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Scritto il 31/5/11

Per favore, non massacrateci: No-Tav, appello ad Amnesty

«Scriviamo per attirare la vostra attenzione sul clima di minaccia ed annunciate violenze che i politici e gli imprenditori torinesi stanno creando contro il sacrosanto diritto di noi cittadini di protestare in modo pacifico, per contrastare la costruzione della nuova linea ferroviaria ad alta velocità Torino-Lione». Così l’appello che i No-Tav “sotto assedio” a Chiomonte in valle di Susa indirizzano ad Amnesty International, dopo l’accorata lettera aperta rivolta ai «cittadini in uniforme», gli agenti delle forze dell’ordine: «Non siamo noi i violenti, riflettete: quello che vi chiedono è di usare la forza per consentire la rapina dell’Italia, attraverso il colossale sperpero della Torino-Lione». E mentre la Cisl – senza Bonanni – “sbarca” a Susa per schierarsi coi cantieri, Fiom e Cobas restano accanto alla valle di Susa, che mobilita i suoi sindaci come nel 2005 per fermare l’assalto delle ruspe.

L’appello ad Amnesty è diretto a Christine Weise, presidente della sezione italiana dell’associazione umanitaria, dopo le minacce esplicite del sindaco uscente di Torino, Sergio Chiamparino, giunto a raccomandare al ministro Maroni l’uso della forza per sgomberare i No-Tav dal sito di Chiomonte dove si tenta di aprire il primo cantiere Tav: un drammatico ultimatum, quello del 31 maggio, per non perdere la prima trance europea di finanziamenti, il primo lotto di una torta faraonica, 20 miliardi di euro, che Beppe Grillo considera «un crimine contro l’umanità di domani», dal momento che figli e nipoti – in quest’Italia in crisi nera – saranno «costretti a pagare all’infinito un debito mostruoso, per un’opera devastante, di cui i proponenti non si sono mai curati di dimostrare l’utilità».

Purtroppo è vero: la Torino-Lione, la più grande opera della storia italiana (quattro volte tanto il Ponte sullo Stretto, cinque miliardi più del Tunnel sotto la Manica) nasce senza un rapporto costi-benefici: può sembrare incredibile, proprio mentre Bruxelles annuncia tagli “lacrime e sangue” sulla spesa pubblica. Anche la stessa Corte dei Conti avverte che l’Italia dovrà prepararsi a tagliare dal proprio bilancio pubblico qualcosa come 46 miliardi all’anno (sotto la scure cadranno pensioni, scuola, sanità, sicurezza sociale), per la Torino-Lione la legge del rigore non vale: in modo clamorosamente bypartisan, destra e sinistra insistono nel volere la grande opera a tutti i costi. La musica non cambia dopo le elezioni torinesi: il nuovo sindaco, Piero Fassino, prende subito le distanze dai No-Tav accusando i militanti di Chiomonte di aver allontanato con una sassaiola gli agenti che il 23 maggio avevano tentato di scortare sul posto i tecnici per impiantare il cantiere.

Sui No-Tav sono arrivati anche gli strali di Raffaele Bonanni, leader della Cisl, che ha spedito a Susa il suo sindacato degli edili, la Filca, per «sostenere i lavoratori che saranno impegnati nei cantieri della Torino-Lione». Secondo la Cisl, è «una manifestazione per il diritto al lavoro». Non la pensano così gli operai della Fincantieri di Genova, saliti in valle di Susa per sostenere la resistenza civile dei No-Tav. Quello della Cisl «è un gesto sconsiderato», per le liste civiche della valle di Susa, visto che in questo momento «la tensione è altissima». Diritto al lavoro? «Certo: innanzitutto è a rischio il futuro dei 3.000 agricoltori, i cui terreni sarebbero devastati dai cantieri». Se la Coldiretti si schiera con la “valle che resiste”, si conta anche sull’appoggio della Fiom, da sempre in prima linea – col leader piemontese Giorgio Airaudo – contro la Torino-Lione: «Non possiamo più accettare il ricatto del lavoro ad ogni costo: non c’è contropartita possibile per la perdita dell’ambiente, la Tav è figlia di un modello di sviluppo che appartiene al passato».

Forte anche la mobilitazione dei Cobas: «E’ da più di vent’anni che la popolazione della valle di Susa è impegnata in una strenua resistenza a difesa del proprio territorio, contro chi mira a devastarlo, trasformandolo in un corridoio ad uso e consumo della speculazione finanziaria, delle mafie delle grandi opere e dei comitati trasversali degli affari», scrive la confederazione torinese del sindacato autonomo. «Una lotta che in tutto questo tempo non solo si è rafforzata, ma ha prodotto una crescita collettiva culturale e politica in ogni fascia della popolazione: con la determinata consapevolezza del rifiuto a delegare il proprio futuro e quello delle future generazioni a quelle istituzioni e a quelle cosiddette “forze sociali” che si sono alleate scandalosamente per cercare di imporre la sottomissione del territorio e dei suoi abitanti alle “esigenze” dei poteri forti».

