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07 mag 2012

La Sorte di Chen nelle Mani di Cina e Stati Uniti
di Alessandra Spalletta
 e Giovanna di Vincenzo

Pechino, 07 mag. - Il caso Chen sembra avviato verso una conclusione. L’avvocato cieco che con la sua fuga rocambolesca ha fatto tremare Cina e Stati Uniti, è ancora in ospedale per la frattura di un piede, e aspetta l’alba di un nuovo giorno. Fuori, si discute del suo destino. Si attendono nuovi sviluppi sul rilascio del visto che consentirà all'attivista di andare a studiare negli Stati Uniti: soluzione giunta venerdì scorso dopo uno stallo negoziale con il governo cinese che aveva messo in serio imbarazzo l’amministrazione Obama. Nulla osta dei funzionari Usa che promettono tempi rapidi appena Chen avrà ottenuto i documenti necessari per partire. Il vice-presidente americano Biden in un'intervista a NBC domenica ha dichiarato di aver ricevuto garanzie da parte del governo cinese sulla snellezza delle procedure, mentre fonti attendibili citate dal Wall Street Journal parlano quest'oggi di un ulteriore passo in avanti nelle consultazioni tra Cina e Stati Uniti che stanno definendo le modalità di 'espatrio' di Chen. 



La portavoce del Dipartimento di Stato americano Victoria Nuland aveva reso noto venerdì scorso che un’università americana – la New York University - ha già offerto a Chen una borsa di studio, e che l’attivista politico potrà essere accompagnato dalla moglie e dai due figli. L'avvocato dissidente non ha ancora fatto sapere pubblicamente se abbia intenzione di accettare l'invito della New York University, ma raggiunto al telefono dalla Reuters lunedì mattina ha ammesso di essere in attesa del visto di studio. Chen si è detto convinto di poter partire senza l'insorgere di nuovi ostacoli, ma è incerto sulla tempistica. 



Nel frattempo il ministro della difesa cinese Liang Guanglie è approdato a San Francisco, la prima volta in 9 anni che un ministro della difesa cinese mette piede negli Usa. La visita di Liang serve ufficialmente a sbrogliare la matassa su due questioni calde: la vendita di armi statunitensi a Taiwan (giorni fa la Casa Bianca ha annunciato l’intenzione di modernizzare la flotta aerea dell’ex isola di Formosa aggiungendo al pacchetto altri caccia F-16) e il ruolo degli Usa nelle acque contese del Mar Cinese Meridionale. Ma per molti la tappa americana del ministro esprime la ferrea volontà dei due governi di attutire l'impatto del caso Chen sui rapporti bilaterali, che nei giorni scorsi hanno sfiorato la crisi diplomatica, in una fase delicata di transizione del potere per entrambi i paesi. 



PER FARE UN VISTO, CI VUOLE IL PASSAPORTO 



Per richiedere un visto per gli Usa, Chen ha bisogno di un passaporto cinese documento di cui pare sia al momento sprovvisto. Non è chiaro se Chen debba tornare nello Shandong, la provincia natìa da cui è fuggito dopo quasi due anni agli arresti domiciliari; se ciò venisse confermato, la pratica di Chen finirebbe nelle mani dei suoi stessi aguzzini. Un duro colpo rispetto al quale le lungaggini burocratiche devono apparire all’attivista cose di poco conto.  Ma l’articolo 5 della Legge sul Passaporto della RPC stabilisce chiaramente che “un cittadino che intende recarsi all’estero per motivi non ufficiali, quali soggiorno, visita di parenti, studio, lavoro, viaggio o attività commerciali, deve richiedere di persona un passaporto ordinario presso il dipartimento preposto alla supervisioni degli ingressi e delle uscite dell’organo di pubblica sicurezza sotto il governo centrale o della contea presso cui è registrata la residenza del cittadino”.



Nel reticolo delle leggi cinesi si nasconde però anche una possibile soluzione: le norme in vigore concedono infatti ai disabili come Chen - cieco fin dall’infanzia - la possibilità di richiedere il passaporto senza compilare moduli scritti. “Nel caso di Chen può bastare una richiesta verbale”, ha dichiarato Bob Fu. Il presidente dell'associazione texana China Aid dopo l’ultima conversazione avuta al telefono con l’avvocato attivista, ha confermato ai giornalisti di AFP che “lo staff medico dell’ospedale di Chaoyang ha trasferito la domanda di passaporto di Chen – al quale è ancora proibito ricevere visite degli amici - ai funzionari cinesi”. 



PROVE DI MATURITA’ PER I RAPPORTI CINA-USA 



“Cina e Stati Uniti non sono concorrenti rivali in una partita a somma zero, ma partner legati da vicendevoli benefici, i cui interessi in comune superano di gran lunga le dissonanze”, ha dichiarato Liang alla Xinhua al suo arrivo a San Francisco venerdì scorso. Vuota retorica o segnale di assennatezza nei rapporti il Dragone e l’Aquila? Il direttore di Arthur Ross Center on U.S.-China Relations at the Asia Society di New York Orrville Schell, interpellato dal Wall Street Journal, è convinto che i due paesi abbiano imparato a gestire le crisi con “tipo nuovo di maturità”. “Le due parti hanno risolto il caso Chen in modo caparbio, senza cedere troppo alla retorica e alle accuse”. 



