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15/3/11

La peste atomica che continua a minacciare il mondo

Da Chernobyl a Fukushima, ci ricordiamo del terrore nucleare solo quando ci esplode in faccia. Ma il problema è vastissimo e sotterraneo: una piaga mondiale, generalmente silenziata dai media. I numeri fanno spavento: migliaia di esplosioni e test militari, centinaia di centrali atomiche civili, alcune delle quali funestate da decine di incidenti pericolosi. Emergenze a parte, c’è un corollario spettrale: tonnellate di scorie radioattive che non si sa come smaltire, rifiuti atomici finiti in mare, un’infinita gamma di patologie di origine ambientale, tumori e leucemie. Il nucleare è comunque una bomba innescata, anche quando non “impazzisce”. E nel frattempo minaccia il mondo in silenzio, da decenni. Il velo si squarcia solo quando esplode la tragedia, come ora nel Sol Levante.

In Giappone, scrive Marco Cedolin sul blog “Il Corrosivo”, il violentissimo terremoto dell’11 marzo ha creato un inferno apocalittico degno dei peggiori film catastrofici. Un inferno dove gli impianti petrolchimici bruciano rendendo nero il cielo, i depositi petroliferi riversano il greggio in mare, i viadotti crollano, le superstrade vengono inghiottite dalle voragini apertesi nel terreno, le linee ferroviarie ultramoderne si accartocciano come fogli di carta dentro un caminetto, le dighe cedono di schianto creando nuovi Vajont. «I mentori dell’onnipotenza tecnologica si ritirano nelle loro tane, i notiziari raccontano migliaia di vittime il cui computo sarà purtroppo destinato ad aumentare in maniera esponenziale con il passare delle ore».

Le centrali nucleari vacillano e quella di Fukushima esplode in una nube bianca che fa pensare subito alla tragedia di Chernobyl. La società del progresso tecnologico è sotto choc, e le centrali nucleari così esposte al pericolo «mostrano ancora una volta inequivocabilmente i termini di una scelta sbagliata, drammatica, demenziale ed assassina, ricordandoci che siamo seduti sopra una bomba di cui si è persa traccia della spoletta d’innesco». A parlare sono, purtroppo, i numeri: nel mondo sono attivi circa 440 impianti di generazione nucleare. La Francia da sola ne possiede 80, la Spagna 9, la Svizzera 5 e la Germania una ventina, solo per citare i paesi a noi più vicini.

Ogni centrale, oltre a inquinare con radiazioni il territorio circostante, potrebbe sempre “impazzire” e dare origine a una catastrofe: non c’è da star tranquilli, aggiunge Cedolin, se si conta che i governi oramai tendono a cederle in appalto ad aziende private, interessate in primo luogo al profitto. Incidenti a parte, l’energia atomica resta una spada di Damocle. Ogni impianto genera radiazioni che resteranno attive per decine di migliaia di anni: scorie completamente ingestibili, data l’impossibilità di creare siti di stoccaggio davvero sicuri. Un dilemma semplicemente rinviato, ad un futuro fantascientifico, mentre il problema – evitato dai media – ci sta letteralmente invadendo.

«I mari del mondo sono assurti al ruolo di vere e proprie pattumiere nucleari», scrive Cedolin. «Basti l’esempio del Mediterraneo, già teatro nel 1956 dell’inabissamento di un bombardiere statunitense B-47, con due capsule nucleari a bordo». Il “mare nostrum” è divenuto discarica, in tempi più recenti, «per centinaia di bombe all’uranio impoverito, sganciate nell’Adriatico da aerei americani durante la guerra in Kosovo». Naturalmente, «come sempre accade quando si tratta d’inquinamento nucleare», nessuno si è preoccupato di approfondire le conseguenze: mangiamo pesci radioattivi? Facciamo il bagno in acque nucleari?

L’inquinamento atomico colpisce per la vastità delle proporzioni e il silenzio che lo protegge, continua Cedolin: dal dopoguerra ad oggi sono stati 32 gli incidenti, ufficialmente dichiarati dalle autorità, provocati da armi nucleari. Il comparto militare ha infatti un peso rilevante nel problema: dal 1945 ad oggi sono state oltre 2000 le esplosioni atomiche messe in atto per sperimentare nuovi ordigni di distruzione di massa. Solo gli Stati Uniti hanno condotto 1.039 test balistici atomici. Impossibile determinarne la gravità della ricaduta radioattiva, afferma Cedolin, «anche a causa dell’omertà di buona parte del mondo scientifico, asservito ai grandi poteri».

