(Guido Ceronetti, “In mezzo ai Navajos della Val di Susa”, da “La Stampa” del 6 luglio 2011).


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Scritto il 07/7/11

Tav, Ceronetti: la val Susa contro l’impero della schiavitù

Per ora la nostra preistorica e storica Valsusa non è riserva per Navajos, per nuovi Navajos da abbruttire. Ma una volta scattata la trappola dell’Alta Velocità il processo della messa in riserva all’indiani d’America di quel fondamentale angolo di frontiera piemontese non si fermerà più. Se venisse fatta una radiografia psicologica del piccolo popolo valsusino residente e renitente verrebbe in luce l’inconscia paura di uno schiacciamento progressivo – della riduzione a Navajos, Sioux e altri Buffalo Bill – che ne allarma e ne indurisce l’anima.  Una fine della contrapposizione TavAntitav non è a breve pensabile.

Dalla Sacra, l’arcangelo Michele brandisce la spada, dove pende uno straccio con la scritta di cui è piena la Valle: No Tav. Ho potuto visitare il cantiere della Maddalena di Chiomonte due giorni dopo lo sfondamento delle barricate (pezzi di cancellate, balle di fieno, ruote di scorta) e il lancio di duemila candelotti di lacrimogeni di gas Cs – con la scorta di un gentile ispettore della Digos, che mi ha aperto lo sbarramento di carabinieri. Lì c’è una via dell’Avana che non è un omaggio al barbuto di Cuba: l’Avanà è il vitigno della zona e questo tratto a vigneti, tra lacrimazioni e perforazioni, non faticherà ad andare perduto.

Vicinissimi ci sono i pilastri giganteschi di un viadotto d’autostrada che potrebbero resistere a un terremoto, ma a un traforo di roccia non so. La collina in discesa è archeologicamente interessante e una parte dei reperti erano visibili in un piccolo museo oggi trasformato in centrale operativa di retrovia militare: nessuno può dire quando riaprirà. Anche tutto quel che la collina nasconde di tracce antropologiche è destinato a rimanere sepolto.
 


Dire “cantiere della Maddalena” è puro flatus vocis fuori della Valle – ma venite qui a toccare con mano le conseguenze. Al museo sono arrivate anche le spartane salmerie per i militari: per cena non riceveranno che un panino al prosciutto e acqua della falda: anche questa a rischio di irreparabile inquinamento. (Sicuramente, nelle tende allestite dai no-tav a pochi metri dagli scudi dei carabinieri, le ragazze sui loro fornellini a gas da campeggio forniranno qualcosa di meglio, come cena d’assedio, ai loro compagni). Sul fondo, le macchine destinate a dare inizio allo sconvolgimento sono draghi addormentati.
 


La Valle, nella chiarità estiva, mi è apparsa straordinariamente attrattiva. Capisco che non possa rassegnarsi al destino che le è inflitto: violenza ai borghi, modifiche territoriali, luce di vita spenta. La questione ecologica in Valsusa sta meritatamente sfiorando l’acme del traffico. E so bene che non si tratta di un vero problema tecnico. E neppure di un episodio locale.  

La Tav (mi provo a darne una definizione non politica) è parte della fondazione di un impero mondiale della Tecnica che opera a ridurre in schiavitù, una schiavitù mai vista, di cui si vanno da molto tempo palesando i segni – il genere umano senza distinzioni etniche e spirituali, gli animali, i semi modificati (Ogm), le erbe, l’animato e l’inanimato, tutto. Le connessioni con la finanza, i poteri criminali (ritenuti separabili solo perché fuori della legge), i partiti, i governi, forme e formule terroristiche, non dicono che il nominabile, e non nominano che qualche utensile, di questa mondializzazione che a poco a poco va privando il vivere delle ragioni per vivere (vivendi causas).  

Abbiamo tentato di tutto – dice Alberto Perino: montagne di carta bollata, ricorsi, ottenuto rinvii e perso occasioni di confronto tecnico che ci sono state rifiutate. Quest’opera è una follia e uno sperpero inutile. Succederà come per la Salerno-Reggio: i lavori si fermeranno, procederanno all’infinito, e di chiaro, nel nostro casino all’italiana, non ci sarà che il profitto di qualcuno e il danno perpetuo della Valle. Quel che è successo il 3 luglio è stato brutto brutto brutto brutto. Ma qualcosa abbiamo capito: che la violenza non paga e va abbandonata; che dobbiamo elaborare altri metodi, che si può vincere senza scontri, nonostante l’esasperazione della gente, farci più amici, più simpatizzanti…  (Riporto questa conversazione a memoria).  

Ma perché, essendo evidente l’inutilità dell’opera, dal momento che il treno c’è già e che il tunnel del 1857 è oggi molto più largo e più sicuro, la si vuole fare ad ogni costo? Non arriviamo da anni in sole 5 ore e trenta a Parigi? Perché il transito Tgv da Lione è stato soppresso? Rispondo così: perché la ragione d’essere della cosa è proprio la sua inutilità. Il predominio tecnologico non ha per fine l’utile, e ha rapporti vaghi, ormai, col necessario. Sono ovviamente d’accordo con Perino che la violenza debba essere bandita. Ma in tutto il mondo, dove ci sia una sopravvivenza d’ideale, la resistenza al sopruso applica, dove è possibile, i metodi e le forme della nonviolenza gandhiana.Vale la pena pensarci.  

Purtroppo – osserva mirabilmente Colin Wilson – la mancanza di ideali condanna il mondo ad essere distrutto dalla violenza. Il punto è là, e va da Chiomonte allo spazio infinito: suscitare ideale, opporre il sogno alle solitudini elettroniche, battistrada del Nulla; innaffiare il sogno superstite. Se l’ideale riuscirà a prevalere, la Tav non si farà, la Valsusa non diventerà una riserva di pellirosse tra Musiné e Frejus.

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