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Fonte : Jacques Attali
La Repubblica
01 Ottobre 2011

Il sorriso di Gandhi contro la violenza

Il nuovo saggio dello studioso francese sulla figura del pacifista indiano.  Come un avvocato fallito è diventato uno degli uomini più importanti della storia umana

Ho voluto comprendere come questo giovane avvocato fallito è divenuto uno degli uomini più importanti della storia umana; come quel giovane mondano si è trasformato in un santo laico; come quell´anglofilo è diventato ferocemente antioccidentale; come mille sconfitte si sono mutate per lui in trionfo, come Mohandas è diventato Gandhi (...).

Ci sono stati molti fattori, ma alcuni sono stati determinanti. Come il fatto di aver compreso le conseguenze profonde dell´uso della violenza. Certo, non ha potuto impedire la divisione dell´India, ma almeno è riuscito, lì dove è intervenuto, a calmare quelli che erano pronti ad ammazzarsi tra loro, ma non a lasciarlo morire. È vero, non ha potuto arrestare la barbarie di chi, come Hitler, non dava peso né alla ragione né alla propria reputazione, ma ha posto dei principi che oggi acquistano una forza tutta nuova.

Molto prima di chiunque altro, Gandhi ha visto che ottenere qualcosa con la violenza significa condannarsi a farne nuovamente uso per conservarlo e svilupparlo. Ha compreso, molto prima dei leader indipendentisti, che l´indipendenza non è un fine valido, se lo sfruttamento continua. Poi ha realizzato, molto prima dei leader mediatici creati dalla nascita della televisione, che era essenziale rendere partecipe l´opinione pubblica. Ha potuto così trascinare decine di migliaia di persone con lui in Sudafrica, decine di milioni in India, facendo addirittura appello all´opinione pubblica inglese contro i politici di Londra (...).

L´impatto di qualcuno che dica così la verità sarebbe tanto più grande se costui avesse il coraggio di trasformare se stesso prima di pretendere di trasformare l´altro. E Gandhi sapeva, per esperienza, che ogni uomo, lui compreso, può diventare un bruto, un mostro, un assassino. Che ciascuno ha dentro di sé allo stesso tempo una bestialità smisurata e una formidabile capacità di amore. Dunque si riconosceva il diritto di predicare solo ciò che lui stesso riusciva a mettere in pratica. Mentre tutti gli altri leader rivoluzionari si accontentavano di elaborare dei piani per cambiare il mondo dalla loro scrivania, lui non voleva imporre un "uomo nuovo", ma voleva diventarlo lui stesso, e convincere poi con il suo sacrificio. Preferiva dare l´esempio piuttosto che lezioni.

Ecco, senza dubbio, l´aspetto più affascinante e importante di Gandhi: per cambiare il mondo, bisogna cambiare se stessi e avere come più alta ambizione, modesta e orgogliosa al tempo stesso, quella di dominare la propria violenza, i propri desideri, la propria sessualità, i propri sentimenti, per liberarsi di qualsiasi traccia di bestialità; poi, con l´aiuto delle pratiche ascetiche e di meditazione, ottenere un potere su di sé rinunciando al potere sulle cose; infine, e solamente infine, mettere questo potere al servizio di un ideale di un´estrema esigenza, facendone dono agli altri.

Oggi, mentre pulizie etniche e guerre di religione, mille e una divisioni, e barbarie di una portata spaventosa incombono ovunque, questa strategia della nonviolenza resta l´unica ad avere senso. Essa presuppone che qualcuno abbia il coraggio di venire a dire la verità, di viverla, di incarnarla. Ma, oggi, non si accetta più che qualcuno la gridi, tranne qualche volta i comici: come se solo la risata potesse renderla sopportabile.

La risata di Gandhi è senza dubbio ciò che chi ha incrociato la sua strada ricorda di più. Una risata di sfida, di tristezza e di compassione insieme; la risata di chi sa che il segreto della civiltà non è tanto amare il prossimo come se stessi quanto dirgli la verità, dopo aver avuto il coraggio di dirla a se stessi.

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