I dati riguardanti i casi di tumori e leucemie, aumentati negli ultimi 50 anni in maniera esponenziale, dovrebbero bastare da soli a far comprendere la grandezza del problema. Nonostante ciò, «in campo medico i pericoli per la salute dell’uomo, indotti dalle ricadute radioattive, continuano ad essere colpevolmente sottaciuti, mentre si cerca di mistificare le reali cause di tumori e leucemie», inventando “colpevoli” collaterali e improbabili. Parla da solo il caso dell’uranio impoverito per proiettili e blindature: «Tutti i paesi teatro di guerra negli ultimi 15 anni, dalla ex Yugoslavia, all’Afghanistan, all’Iraq, sono stati contaminati in maniera significativa».

E’ una strage silenziosa, che ha raggiunto anche l’Italia come dimostrano i soldati reduci da Bosnia e Kosovo, colpiti da malattie tumorali, e ora anche il poligono sardo di Quirra dove si svolgono test missilistici: la magistratura ha avviato un’indagine dopo la segnalazione dei sanitari, che hanno rilevato casi di malformazione tra gli agnelli neonati e un altissimo tasso di leucemia, tumore che ha colpito il 65% dei pastori dell’area, uccidendo anche personale militare in servizio nella base. Eppure: «Non esistono studi che possano determinare la reale pericolosità di questa contaminazione, né gli effetti che essa avrà sulla salute degli abitanti a medio e lungo termine». Le uniche ricerche, «oltretutto manipolate dai grandi poteri», si limitano per ora al rischio per i militari in combattimento, trascurando l’effetto permanente dell’esposizione per le popolazioni costrette a vivere su suoli contaminati.

Un caso limite è quello della città di Mayach, negli Urali del sud, in Russia. Una “città invisibile”, epurata dalle cartine geografiche insieme ai suoi abitanti: «Tristi fantasmi, simili a morti che camminano». Costruita nel dopoguerra, Mayach divenne operativa nella produzione di plutonio. Fino al 1951, scorie liquide radioattive vennero rilasciate direttamente nel fiume Techa, contribuendo a contaminare oltre 100.000 abitanti che vivevano lungo le sponde. Ad estendere il contagio al Mare Artico ha provveduto direttamente il fiume. Così, dopo il 1951, gli scarichi dell’impianto vennero indirizzati verso il lago Karachai, isolato dall’Oceano.

Nel 1957, continua Cedolin, un’esplosione all’interno degli impianti contaminò una regione grande quanto la Toscana: «Si trattò di un disastro di enormi proporzioni, ma la cosa venne tenuta segreta». Dieci anni dopo, nel 1967, quando una siccità prosciugò il lago Karachai, il vento sollevò grandi quantità di polvere radioattiva, avvelenando un’area di 2.000 chilometri quadrati. «Oggigiorno il lago Karachai è un mostro radioattivo in grado di uccidere un uomo che sostasse per una sola ora sulle sue sponde, e tale rimarrà nei secoli a venire». Un’autentica falcidie, intanto, sta decimando gli abitanti della zona: negli ultimi cinquant’anni è cresciuto del 78% il numero dei malati di cancro e leucemia, un bambino su tre nasce deforme e metà della popolazione – uomini e donne – è diventata sterile.

«L’inquinamento nucleare si può annoverare senza dubbio come uno fra i problemi più gravi, in grado di minacciare sia il nostro presente, sia il nostro futuro, nonché quello delle generazioni a venire», conclude Cedolin. «Un problema che si muove su vari livelli, spaziando dalla gestione del nucleare civile a quello militare, fino ad arrivare all’ingerenza dei privati che in molti casi stanno soppiantando le amministrazioni pubbliche». Si tratta di una autentica emergenza: un disastro strisciante, «scientemente sottaciuto dai media e nascosto all’opinione pubblica, sia mistificando la gravità degli incidenti già avvenuti, sia ignorando colpevolmente la situazione pericolosissima che molteplici elementi stanno ingenerando in propensione futura». Pochi studi seri, e tutti «secretati»: perché nessuno si accorga che quello del nucleare, anche quando non esplode, è un abbraccio di morte.

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