http://serenoregis.org
1 settembre 2011

Movimento per la pace: un movimento che non c’è… ancora!
di Nanni Salio

La questione è vecchia, ma si ripropone sempre quando ci troviamo di fronte a una guerra: dov’è il movimento per la pace?

Non ritornerei su questo tema, se non fosse per rispondere alle giuste e sofferte sollecitazioni di Marinella Correggia, che ha tentato invano di richiamare l’attenzione su quanto è avvenuto e continua ad avvenire in Libia.

Ecco alcuni spunti di riflessione che ritengo essenziali.

Primo: non esiste un movimento organizzato al quale fare riferimento direttamente, neppure un reale coordinamento, ma solo un insieme variegato di associazioni, gruppi, piccoli movimenti, che operano settorialmente e separatamente.

Secondo: le grandi oceaniche manifestazioni sono il risultato di iniziative alle quali partecipano anche altri soggetti, oltre ai movimenti di base: le Chiese, i partiti. Storicamente, in queste occasioni si è riusciti sia a ottenere qualche parziale risultato, sia a essere presenti su scala globale (lotta contro i test nucleari in atmosfera negli anni 1950-1960; contro la guerra del Vietnam; contro gli euromissili). Ma sovente queste manifestazioni si limitano a essere dei grandi happening, come è avvenuto il 15 febbraio 2003, in quella che è stata definita, con troppa enfasi, la giornata della “nascita della seconda superpotenza mondiale”.

Terzo: le risorse a disposizione dei movimenti di base sono scarsissime, quasi nulle e non c’è un piano per modificare questo stato di cose.

Quarto: i movimenti di base non hanno un loro programma politico preciso, ma solo un insieme di proposte e di slogan generici. In altre parole, “non fanno politica”. In questo momento non hanno nessun referente politico in Parlamento.

Quinto: per quanto riguarda l’Italia, né la Chiesa cattolica, né tanto meno i partiti di sinistra hanno mai assunto con rigore e coerenza il tema della pace e specificamente della cultura e dell’azione nonviolenta. Contribuiscono quasi solo a un pacifismo basato su dichiarazioni generiche, vaghe e impotenti.

Di fronte a questa situazione, descritta per sommi capi, non stupisce quanto è successo nel caso della Libia.

Tra i partiti e le forze di sinistra c’è stato un coro quasi unanime, dalla Rossanda sul Manifesto al Presidente della Repubblica, di adesione alla falsa interpretazione dell’ “intervento umanitario”. Era talmente evidente la montatura, che ci si chiede se sia prevalsa la stupidità, l’ignoranza, la disinformazione o semplicemente la distrazione.

Le poche azioni di protesta sono passate sotto silenzio e non hanno avuto rilievo, né incisività. Non bastano i digiuni a staffetta, condotti quasi in incognito, né gli appelli che si limitino a richieste generiche.

La protesta dev’essere organizzata e condurre, gradualmente, anche alla disobbedienza civile, di cui si vedono ben pochi esempi negli ultimi tempi.

D’altro canto, si potrebbe aggiungere che di fronte a tragedie di portata ben maggiore, continuiamo a muoverci tra l’indifferenza e l’inefficacia: siccità e fame devastante nel Corno d’Africa come caso specifico del più ampio problema della morte per fame che ha un’incidenza in termini di mortalità annua circa 100 volte superiore a quella di tutte le guerre; crisi sistemica globale (economica, sociale, ambientale, alimentare), migrazioni e violenze quotidiane su donne e bambini.

Certo, il caso della Libia è relativamente più circoscritto e se esistesse un autentico movimento per la pace si sarebbe forse riusciti a contrastare la deriva verso la guerra che, come ormai è ampiamente documentato, è stata preparata anni prima.

Tuttavia, non dimentichiamo che lo scenario globale è di natura tale da richiedere un impegno ben diverso rispetto a quanto fatto finora da parte di tutti quei gruppi di base che intendano realmente costruire un’alternativa.

Non possiamo rimanere a livello di dilettanti che operano nel tempo libero, contro un complesso militare-industriale-scientifico-corporativo-mediatico di centinaia di migliaia (milioni) di professionisti a tempo pieno. Le guerre si fanno anche ad agosto, quando la maggior parte di noi pensa solo alle agognate vacanze.

I risultati positivi dei due referendum sull’acqua e sul nucleare sono ottimi esempi della capacità di lavorare insieme da parte di centinaia e migliaia di piccoli gruppi su proposte concrete e obiettivi raggiungibili.

Anche la pace è un “bene comune” che dev’essere costruito e difeso.

Un futuro movimento per la pace, autentico ed efficace, non ha che l’imbarazzo della scelta: dalla drastica riduzione delle spese militari al potenziamento del servizio civile; dai Corpi Civili di Pace all’attivazione della legge sul servizio civile per quanto riguarda esperienze di difesa popolare nonviolenta; dall’educazione alla pace alla mediazione e trasformazione nonviolenta dei conflitti; dalla critica del sistema capitalista alla transizione verso società e modelli di economia nonviolenta; dall’attuale sistema agroalimentare che affama e uccide milioni di esseri viventi indifesi a un’alimentazione vegetariana e vegana basata sull’agroecologia; da una cultura mediatica e accademica che esalta la guerra e la violenza a una cultura di pace e nonviolenza seguendo le orme e gli insegnamenti dei grandi maestri: da Gandhi a Capitini, da Pontara a Galtung.

Cara Marinella, il lavoro è molto e gli attivisti pochi, ma non perdiamoci d’animo: uniamo le forze, continuiamo a lottare, a progettare e costruire esperienze di vita ispirate alla nonviolenza.

E’ probabile che l’umanità intera si trovi di fronte a un punto di svolta: o riusciremo a costruire una società globale capace di organizzarsi secondo i principi della nonviolenza, in modo tale imprimere un salto evolutivo agli odierni imperfetti esseri umani, oppure corriamo il rischio di un collasso planetario.

Guardiamo al futuro con la lungimiranza e la fiducia dei “giusti”, dei bodhisattva, pur nella consapevolezza dei nostri limiti personali e collettivi, coltivando la compassionevolezza e la compresenza verso tutti gli esseri viventi.

top