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Scritto il 16/8/11

La lezione della valle di Susa

Da Maurizio Tropeano della “Stampa” a Marco Imarisio del “Corriere della Sera”, sono stati molti i giornalisti italiani che, in questi mesi, hanno battuto i ripidi sentieri di Chiomonte e respirato lacrimogeni, insieme ai No-Tav, cercando di raccontare quello che vedevano – la protesta popolare, la repressione – sforzandosi di decifrare cause e ragioni, senza enfatizzare l’inevitabile contabilità dell’ordine pubblico, tra lanci di pietre e manifestanti feriti da proiettili fumogeni sparati anche ad altezza uomo. “Isolare i violenti”, è stato il mantra recitato dai politici che contano, nelle agitate settimane di luglio: come se il seme della violenza fosse un’erba cattiva che cresce spontanea. «La violenza è inevitabile, se la politica “dialoga” solo coi manganelli», risponde a distanza lo scrittore Erri De Luca.

Qualcuno ha segnalato una “ambigua tolleranza” del movimento popolare valsusino nei confronti delle evocatissime “frange violente”, mentre altri hanno osservato l’anomalia assoluta della “resistenza civile” della valle di Susa, che consiste – anche – nell’assedio simbolico a chi assedia, per davvero, il territorio alpino. E siamo nel 2011: strana epoca, in cui la protesta risale i sentieri della montagna, tra anziani che sfalciano i prati sbirciando con amarezza gli elicotteri che pattugliano il cielo. «Per quello i soldi li trovano, per il resto no», commenta una contadina della Ramats di Chiomonte, borgata montana finita anch’essa nella morsa della “militarizzazione” che costringe i viticoltori dei vigneti sottostanti a trascurare i filari, fino a temere di veder compromessa la vendemmia dei vini Valsusa Doc; un “problema” per il quale la Comunità Montana chiederà 250.000 euro di danni alla società italo-francese Lyon-Turin Ferroviaire, incaricata di realizzare la linea Tav Torino-Lione.

Nonostante un accanitissimo embargo dell’informazione nazionale, che – salvo rari casi – ha sempre evitato di spiegare perché la valle di Susa non vuole la linea ad alta velocità, lo sgombero della “Libera Repubblica della Maddalena” a fine giugno e poi la manifestazione oceanica del 3 luglio, affollata di quasi centomila partecipanti da tutta Italia, ha finito con l’imporre all’attenzione dell’opinione pubblica non solo la radicalità della rabbia, con il puntuale corollario di “scontri”, ma soprattutto le ragioni di una comunità alpina: non afflitta da banale sindrome Nimby, ma rivelatasi un vero e proprio avamposto sociale dell’opposizione popolare contro l’attacco ad alzo zero che ormai si va profilando nei confronti dell’intera comunità italiana, costretta a subire i tagli sanguinosi imposti da un’Europa quasi senza volto, diretta da burocrati non-eletti e condizionati dalla finanza speculativa internazionale.

Giusto per avere un’idea di quello che è accaduto davvero in valle di Susa – chi protesta, da dove proviene, perché ha deciso di scomodarsi – è utile dare un’occhiata al video “I peccati della Maddalena”, diretto da Manolo Luppichini e montato da Lorenzo Nacci con immagini girate da Filomena Canino, Fabio Colazzo e Jacopo Mariani. Il video – girato interamente dalla parte dei manifestanti – racconta per frammenti-chiave l’anima della protesta popolare, il territorio alpino e l’incontro con il resto d’Italia nella grande manifestazione del 3 luglio, mettendo a fuoco l’essenziale: molti italiani, quel giorno, hanno risposto all’appello della valle di Susa perché non ne possono più di una politica ridotta a brandelli, incapace di dare risposte, trincerata nell’indecenza della “casta” e totalmente sorda di fronte alla voce della popolazione.

