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15 mag.2012

Rapporto Usa: Cina Regredisce, Pechino: Fate Autoanalisi
di Sonia Montrella

Roma, 15 mag.- A poco più di 24 ore dal rapporto di Amnesty International, la Cina è di nuovo sotto attacco per il deterioramento dei diritti umani.  Questa volta il richiamo arriva da Washington dove è stato rilasciato il rapporto annuale del Dipartimento di Stato che denuncia gli abusi riportati in 194 Paesi nel 2011. “Pregiudizi” ribatte Pechino, e rimanda le accuse al mittente.

Il 2011 è stato “un anno particolarmente tumultuoso” ha dichiarato il segretario di Stato americano Hillary Clinton con particolare riferimento ai ‘terremoti’ arabi che in alcuni casi, come quello dell’Egitto, “hanno visto le violenze sfociare in elezioni democratiche”. 

Duro, invece, il messaggio che la Clinton ha indirizzato alla Cina, Paese in cui “rispetto al 2008 il livello delle  condizioni umane si è deteriorato”.  Lo scorso anno alcuni timide imitazioni di ‘proteste al Gelsomino’, sulla scia dei tumulti magrebini, avevano fatto alzare il livello d’allerta del governo. Un altolà che si è tradotto in ondate di arresti e persecuzioni in cui sono finiti soprattutto attivisti e avvocati per i diritti umani e dissidenti. Per gli Stati Uniti Pechino resta  in cima alla lista degli “abuser” insieme alla Corea del Nord, Iran, Turkmenistan, Uzbekistan, Siria e Bielorussia. Il rapporto, commissionato dal Congresso statunitense, è stato stilato da associazioni che si battono per la difesa dei diritti umani e, in alcuni casi, da governi esteri. 

Altrettanto forti i toni utilizzati dal portavoce del ministero degli Esteri cinese Hong Lei: “Il rapporto annuale sui diritti umani del Dipartimento di Stato americano diffama gli altri Paesi. I contenuti relativi alla Cina ignorano i fatti e sono intrisi di pregiudizi. Si confonde il bianco con il nero”. Il portavoce, nel comunicato stampa diffuso dall’agenzia Xinhua,  ha poi detto che “sin dal lancio delle riforme economiche, il Paese ha fatto molti progressi che tutti possono constatare”. 

Assicurare cibo, vestiti e case alla maggior parte dei cittadini è la priorità per una nazione in via di sviluppo e la Cina ha saputo raggiungere l’obbiettivo, aggiunge Hong Lei. E fissa i paletti: “In nessun modo gli Stati Uniti devono utilizzare questi argomenti per intromettersi negli affari interni di un Paese”.
Piuttosto, sostiene il portavoce, dovrebbero fare un esame di coscienza: “Washington è cieca quando si tratta di valutare il proprio operato”. Il riferimento esplicito è all’Afganistan e ai crimini commessi. “Quando si presentano come il “Paese delle libertà” gli Stati Uniti mentono”.

Nelle numerose pagine dedicate alla Cina (leggi qui ) lo studio del Dipartimento di Stato Usa denuncia casi di “soppressione delle libertà di parola e di stampa”; di “repressioni culturali e religiosi nei confronti di minoranze etniche quali uighuri e tibetani”; censure sul web  e “repressione e coercizione di avvocati per i diritti umani”. 

Non manca il riferimento alla vicenda di Chen Guangcheng, il dissidente cieco e avvocato autodidatta che con la sua fuga lo scorso mese all’ambasciata statunitense di Pechino ha messo a dura prova i rapporti tra Pechino e Washington. Una vicenda terminata nei giorni scorsi con la concessione da parte del governo cinese di un visto di studio per Chen, atterrato sabato scorso insieme alla sua famiglia nella Grande Mela dove seguirà un corso di studi ospite della New York University. E proprio oggi il dissidente in una sua prima intervista alla CNN riferendosi agli arresti domiciliari – o meglio alla “detenzione illegale” come ha precisato egli stesso -  ha parlato di “sofferenze oltre ogni immaginazione” (Intervista CNN). Archiviato - almeno per il momento - il dossier Chen, lo studio sembra aver già ricollocato Cina e Usa su fronti opposti.

“La Repubblica Popolare è uno stato autoritario in cui il Partito Comunista cinese rappresenta la suprema autorità. I membri del partito ricoprono le cariche più importanti dell’apparato militare, politico, e delle forze dell’ordine” si legge nel rapporto Usa. “I cittadini non hanno il diritto di cambiare il proprio governo”. “Il deterioramento di alcuni aspetti chiave relativi al rispetto dei diritti umani continua. La repressione contro i difensori dei diritti umani rappresenta una routine”.  

Allo stesso modo, si legge ancora nello studio del Dipartimento di Stato, le autorità cinesi sono responsabili di abusi di potere, processi giudiziari illegali, condanne dubbie. “La corruzione resta fortemente diffusa, mentre i regolamenti  interdisciplinari del partito sono opachi, tanto che non è chiaro fino a che punto siano puniti  abusi e violazioni dei diritti umani ad opera dei funzionari”.

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