Il Fatto Quotidiano
10 ottobre 2011

Partito da Bologna il No Tav tour: “Non siamo mostri né provocatori”
di Giovanni Stinco

Faranno tappa a Milano, Genova, Bari, Napoli e Palermo per spiegare le ragioni della loro opposizione all'alta velocità. E le iniziative che hanno in programma per "salvare le nostre valli"

Francesco, Simone, Federico e Massimo. Due studenti e due lavoratori. Tutti No Tav. Chi da vent’anni, chi da solo pochi mesi. E’ toccato a loro aprire il “No Tav Tour”. Prima tappa a Bologna, poi per tutto il mese fino a metà novembre in tutta Italia: Milano, Genova, Napoli, Bari e chiusura a Palermo.

Quando prendono il microfono per raccontare il loro no all’alta velocità in Val Susa, Piazza Nettuno applaude e tutti iniziano a fare foto e filmati col telefonino. Quasi i quattro piemontesi fossero diventati delle rock star. Eppure questa estate sono stati tra quelli che, secondo il Ministro Maroni, “cercavano il morto”, i “terroristi” che da anni impediscono i lavori dell’alta velocità che dovrebbe collegare Torino a Lione. Un’opera da miliardi e miliardi di euro che a loro e a gran parte della Val Susa non va proprio giù.

E allora ecco il perché del loro tour, un modo per staccarsi dal lungo e a volte violento assedio al cantiere di Chiomonte e provare a comunicare con tutta Italia. Sopratutto, un modo per saltare l’intermediazione dei media, da loro accusati di essere “schierati con il Governo e con chi vuole fare a tutti i costi le grandi opere”.Francesco, 31 anni e un impiego come muratore a Bussoleno, è il primo a prendere la parola. “Ci hanno dipinto come mostri, e allora abbiamo deciso di farci vedere in faccia”, spiega al microfono per poi elencare le ragioni del suo no all’alta velocità, “un’opera inutile, che distrugge il territorio e sopratutto costosissima”. Con lui ci sono anche Simone e Federico, universitari di Chiomonte e Torino. “E’ da meno di due anni che ci siamo schierati in questa lotta – spiega Simone – e pensiamo sia giusto spiegare a tutti perché lo stiamo facendo”.

“Sono venuto con i miei due bambini – dice invece Massimo, 40 anni e un lavoro da installatore di serramenti in un paesino in provincia di Torino – per mostrare a tutti che siamo gente pacifica che vuole opporsi ad un’opera che invece è violenta, che ci viene imposta e che devasterà la nostra valle”. Massimo è quello che parla di più, annuncia che il 15 ottobre sarà con la mente con tutti quelli che andranno a Roma a protestare, con gli indignati di ogni parte d’Italia. “Purtroppo dovrò restare in Valle – spiega – ma saranno migliaia i No Tav che dai paesi attorno a Bussoleno e Chiomonte partiranno in treno o in bus”. Una protesta che ormai non è più solo contro il cantiere di casa propria, ma punta il dito contro il sistema finanziario e l’attuale situazione politica italiana.

E’ qui si capisce il perché di un pubblico tanto numeroso. “Ci siamo resi conto – spiega Francesco – che la nostra lotta è diventata un esempio per tutti”, per questo ci siamo permessi di inviare un appello a tutta Italia, e chiedere che il 15 ottobre a Roma si metta fine al “tiranno che ci governa”. Come? “In ogni modo”, risponde sempre Francesco. Ad ascoltarli duecento persone. Molti studenti universitari, qualche signore di mezza età e i “No People Mover”, che ne hanno approfittato per volantinare e poi prendere la parola.

“L’Italia – ha detto al microfono Ermanno Brenzoni – è piena di cantieri come quello della Tav in Val Susa. Qui a Bologna sta per arrivare il People Mover, opera faraonica, inutile e che costerà milioni e milioni di euro ai cittadini bolognesi”. E poi via all’elenco di tutto quello che è peggiorato nell’ultimo anno: l’introduzione del ticket sanitario, l’aumento del biglietto del bus, i posti nido che mancano, i tagli ai servizi sociali. “E loro vogliono spendere un sacco di soldi per una monorotaia sopraelevata quando c’è già la ferrovia?”, chiede a tutti Brenzoni. Domanda che va a braccetto con le considerazioni del No Tav Francesco. “Fanno manovre da 22 miliardi e per l’alta velocità ne spendono 20. C’è poco da non capire”, dice al microfono. Per poi ricordare che sul sito del movimento c’è un appello che si conclude con l’invito a “marciare fin sotto i palazzi del potere, e lanciare tutti insieme il grido che arriva, forte e chiaro, dalla Spagna: Que se vayan todos! “. Si scrive in spagnolo, ma molti di quelli che ascoltavano questo pomeriggio avevano in testa le immagini della primavera araba. Rivolte di piazza comprese.

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