“Isolare i violenti”, è stato il refrain del neosindaco di Torino, Piero Fassino – valsusino d’origine, figlio di un comandante partigiano – mentre il suo predecessore, Sergio Chiamparino, ha sfilato col cappello alpino al raduno nazionale delle penne nere, nella solennità dei 150 anni dell’Unità d’Italia. Poco dopo, gli stessi alpini – i soldati di oggi e quelli di ieri – si sono confrontati davanti alle recinzioni di Chiomonte, con i “vèci” a sfidare i militari della Taurinense: «Lo spirito alpino è di chi difende le valli, non di chi fa la guerra alla popolazione». Alpini e agenti, ovviamente, eseguono ordini: disposizioni della politica che, sulla Torino-Lione (venti miliardi di euro, la maggiore opera pubblica nella storia italiana) continua a sembrare sordomuta, evitando di dare spiegazioni sulla reale utilità di un’avventura finanziariamente spaventosa e, prima ancora, bocciata da tutti i “trasportisti” e dai migliori tecnici dell’università italiana, giunti a firmare un appello al presidente Napolitano perché utilizzi la sua “moral suasion” e stimoli un ripensamento: quell’ecomostro, un salasso economico folle, sarebbe completamente inutile, di nessun peso per l’economia del nord-ovest che non ha bisogno di far correre merci (inesistenti) verso la Francia.

Lungi dall’entrare nel merito delle contestazioni, sempre Chiamparino – accreditato come eterna risorsa strategica del Pd – è salito in cattedra per bacchettare i valsusini che, col loro ingenuo radicalismo, non accetterebbero la sfida del “riformismo”. Un lessico ottocentesco, protestano i No-Tav, scandalizzati: qualcuno spieghi all’ex alpino Chiamparino che il Muro di Berlino è crollato, che abbiamo avuto l’11 Settembre, che siamo nell’era della globalizzazione selvaggia e senza diritti, il nuovo medioevo della finanza che sta mettendo in ginocchio anche Barack Obama. Di quale “riformismo” parla l’ex sindaco di Torino? Di quello che ha accettato di svendere l’Europa cedendo quote impressionanti di sovranità nazionale, sociale e monetaria, a una élite bellicosa e senza scrupoli che oggi presenta il conto ai popoli europei, in base a non si sa quale legittimità democratica visto che la Commissione Europea, il vero governo dell’Unione, non è neppure un organismo elettivo?

E’ ora che la sinistra cominci a fare i conti con lo strapotere della finanza internazionale e scelga finalmente da che parte stare, scrive Gad Lerner sul suo blog, dal quale invoca almeno il coraggio di una patrimoniale per limitare i danni del “massacro sociale” in arrivo coi tagli indiscriminati sul welfare. Le ultime cronache raccontano che della “macelleria d’autunno” faranno le spese Province e Comuni, coi loro servizi sociali: l’accorpamento dei piccoli centri potrebbe cancellare anche diverse municipalità della valle di Susa, complicando addirittura l’iter burocratico dell’aborrita Torino-Lione. Non manca chi spera nel “ripensamento” invocato dagli accademici italiani nel loro appello a Napolitano; se non per sopraggiunto ravvedimento, almeno per senso della realtà: in questa Italia che trema sotto i colpi dei tagli, l’eventuale apertura del maxi-cantiere della Torino-Lione suonerebbe come la più grottesca delle beffe.

Nonostante il silenzio-stampa imposto dalla “casta”, grazie anche all’effetto dirompente della catastrofe atomica di Fukushima, l’Italia ha votato contro il nucleare e per l’acqua pubblica, ridisegnando il profilo della cittadinanza europea all’alba del nuovo millennio. Giorgio Airaudo, dirigente della Fiom, era alla “Libera Repubblica della Maddalena” il 13 giugno, secondo giorno della consultazione referendaria, per portare solidarietà ai No-Tav. «Raggiungeremo certamente il quorum – disse, ad urne ancora aperte – e daremo un segnale inequivocabile: il bene comune non si tocca, ed è un bene comune anche la valle di Susa, che in questi anni ha condotto una battaglia giusta, aperta, pacifica, popolare e democratica». Mentre di ora in ora cala il sipario sulle macerie del “riformismo” degli ultimi vent’anni, sono in molti ad augurarsi che la tragedia finanziaria in arrivo finirà almeno per chiarire, una volta per tutte, anche le ragioni della valle di Susa: chi ancora non le conosce, probabilmente scoprirà che coincidono, ogni giorno di più, con quelle del resto d’Italia.

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