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The Electronic Intifada
12 September 2011

All’Onu il funerale della soluzione due stati per due popoli
di Ilan Pappé

Stiamo tutti per essere invitati al funerale della soluzione di due stati per due popoli, se e quando l’Assemblea Generale dell’ONU annuncerà di aver accettato la Palestina come stato membro.

Il sostegno della vasta maggioranza delle organizzazioni membre completerà un ciclo iniziato nel 1967 che ha garantito la sconsiderata soluzione di due stati per due popoli, nonchè il sostegno di tutti i poteri più o meno forti nei teatri regionali e internazionali.

Persino in Israele quel sostegno verrà eventualmente inghiottito dalla destra, così come dalla sinistra e dal centro della politica sionista. E comunque, a dispetto dell’appoggio preventivo e futuro, tutti, dentro e fuori dalla Palestina sembrano concedere che l’occupazione continuerà e perfino nel migliore degli scenari, ci sarà un più grande e razzista stato di Israele accanto ad un frammentato e inutile bantustan.

La charada finirà in un paio di giorni, in Settembre o al più tardi in Ottobre, quando l’Autorità Nazionale Palestinese ha pianificato di sottoporre la sua richiesta per diventare membro delle Nazioni Unite a pieno titolo.

Potrebbe anche essere doloroso e violento, se Israele continua a godere dell’immunità internazionale e fosse autorizzato a finalizzare con la forza la sua mappatura della Palestina post – Oslo. Oppure potrebbe finire in un modo rivoluzionario e molto più pacifico con una graduale sostituzione delle vecchie logiche con nuove e solide verità, a proposito della pace e della riconciliazione in Palestina. O anche, forse, il primo scenario potrebbe essere una sfortunata precondizione per il secondo. Lo sapremo solo col tempo.

Un dizionario sostitutivo per il Sionismo

Nell’antichità, i morti venivano sepolti con i loro oggetti personali. Probabilmente, questo prossimo funerale seguirà lo stesso rituale. L’oggetto più importante che finirà due metri sotto terra sarà il dizionario delle illusioni e dell’inganno, con le sue famose definizioni, come: il processo di pace, l’unica democrazia del medio oriente, una nazione amante della pace, parità e reciprocità, una soluzione umana al problema dei rifugiati.

Il dizionario sostitutivo ha descritto per molti anni il Sionismo e il Colonialismo, Israele è uno stato razzista che pratica la discriminazione e la pulizia etnica. Sarà molto più facile aggiungere anche questa definizione all’uso comune del dizionario.

Le mappe delle soluzioni morte sranno anch’esse riposte accanto al corpo.  La cartografia che diminuisce la Palestina ad un decimo della sua dimensione storica, che fu presentata come la mappa della pace, speriamo, scomparirà per sempre.

Non c’è alcun bisogno di preparare una mappa alternativa. Fin dal 1967, la geografia del conflitto non è mai cambiata, mentre invece si trasforma continuamente nei discorsi dei politici sionisti liberali, giornalisti e accademici, che abbracciano, oggi, con soddisfazione, un vastissimo sostegno internazionale.

La Palestina è sempre stata la terra tra il fiume e il mare. E continuerà ad esserlo. I suoi cambiamenti non sono caratterizzati dalla geografia ma piuttosto dalla demografia. Il movimento coloniale che vi si insediò alla fine dell’ottocento, ora conta almeno la metà della popolazione e controlla l’altra metà attraverso una matrice di ideologie razziste e politiche discriminatorie.

La pace non è un cambiamento demografico, e neppure una riscrittura delle mappe: la pace è l’eliminazione di queste ideologie e politiche. Chissà, il superamento di quelle politiche e di quelle ideologie potrebbe essere più facile oggi che in futuro.

Scoprire il movimento di protesta israeliano

Il funerale rivelerà l’ingannevolezza dell’attuale movimento di massa che protesta in Israele, e allo stesso tempo illuminerà il suo potenziale positivo. Per sette settimane, ebrei della classe media israeliana hanno protestato in grande numero contro le politiche economiche e sociali del governo.

