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Scritto il 01/7/11

No-Tav: la valle di Susa non si arrende, vuole la verità

Nuto Revelli, uno che di Resistenza se ne intendeva, l’ultima volta che passò per la val di Susa – presentando “Il prete giusto”, testimonianza della lotta antifascista di don Raimondo Viale, il parroco montanaro nominato “Giusto d’Israele” per aver salvato centinaia di ebrei – rivolse un accorato appello ai giovani che assiepavano la platea: «Ragazzi, mettetevelo in testa: dovete imparare a dare fastidio». Il mondo vi vuole docili, ripeteva Nuto, ma è un mondo di imbroglioni: e allora, gridare la verità e denunciare l’imbroglio significa esattamente “dare fastidio”. Tanti anni dopo, ecco che suo figlio Marco, sociologo universitario e saggista militante, si ritrova in mezzo ai ragazzi No-Tav al “presidio” della Maddalena di Chiomonte, sotto un assedio di sapore medievale, con barricate e vedette.

Dare fastidio: in vent’anni, all’establishment di ogni colore politico, la valle di Susa di fastidi ne ha dati davvero tanti, con una tenacia che ha dell’incredibile. Solo loro, i valsusini, avrebbero potuto resistere ad ogni pressione, prendersi un sacco di botte dalla polizia, ricostruire i “presidi” distrutti, marciare a migliaia, invadere strade e binari, fino a costringere le autorità a rinunciare nel 2005 al primo progetto della Torino-Lione. Da vent’anni la valle di Susa ripete la stessa canzone: «Signori, per favore, abbiate almeno la compiacenza di dimostrarci che quella devastante opera faraonica non è completamente inutile». Risposta: silenzio, menzogne, minacce e sleale criminalizzazione dell’opposizione. Chiunque altro si sarebbe scoraggiato, ma non i valsusini: hanno suddiviso i terreni della Maddalena in 1500 micro-lotti e li hanno regolarmente acquistati; ora faranno un’azione legale perché il 27 giugno le forze dell’ordine hanno occupato quei prati «senza una regolare procedura di esproprio».

I No-Tav detestano e contrastano chi si abbandona al lancio di pietre: oltre che inaccettabile violenza, è il modo migliore per essere squalificati da chi non aspetta altro per seppellire definitivamente la protesta. Per questo, alla grande manifestazione nazionale di domenica 3 luglio a Chiomonte, i No-Tav rinforzeranno la vigilanza per controllare, per quanto possibile, infiltrati dell’ultima ora provenienti dall’esterno. La storia del movimento popolare della valle di Susa, comunque, parla da sola: «Ce le hanno sempre date, altro che storie», protesta Alberto Perino. Del resto, bastava dare un’occhiata ai presidianti della Maddalena: ragazzi e ragazze, genitori e nonni, famiglie intere con bambini, lavoratori, cittadini comuni esasperati dal vuoto politico che li circonda, da istituzioni sorde che non vogliono sentir ragioni e, per tagliar corto, ricorrono ai lacrimogeni.

Gli avversari del popolo valsusino hanno tentato di tutto, per ingabbiare la protesta all’interno di schemi antichi, ideologici. Tutto inutile: la valle di Susa è avanti mille anni. Si limita a dire: esigiamo spiegazioni; fino a che non arriveranno, noi non ci muoveremo di qui. Lo hanno fatto per vent’anni e lo faranno ancora, a partire da Chiomonte. Oltre alle bandiere No-Tav, tra i militanti comincia a comparire qualche tricolore. Nel solenne compleanno dei 150 anni dell’Unità d’Italia, è bene che a Roma si ricordino che la valle di Susa è Italia, è più che mai Italia, e che i valsusini che lottano per il diritto alla verità lo fanno anche in nome del popolo italiano, di cui sono parte. Ricordando l’amara lezione di Nuto Revelli, che diceva: hanno istituito le Comunità Montane quando ormai la montagna si era spopolata. La valle di Susa è un’eccezione: 70.000 abitanti sono una comunità vitale. Dare fastidio? Sì: se chi comanda non ti lascia altra scelta. “Se non così, come? E se non ora, quando?”.

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