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lunedì 15 ottobre 2012

Cina, sgomberi, arresti, torture e uccisioni in nome dello sviluppo
di Riccardo Noury
Amnesty International

Negli ultimi due anni, afferma un rapporto diffuso giovedì scorso da Amnesty International, gli sgomberi forzati nelle città e soprattutto nelle campagne cinesi sono aumentati drammaticamente.

Il partito comunista cinese continua a promuovere i funzionari locali impegnati nella crescita economica, senza curarsi del modo in cui viene raggiunta. I progetti di sviluppo per costruire strade, industrie o complessi residenziali sulle terre sgomberate, sono considerati il modo più diretto per ottenere una “crescita” visibili e premiabile.

Ma per i progetti servono soldi: i funzionari locali, indebitatisi con le banche statali per ottenere i finanziamenti, cercano di recuperare denaro sequestrando e rivendendo terreni. Per far questo, sgomberano con metodi sbrigativi le persone che vi risiedono.

Prima degli sgomberi, alle comunità interessate vengono tolti i servizi essenziali, come l’acqua e il riscaldamento. I funzionari locali assoldano con frequenza criminali armati di bastoni e coltelli per terrorizzare i residenti. Gli attivisti per il diritto alla casa, gli avvocati e gli esperti accademici hanno confermato le conclusioni delle ricerche di Amnesty International sulla quasi totale mancanza di indagini su questi episodi da parte della polizia.

Le garanzie previste dal diritto internazionale, in merito alla necessità di notifiche e consultazioni preventive e all’obbligo di fornire un alloggio alternativo, vengono raramente rispettate.

Su 40 sgomberi forzati che Amnesty International ha esaminato in dettaglio nel suo rapporto, nove sono terminati con la morte di persone che protestavano o avevano opposto resistenza.

Il 3 marzo 2010 una donna di 70 anni, Wang Cuiyan, è stata sepolta viva da una scavatrice quando un gruppo di 30-40 operai ha iniziato a demolire la sua abitazione a Wuhan, nella provincia dello Hubei.

Il 18 aprile 2011, alcune centinaia di uomini hanno fatto irruzione nel villaggio di Lichang, nella provincia dello Jiangsu, attaccando i contadini. Una ventina di donne sono state picchiate.

Il 15 giugno 2011 la polizia di Wengchang, nella provincia del Sichuan, ha preso in ostaggio un neonato di 20 mesi e non lo ha rilasciato fino a quando la madre non ha messo la firma su un ordine di sgombero.

Le persone che organizzano forme di resistenza contro gli sgomberi finiscono spesso in carcere o nei centri di rieducazione attraverso il lavoro.

Le autorità della provincia dello Shandong hanno inflitto 21 mesi di rieducazione attraverso il lavoro a Li Hongwei, vittima di uno sgombero forzato, che aveva protestato due volte in un luogo pubblico a maggio dello scorso anno.

Sempre nel maggio 2011 a Hexia, nella provincia dello Jiangxi, una donna è stata picchiata e sottoposta a sterilizzazione forzata – un atto di tortura, secondo Amnesty International - dopo che aveva presentato un reclamo contro lo sgombero forzato di cui era stata vittima. Le persone che l’avevano accompagnata sono state picchiate.

La mancanza d’indipendenza dei tribunali cinesi comporta che chi presenta un reclamo contro uno sgombero o chiede un risarcimento ha poche speranze di ottenere giustizia. Gli stessi avvocati sono riluttanti a occuparsi di questi casi, temendo ripercussioni, memori di quanto accaduto alla loro collega Ni Yulan.

Di fronte all’assenza di giustizia, in alcuni casi le proteste contro gli sgomberi forzati si sono fatte violente e, in 41 casi documentati da Amnesty International tra il 2009 e il 2011, le persone si sono date fuoco. Nel decennio precedente, le immolazioni erano state meno di 10.

Gli sgomberi forzati rimangono uno dei principali motivi di malcontento popolare in Cina. Il premier Wen Jiabao ha riconosciuto la gravità della situazione e si è registrato qualche limitato progresso nella protezione delle persone dagli sgomberi forzati. Nuove norme in vigore dal 2011 stabiliscono che l’indennizzo non debba essere inferiore al valore di mercato dei beni espropriati e proibiscono l’uso della violenza.

Tuttavia, questi provvedimenti si collocano ancora al di sotto delle garanzie previste dal diritto internazionale, riguardano solo i residenti dei centri urbani e neanche gli affittuari ma solo i proprietari delle abitazioni. Ma sono soprattutto le comunità contadine quelle più a rischio. In uno scenario di rapida urbanizzazione e con risarcimenti basati sul valore lontano da quello di mercato, molte persone vengono espulse dai luoghi in cui hanno vissuto una vita intera.

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