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Scritto il 20/10/11

La verità, a testa alta: perché la val Susa fa così paura

«Noi siamo convinti che domenica succede qualcosa di brutto», dice il portavoce No-Tav Alberto Perino a Niccolò Zancan de “La Stampa”. «I poliziotti faranno delle azioni incredibili per non lasciarci neanche avvicinare alle reti». E voi? «Prenderemo il cantiere». Ed ecco che Perino diventa una sorta di proto-terrorista, citato addirittura dal ministro Maroni nella sua relazione: misure speciali dopo il disastro romano del 15 ottobre e “timori” per un possibile replay il 23 ottobre in valle di Susa in vista dell’ennesimo “assedio” indetto dai No-Tav. Peccato che Alberto Perino quella frase non l’abbia mai pronunciata. Non ha mai detto «prenderemo il cantiere», come ha scritto “La Stampa” il 17 ottobre, ma – al contrario – alla domanda “voi che farete?”, ha risposto, con amara ironia: «Le prenderemo, come abbiamo sempre fatto».

Immediata la richiesta di smentita da parte di Perino attraverso il suo legale, l’avvocato Stefano Bertone. Risultato: nel video sulla versione web del quotidiano torinese, l’autentica risposta di Perino è stata “ripristinata”, anche se il filmato – fra tagli grossolani e labiale fuori sincronizzazione – ricorda manipolazioni d’altri tempi. E dice, anzi grida, l’unica verità sulla bocca di tutti: la paura. Quella che l’establishment continua a mostrare nei confronti della popolazione “ribelle” della valle di Susa. La maggioranza è favorevole alla Torino-Lione, ripete il presidente della Regione Piemonte, Roberto Cota, fingendo di non ricordare che appena tre mesi fa, il 3 luglio, erano circa centomila i partecipanti della più grande manifestazione popolare No-Tav mai organizzata contro la Torino-Lione. Analogo successo due mesi dopo nel cuore di Torino, allo sciopero generale proclamato dalla Cgil: i No-Tav hanno conquistato la piazza facendosi largo a spintoni per raggiungere il palco e parlare alle ventimila persone del pubblico, che hanno tributato loro un’ovazione così vibrante da imbarazzare gli organizzatori sindacali.

Ora ci risiamo: col pretesto degli scontri di Roma, grazie ai quali i “black bloc” hanno impedito a centinaia di migliaia di italiani di manifestare contro i tagli al welfare causati dalla politica di rigore per il debito pubblico, qualcuno ha ritenuto ovvio approfittare dell’occasione per colpire sempre loro, i No-Tav: quasi fossero fiancheggiatori del “nuovo terrorismo”, come si dedurrebbe da interviste (tutte coperte dall’anonimato) che alcuni “incappucciati” avrebbero rilasciato ai maggiori quotidiani, insinuando che in valle di Susa si sarebbero allestiti addirittura “campi di addestramento” per allenare i teppisti a sfidare la polizia antisommossa. Ormai è un coro, che inonda web e social network, televisioni e giornali: vedrete, il 23 ottobre sarà il giorno nel quale i No-Tav getteranno la maschera e si sveleranno finalmente per quello che sono, un branco di violenti.

Non importa se la valle di Susa contesta da vent’anni la Torino-Lione, in modo così civile e documentato da lasciare senza argomenti gli interlocutori istituzionali, ridotti ormai a sperare apertamente che le frange violente in azione a Roma il 15 ottobre riescano a rovinare anche la protesta popolare dei No-Tav, togliendo la parola a chi di fatto, da vent’anni, subisce ogni sorta di sopruso da parte di lobby che sembra si considerino al di sopra della legge: persino le recinzioni del “non-cantiere” di Chiomonte, quelle che i manifestanti vorrebbero “tagliare, a visto scoperto” il 23 ottobre, secondo i No-Tav sono totalmente illegali, erette su terreni privati di montanari, mai neppure formalmente espropriati. 

Se fino a ieri la valle di Susa è stata inesorabilmente isolata e sistematicamente zittita da una disinformazione a tappeto, oggi – dopo gli scontri di Roma – l’obiettivo è lo stesso ma il metodo è un altro: il movimento No-Tav va definitamente liquidato nell’unico modo possibile, e cioè criminalizzandolo, perché è politicamente pericoloso: i valsusini sono “cattivi maestri”, osano gridare la loro verità a testa alta, sono l’esempio vivente di come una protesta popolare autogestita, dal basso, possa resistere alla pressione lobbystica dei grandi partiti fino a frenare e addirittura impedire la realizzazione di un’opera pubblica faraonica, disastrosa, finanziariamente spaventosa e, peggio ancora, totalmente inutile.

Come i migliori specialisti universitari di cui l’Italia dispone hanno spiegato (invano, finora) anche al presidente Napolitano, la Torino-Lione è una grande opera priva di alcuna utilità strategica per il nostro sistema economico; rappresenta solo un cancro finanziario destinato ad aggravare la già mostruosa minaccia del debito pubblico. L’unico eventuale vantaggio (non pubblico, ma privato) della Torino-Lione sarebbe decisamente indecente: la prospettiva di quei cantieri fa gola a chi spera di realizzarvi enormi profitti, naturalmente sulla pelle degli italiani, grazie al sistema tutto nostrano delle grandi opere. Una maxi-torta da dividere a tavolino fra grandi imprese, politica e finanza, con anche il pericolo – ammesso ormai ufficialmente – di rilevanti infiltrazioni mafiose: per i cartelli criminali miliardari, proprio i grandi cantieri (privi di rischio d’impresa) sono il sistema migliore per mettere al riparo e ripulire il denaro sporco, contaminando definitivamente l’economia.

«Se la politica “dialoga” solo coi manganelli, la violenza è una risposta inevitabile», ha detto lo scrittore Erri De Luca a chi gli ricordava gli scontri del 3 luglio a Chiomonte, divampati a margine dell’oceanica manifestazione pacifica. Oggi la valle di Susa e il suo movimento popolare sanno di essere di fronte a un passaggio cruciale: si teme che la minima incertezza di fronte a provocazioni violente potrebbe costare carissima. In gioco non ci sono solo vent’anni di resistenza civile condotta tra i monti piemontesi contro un potere quasi sempre sleale, cioè inaffidabile e inattendibile, ma anche il futuro di tutti i No-Tav d’Italia, brutalmente oscurati dai “black bloc” a Roma il 15 ottobre proprio mentre stavano per rialzare la testa, rivendicando i propri diritti di sovranità e cittadinanza appena richiamati e rimessi in campo, trionfalmente, con lo spettacolare plebiscito dei referendum di giugno.

Sovranità e cittadinanza: è l’elementare rispetto democratico, sancito dalla Costituzione, che da vent’anni la valle di Susa chiede per sé, anche in nome del popolo italiano. «Succederà qualcosa di brutto», profetizza Perino, immaginando che chi vuole a tutti i costi l’inutile Torino-Lione – anche oggi, con l’Italia in mutande – preferirà ancora una volta mobilitare eserciti, facendo del terrorismo psicologico, piuttosto che dare spiegazioni. Perché la Torino-Lione, protetta da grandi partiti, grandi banche e consorzi di grandi imprese trasformate in general contractor, sembra proprio destinata a restare un mistero: un tabù che si nutre di paura, che teme la ragione dei numeri e preferisce nascondersi all’infinito dietro logore parole come “Europa” e “sviluppo”, persino ora che l’Europa dei banchieri trema, fra le macerie dello “sviluppo” che fu.

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