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09 gennaio 2011

Gerusalemme Est, abbattuto hotel arabo
"Così va in frantumi anche il dialogo"

GERUSALEMME -  Assieme all'Hotel Sheperd, demolito nel rione arabo di Sheikh Jarrah di Gerusalemme Est, rischiano di andare in briciole anche le ultime speranze per un rilancio del dialogo tra israeliani e palestinesi. Perché quell'edificio, sebbene in abbandono da molti anni, conservava la memoria storica dell'ex Mufti di Gerusalemme Haj Amin al-Husseini, che ne aveva fatto la sua residenza durante la Seconda Guerra Mondiale. Per i palestinesi, sapere che al suo posto saranno costruiti 20 appartamenti destinati a israeliani, nell'ambito di un progetto più ampio per un nuovo rione ebraico, lo Shimon ha-Zadik, è un colpo durissimo perché carico di una valenza che prevarica il pur nefasto simbolismo.

Così, mentre un esponente del Likud nel municipio di Gerusalemme saluta con soddisfazione la demolizione e il nascere del rione Shimon ha-Zadik che "rafforzerà la presenza ebraica in città ", Nabil Abu Rudeina, portavoce di Abu Mazen, presidente dell'Autorità nazionale palestinese, dichiara che "Israele ha distrutto tutti gli sforzi statunitensi e messo fine a qualsiasi possibilità di ritorno al negoziato". Dagli Usa tuona il segretario di Stato Hillary Clinton: "Il progetto di nuovi insediamenti israeliani a Gerusalemme Est minano ogni sforzo di pace". E giunge anche il duro monito a Israele dell'Alto rappresentante Ue per la politica estera, Catherine Ashton. "Condanno fermamente la demolizione dell'hotel Shepherd e la prevista costruzione di una nuova colonia illegale- afferma la Ashton in un comunicato -. Ricordo che le colonie sono illegali per quanto riguarda il diritto internazionale". Le colonie "minano la fiducia fra le parti e costituiscono un ostacolo alla pace", ha aggiunto la Ashton, ricordando che "Gerusalemme Est fa parte dei territori palestinesi occupati" da Israele e che "l'Unione Europea non riconosce la sua annessione".

Lo Sheperd, un hotel collocato nella parte araba della Città Santa acquistato negli anni Ottanta da un ricco uomo d'affari americano legato alla destra israeliana, è stato oggetto di una lunga vertenza giudiziaria. Proprio perché utilizzato dal mufti Haj Amin al-Hussein, leader arabo nazionalista e antisionista con legami con i nazisti, era diventato un nuovo simbolo della contesa storica tra arabi ed ebrei. Ed oggi quel simbolo è crollato. Terminato lo shabbat (il sabato ebraico, durante il quale è vietata qualsiasi attività che contraddica il riposo prescritto nel Talmud), questa mattina tre bulldozer hanno cominciato a tirarlo giù mettendo in atto quella che l'Organizzazione per la Conferenza islamica ha definito "una flagrante violazione delle legalità internazionale".

"Israele non ha il diritto di edificare a Gerusalemme Est, e tantomeno in qualsiasi altra area dei territori palestinesi occupati nel 1967", aggiunge oggi Rudeina, che esorta Washington a intervenire presso l'alleato in Medio Oriente. A questo punto, non è chiaro cosa possa fare il capo dei negoziatori israeliani, Yitzhak Molcho, nel suo viaggio nella capitale Usa programmato la prossima settimana. Le redini della macchina politica israeliana sono ben salde nelle mani dei falchi del governo dello Stato ebraico, guidati dal ministro degli Esteri, Avigdor Lieberman. Benjamin Netanyahu si era detto disponibile a rinnovare la sospensione dell'edificazione ma, per forza d'inerzia o per volontà politica, i coloni hanno ricominciato a costruire sia a Gerusalemme che in Cisgiordania, senza che nessuno li fermasse. E questo accade all'inizio di quello che avrebbe dovuto essere l'anno della nascita dello Stato palestinese.