Per poter mantenere un ampio consenso e una vasta partecipazione i leader e i coordinatori del movimento hanno evitato di parlare di occupazione e colonizzazione o di apartheid. La fonte del male per ogni rivendicazione erano le brutali politiche capitaliste del governo.

Fino ad un certo punto, hanno ragione. Queste politiche hanno impedito l’equa ridistribuzione dei frutti dell’occupazione e dell’esproprio coloniale.  Ma una più giusta divisione degli utili non potrebbe assicurare una vita normale ad ebrei e palestinesi; solo la fine del saccheggio potrebbe.

Ma tuttavia lo scetticismo che mostrano verso ciò che i media e i politici gli propinano a proposito della realtà socio-economica, potrebbe aprire una strada ad una migliore comprensione delle bugie di cui si sono nutriti a proposito del conflitto e della loro sicurezza nazionale in tutti questi anni.

Il funerale potrebbe rivitalizzarci tutti ed intensificare la distribuzione degli impegni come e più di prima. I palestinesi devono urgentemente risolvere il tema della rappresentanza. Gli ebrei progressisti in tutto il mondo devono accrescere il loro impegno nelle campagne di solidarietà e boicottaggio.

Intifada alla serata di gala

Le recenti interruzioni del concerto dell’Orchestra Filarmonica di Israele nella prestigiosa cornice della serata di gala della BBC a Londra, hanno scioccato gl’israeliani gentili più di un qualsiasi evento genocida.

Ma più di ogni altra cosa, come riportato da giornalisti anziani presenti all’evento, ha sbalordito la presenza di così tanti ebrei tra coloro che protestavano. Questi grandi giornalisti, sono gli stessi che hanno dipinto, in passato, gli attivisti della campagna di solidarietà e boicottaggio BDS, come gruppi terroristici e estremisti della peggior specie. E credevano nei loro report. A sua lode, la mini-intifada alla Royal Albert Hall almeno li ha confusi.

Mettere un unico stato nell’azione politica

In Palestina è giunto il momento di portare il discorso di un unico stato nell’azione politica e di adottare un nuovo dizionario. L’esproprio e il saccheggio sono dovunque e quindi il risarcimento e la riconciliazione devono sostituirli dovunque.

Se le relazioni tra ebrei e palestinesi devono essere riformulate su base giusta e democratica, uno non può accettare la vecchia mappa sepolta di due stati per due popoli, ne la sua logica di spartizione. Questo significa anche che la sacra distinzione fatta tra le colonie vicino ad Haifa e quelle vicino a Nablus va sepolta anch’essa.

La distinzione andrebbe fatta tra gli ebrei che vogliono discutere una riformulazione delle relazioni, cambio di regime e uguaglianza e quelli che non vogliono, senza pregiudizi per il luogo dove abitano ora. Si scoprono fenomeni sorprendenti se uno studia bene il tessuto umano e politico della Palestina storica nel 2011, governata dal regime israeliano: la volontà di dialogo è spesso più evidente oltre i confini del 1967 piuttosto che al loro interno.

Il dialogo dall’interno per un cambio di regime, la questione della rappresentanza e il movimento BDS sono tutte parti dello stesso sforzo di portare giustizia e pace in Palestina. Ciò che auspichiamo di seppellire in Settembre è uno dei maggiori ostacoli sulla via della realizzazione di questa visione.



The Electronic Intifada
12 September 2011

At the UN, the funeral of the two-state solution
By Ilan Pappe

We are all going to be invited to the funeral of the two-state solution if and when the UN General Assembly announces the acceptance of Palestine as a member state.

The support of the vast majority of the organization’s members would complete a cycle that began in 1967 and which granted the ill-advised two-state solution the backing of every powerful and less powerful actor on the international and regional stages.

Even inside Israel, the support engulfed eventually the right as well as the left and center of Zionist politics. And yet despite the previous and future support, everybody inside and outside Palestine seems to concede that the occupation will continue and that even in the best of all scenarios, there will be a greater and racist Israel next to a fragmented and useless bantustan.

The charade will end in September or October — when the Palestinian Authority plans to submit its request for UN membership as a full member — in one of two ways.