Ci hanno provato in tutti i modi, a far piegare a testa ai valsusini: promesse di incentivi, compensazioni, “osservatori” istituzionali, pressioni e tentativi di compravendita di amministratori locali. «Nessuno ha ceduto e la faccia del potere si è smascherata con assalti notturni e distruzione dei presidi, cariche e botte fino alla occupazione militare del territorio», proseguono i Cobas torinesi. «Risultato: quello di rafforzare la determinazione del popolo della valle, che ben sa che il Tav non serve alla gente, non serve al territorio, non serve al lavoro ma mira unicamente a destinare ingenti somme di denaro pubblico in progetti gestiti dalle mafie politiche ed economiche».

Oggi siamo alla frutta: il “comitato trasversale degli affari”, costituito da «potentati economici, partiti di centrodestra e centrosinistra» invoca una nuova occupazione militare del territorio, «altre botte e violenze contro il popolo valsusino», promuovendo sui media una «vergognosa campagna di disinformazione e denigrazione». Luigi Casel, coordinatore delle liste civiche valsusine, non risparmia critiche a chi ha sdoganato l’uso della forza per aprire il cantiere e lo considera fin d’ora «moralmente responsabile di qualunque atto di violenza si possa verificare in queste ore». A difesa della valle di Susa si schiera anche l’Anpi, l’associazione dei partigiani, che valuta “fascista” il ricorso alla forza contro la popolazione. Secondo l’ex sindaco torinese Diego Novelli è «impensabile e antidemocratico risolvere con la forza e impedire con atti di violenza qualsiasi soluzione: certe dichiarazioni di esponenti istituzionali e sindacali sono inaccettabili».

Se Novelli spera che «attraverso il confronto si possa raggiungere una soluzione condivisibile» e intanto appoggia i sindaci valsusini e il presidente della Comunità Montana, Sandro Plano, che ora ricorrono al Tar per contestare le modalità tecniche con cui verrebbe aperto il cantiere a Chiomonte, i No-Tav chiedono aiuto anche ad Amnesty International. «Da anni, con documentazioni scientifiche e tecniche – scrivono alla presidente Christine Weise – facciamo informazione corretta su un progetto totalmente inutile, dannoso per la salute dei cittadini che abitano la valle di Susa e deleterio per l’economia già precaria del nostro Paese». Da anni, continuano i No-Tav, «chiediamo che il denaro pubblico destinato al Tav possa essere usato per piccole opere che siano veramente utili alla cittadinanza (scuole, ospedali ed altri servizi al cittadino)».

Purtroppo, secondo i valsusini, «la lobby economico-politica che supporta questo progetto ha un unico obiettivo: intascare i fondi europei destinati all’opera e nessun interesse per il bene dei cittadini». Nonostante ciò, aggiungono i No-Tav, «siamo abituati a lottare: nel 2005 a Venaus siamo stati aggrediti brutalmente dalle forze di polizia. Cittadini inermi, che dormivano e giocavano a carte al “presidio”, vennero massacrati a manganellate». In quella occasione, la sezione italiana di Amnesty International prese posizione contro la violenza dello sgombero. «Ora, dopo sei anni, i politici che utilizzano una democrazia di facciata, lungi dall’aver tentato di comprendere il nostro impegno, delegano le forze di polizia a “risolvere” la questione, minacciando a gran voce i cittadini che si oppongono al Tav, chiedendo l’uso della forza e, di fatto, istigando alla violenza».

Il mondo politico e imprenditoriale sfodera infatti bellicose dichiarazioni auspicando una «soluzione militare da parte delle forze dell’ordine» per liberare entro il 31 maggio l’area della Maddalena di Chiomonte, per non perdere il finanziamento europeo che darebbe il via al fiume di denaro pubblico necessario alla costruzione della linea. «Ancora una volta l’aggressione brutale sarà portata avanti da cittadini in divisa contro cittadini inermi, mentre coloro che sono incapaci di governare democraticamente si nasconderanno dietro vuote dichiarazioni», concludono i No-Tav nel loro appello ad Amnesty: «Vi preghiamo di aiutarci, per quanto in vostro potere. Almeno per tentare di risvegliare le coscienze di tutte quelle persone che hanno il diritto di sapere la verità su quello che sta per accadere in val di Susa», la terra assediata dove la festa democratica e multicolore esplosa il 30 maggio a Milano e Napoli sembra una fiaba lontanissima.

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