mediante la explotación de la naturaleza reducida a ‘recursos materiales’ y de los seres humanos reducidos a ‘recursos humanos’, ha arrasado tierras, despojado territorios, culturas, memorias, provocado desplazamientos, generado fuerzas paramilitares y asesinatos terribles, como el de Acteal (Chiapas) o Aguas Blancas (Guerrero). Para mantener el despojo, y desgarrado gravemente el tejidos de la patria, el crimen organizado no ha hecho otra cosa que llevar eso a extremos atroces: secuestros, tráfico de personas, asesinatos, uso de la fuerza de trabajo desocupada por la maximización de los recursos de la economía legal para fines delictivos, no son más que la maximización del capital y del poder mediante la explotación ilimitada de esa cosa, de esa mercancía llamada ‘recurso humano’”. Así lo resumió al finalizar la Caravana en el Zócalo de la Ciudad de México.

Para Amada Puentes también está claro, ya lo dijo cuando pasó la Caravana por Monterrey, “el gobierno de México es parte de la delincuencia organizada”, y ahora lo comprobó un poco más. Ante esto, receta unidad. “Despierten, y unámonos todos”. Es lo que ha intentado hacer esta caravana por el sur. En su peregrinar no solo ha recogido dolores también ha ido articulando una red de organizaciones que trabajan por visibilizarlos para construir la paz. También se hizo un registro de víctimas y se documentaron 221 testimonios, la mayoría de personas desaparecidas, a las que se les va a apoyar y dar seguimiento a sus casos, para garantizar atención jurídica y capacitar a los afectados en la defensa de sus derechos humanos. Pero sobre todo, se lleva una lección importante, cuanto más unidad, menos crimen. “En las zonas sureñas donde permanecen vivas las formas de vida comunitarias, el crimen organizado está limitado. Acteal y las zonas zapatistas son las más seguras de los territorios por donde la Caravana de la Paz pasó”, resumió Sicilia, e instó al país a volverse a mirar en el espejo de los pueblos indígenas para rearticular el tejido social que la economía y el miedo deshicieron.

“¿Qué sigue?” le preguntó un reportero a Sicilia al finalizar su peregrinaje, “no sabemos, vamos construyendo paso a paso”, contestó. De momento, el objetivo principal del Movimiento es parar la propuesta de Ley de Seguridad Nacional que pretende aprobar el gobierno y que  sienta las bases de un Estado militar al facultar al Ejecutivo para disponer de las fuerzas armadas prácticamente a discreción y sin pasar por el Congreso.

De momento, el Movimiento ya ha conseguido sacar a las víctimas de esta guerra de la oscuridad y las ha puesto en la agenda. Todo gracias a un padre que perdió a su hijo y no quiso callarse, a un poeta que dejó de escribir poesía para acusar con cada letra el dolor de todo un país.

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