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6 giugno 2012

«Sprivatizziamoli», nasce Re:Common
di Luca Manes

Per un sito di informazione indipendente attento ai temi dei beni comuni che ha scelto di chiamarsi «Comune», la nascita di una campagna/associazione, promossa da compagni di strada noti, dal titolo inglese «Re:Common» è decisamente una buona notizia. Come scrive Immanuel Wallerstein «viviamo in una situazione di mondo caotico. Le oscillazioni intorno  anoi sono enormi e veloci. Ma ciò vale anche per la protesta sociale… La geografia della protesta viene modificata continuamente». Ieri Campagna per la riforma della Banca mondiale oggi Re:Common. Sfidare i poteri dal basso attraverso l’informazione è possibile. Ecco un articolo con il quale si raccontano (il 7 giugno, evento di presentazione di Re:Common a Roma).

Quando la Campagna per la riforma della Banca mondiale (Crbm) è nata, nell’ormai lontano 1996, le lotte del movimento che sarà definito alter-mondialista erano agli albori, sulla spinta delle mobilitazioni delle realtà del Sud del mondo. Pochi anni prima la Banca mondiale era stata scacciata dalla valle del Narmada, dove era intenzionata a distribuire decine di milioni di dollari per l’ennesima grande diga, devastante per l’ambiente e per le comunità indigene. Con il sostegno di 40 tra associazioni e Ong italiane, la Crbm si costituiva proprio con l’obiettivo di mutare profondamente una delle più grandi istituzioni multilaterali di sviluppo, troppo spesso accusata di favorire le ricche multinazionali ed élite politiche a discapito delle popolazioni locali, nonostante la sua missione fosse sconfiggere la povertà diffusa in tanti angoli del Pianeta.

Dal 1996 il mondo è iniziato a cambiare, si è iniziato a parlare di globalizzazione liberista e delle sue nefandezze e i fronti su cui rivendicare la tutela dei diritti delle persone e dell’ambiente si sono moltiplicati. Per questo nel corso del tempo Crbm ha condotto e partecipato a campagne sull’Accordo Multilaterale sugli Investimenti, sull’Organizzazione mondiale del commercio, sulla Banca europea per gli investimenti, ma anche sulle sconosciute ma potentissime agenzie di credito all’esportazione – in Italia la Sace – e su numerose banche private. Decine i progetti monitorati in solidarietà e nel rispetto degli interessi delle comunità impattate. Grandi dighe come Chixoy in Guatemala o Gibe in Etiopia, oleodotti quali il Ciad Camerun o il Baku-Tbilisi-Ceyhan, centrali nucleari sponsorizzate dall’Enel in Est Europa ma anche le conseguenze dello sfruttamento petrolifero dell’Eni e delle altre multinazionali in Nigeria e in Kazakistan. Queste sono solo alcune delle opere e delle attività che la Crbm ha messo sotto la sua lente di ingrandimento, tutte testimonianze di un paradigma di sviluppo a dir poco fallimentare.

Ma anche un paradigma di sviluppo, quello liberista, che continua a essere promosso dai governi che contano nei vari consessi internazionali, anche a fronte dello scoppio della crisi nel 2007. Dopo oltre tre lustri, in un contesto profondamente mutato, la Campagna per la riforma della Banca mondiale finisce il suo percorso e passa il testimone a Re:Common. Lo fa rinnovando il suo impegno a sottrarre al mercato e alle istituzioni finanziarie private e pubbliche, come Banca mondiale e Banca europea per gli investimenti, il controllo delle risorse naturali. Il tutto con una particolare attenzione alla nuova devastante tendenza della finanziarizzazione della natura, ossia la costruzione di beni finanziari ad alto profitto sulla mercificazione dei beni comuni quali l’acqua e gli ecosistemi. L’impegno di Re:Common è di restituire ai cittadini tramite politiche di partecipazione attiva l’accesso e la gestione diretta di preziose risorse come la terra e l’acqua, sotto assedio a causa dei processi di privatizzazione, nonché delle fonti energetiche. Tali politiche di partecipazione devono facilitare la nascita di nuovi meccanismi per il finanziamento pubblico dei beni comuni a livello locale, nazionale e globale.

Motivo per cui il nuovo nome dell’associazione si può tradurre dall’inglese semplicemente in questo modo: la risposta sono i beni comuni.

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