It could be either painful and violent, if Israel continues to enjoy international immunity and is allowed to finalize by sheer brutal force its mapping of post-Oslo Palestine. Or it could end in a revolutionary and much more peaceful way with the gradual replacement of the old fabrications with solid new truths about peace and reconciliation for Palestine. Or perhaps the first scenario is an unfortunate precondition for the second. Time will tell.

A substitute dictionary for Zionism

In ancient times, the dead were buried with their beloved artifacts and belongings. This coming funeral will probably follow a similar ritual. The most important item to go six feet under is the dictionary of illusion and deception and its famous entries such as “the peace process,” “the only democracy in the Middle East,” “a peace-loving nation,” “parity and reciprocity” and a “humane solution to the refugee problem.”

The substitute dictionary has been in the making for many years describing Zionism as colonialism, Israel as an apartheid state and the Nakba as ethnic cleansing. It will be much easier to put it into common use after September.

The maps of the dead solution will also be lying next to the body. The cartography that diminished Palestine into one tenth of its historical self, and which was presented as a map of peace, will hopefully be gone forever.

There is no need to prepare an alternative map. Since 1967, the geography of the conflict has never changed in reality, while it kept constantly transforming in the discourse of liberal Zionist politicians, journalists and academics, who still enjoy today a widespread international backing.

Palestine was always the land between the river and the sea. It still is. Its changing fortunes are characterized not by geography but by demography. The settler movement that came there in the late 19th century now accounts for half of the population and controls the other half through a matrix of racist ideologies and apartheid policies.

Peace is not a demographic change, nor a redrawing of maps: it is the elimination of these ideologies and policies. Who knows — it may be easier now than ever before to do this.

Exposing Israel’s protest movement

The funeral will expose the fallacy of the present Israeli mass protest movement, while at the same time highlight its positive potential. For seven weeks, mostly middle class Israeli Jews have protested in huge numbers against their government’s social and economic policies.

In order to keep the protest as large a movement as possible, its leaders and coordinators do not dare to mention occupation, colonization or apartheid. The sources of evil for everything, they claim, are the brutal capitalist policies of the government.

On a certain level they have a point. These policies disabled the master race of Israel from fully and equally enjoying the fruits of Palestine’s colonization and dispossession. But a fairer division of the spoils will not ensure normal life for either Jews or Palestinians; only the end to looting and pillage will.

And yet they also showed skepticism and distrust in what their media and politicians tell them about the socio-economic reality; it may open the way for a better understanding of the lies they were fed about the “conflict” and their “national security” over so many years.

The funeral should energize us all to follow the same distribution of labor as before. Palestinians urgently need to solve the issue of representation. The progressive Jewish forces in the world have to be more intensively recruited to the boycott, divestment and sanctions (BDS) and other solidarity campaigns.

Intifada at the proms

The recent disruption of the Israel Philharmonic Orchestra performance at the prestigious BBC Proms in London shocked the gentle Israelis more than any genocidal event in their own history.

But more than anything else, as reported by senior Israeli journalists who were there, they were flabbergasted by the presence of so many Jews among the protesters. These very journalists kept depicting in the past the Palestine Solidarity Campaign and BDS activists as terrorist groups and extremists of the worst kind. They believed their own reports. To its credit, the mini-intifada at the Royal Albert Hall at least confused them.

Putting one state into political action

In Palestine itself the time has come to move the discourse of one state into political action and maybe adopt the new dictionary. The dispossession is everywhere and therefore the repossession and reconciliation have to occur everywhere.

If the relationship between Jews and Palestinians is to be reformulated on a just and democratic basis, one can accept neither the old buried map of the two-state solution nor its logic of partition. This also means that the sacred distinction made between Jewish settlements near Haifa and those near Nablus should be put in the grave as well.

The distinction should be made between those Jews who are willing to discuss a reformulation of the relationship, change of regime and equal status and those who are not, regardless of where they live now. There are surprising phenomena in this respect if one studies well the human and political fabric of 2011 historic Palestine, ruled as it is by the Israeli regime: the willingness for a dialogue is sometimes more evident beyond the 1967 line rather than inside it.

The dialogue from within for a change of regime, the question of representation and the BDS movement are all part and parcel of the same effort to bring justice and peace to Palestine. What we will bury — hopefully — in September was one of the major obstacles in the way to realizing this vision.