“Il caso Chen non ha impedito ai due paesi di firmare gli accordi sulla crisi coreana e sull'Iran nell’ambito del dialogo economico-strategico Cina-USA ”, è l’opinione espressa dal politologo francese Jean-Philippe Béja in un’intervista ad AgiChina24. “E’ la prima volta dopo molti anni che la questione dei diritti umani giunge al tavolo dei negoziati, con il risultato di esercitare una forte pressione sugli Usa. Con una campagna elettorale in corso, gli americani sono stati in un certo senso costretti ad agire a favore di Chen. In un primo momento si era profilata all’orizzonte la soluzione ideale per Chen Guangcheng, ossia quella di restare in Cina: un’opzione che avrebbe fatto segnare un vero progresso, e che per varie ragioni è abortita. Bisognerà riprovare in futuro. Il caso Chen ha dimostrato che è difficile avere relazioni normali con il governo cinese se la Cina non rispetta i diritti fondamentali dei suoi cittadini”. 



La vicenda di Chen era precipitata nella serata di mercoledì, quando il dissidente -provato dalla fuga e da anni di abusi- aveva iniziato a rilasciare dichiarazioni contrastanti. Chen raccontava di aver lasciato l’ambasciata USA per sottoporsi a cure mediche in un ospedale di Pechino solamente per timore di rappresaglie verso i suoi familiari. Il dissidente aveva anche cambiato versione sulle sue intenzioni, sostenendo in un primo momento la decisione di rimanere in Cina, e successivamente quella di chiedere asilo negli Stati Uniti. Chen Guangcheng, quarant’anni, cieco dall’infanzia, è un avvocato autodidatta che si è battuto contro la pratica degli aborti forzati applicata dai funzionari della sua provincia per mantenere le quote di nascite stabilite dal governo centrale. Nel 2010 era stato sottoposto agli arresti domiciliari senza alcuna accusa formale, una pratica comune in Cina per tenere sotto controllo i dissidenti. L’anno successivo, sfidando la censura, aveva pubblicato un video che documentava le continue violenze cui era sottoposto dalla polizia locale.



GLOBAL TIMES: CHEN, IL FINTO ATTIVISTA PEDINA DEGLI USA

Il caso Chen Guangcheng ha messo in subbuglio anche la stampa cinese, che dopo un silenzio di una settimana dalla sua fuga verso l’ambasciata americana a Pechino, da venerdì scorso è esplosa con editoriali e commenti – avvelenati - sul dissidente cieco e sugli Stati Uniti. Il quotidiano cinese in lingua inglese Global Times - una delle voci più nazionaliste della stampa del Dragone- inaugura la settimana proseguendo con la stessa linea dura adottata nei giorni precedenti. E lo fa attraverso la penna di Sima Pingbang, un blogger e intellettuale che afferma di aver fatto visita a Chen Guangcheng lo scorso dicembre nel villaggio di Dongshigu, dove il dissidente cieco si trovava agli arresti domiciliari. 



Secondo il racconto di Sima Pingbang, Chen non era altro che un signorotto locale che gestiva le risorse idriche del villaggio ottenendo da questa attività enormi profitti. Sima scrive nel suo articolo: “da quanto appresi dagli abitanti del villaggio, Chen aveva costruito un pozzo con i finanziamenti ottenuti da una fonte inglese, con cui privava di acqua gli altri villaggi circostanti”. Da qui i quattro anni di detenzione e i suoi problemi con le autorità locali, minacciate dai membri del “clan” Chen di non ostacolare la gestione del loro piccolo monopolio delle acque di Dongshigu. 



Secondo il Global Times la comunità internazionale e i sostenitori dei diritti umani hanno preso un abbaglio: Chen non è un’attivista che lotta contro le ingiustizie del sistema cinese, ma un difensore del proprio tornaconto. Sima Pangbang dichiara di aver incontrato Chen durante gli arresti domiciliari, dettaglio alquanto strano per un dissidente sorvegliato da un centinaio di uomini e inavvicinabile, come fanno notare alcuni internauti attivisti su twitter. Mentre saltano fuori le nuove “rivelazioni” su Chen, non è ancora stato reso noto se e con quali modalità l’attivista potrà ottenere un passaporto per andare a studiare all’estero.



Il taglio del commento del Global Times è decisamente anti-americano: “Chen è l’asso nella manica degli Stati Uniti. Lo hanno semplicemente ingannato facendolo diventare una pedina da giocare contro la Cina”. Nel giro di poche ore l’account Weibo- il twitter cinese- di Sima Pangbang è stato tempestato di commenti, in molti lo accusano di essere uno del “partito dei cinque mao”, espressione con la quale si indicano i giornalisti che scrivono in sostegno della linea governativa. Già venerdì scorso quattro quotidiani della capitale si erano scagliati contro i diplomatici americani e l’ambasciatore statunitense in Cina Gary Locke, sotto accusa per aver prestato assistenza al dissidente in contrasto con gli obblighi consolari. Le voci critiche della stampa risuonano sul web e sui siti di microblogging come Sina Weibo, ma il loro contenuto non ha ricevuto il consenso degli internauti. Migliaia di commenti hanno occupato l’account del quotidiano Beijing Daily criticandone i toni eccessivi usati contro Gary Locke, accusato - per molti ingiustamente- non solo di interferenza negli affari di politica interna, ma anche di ipocrisia che si cela dietro lo stile di vita semplice e lontano dagli sfarzi. Ma ‘l’assalto cibernetico’è durato poco: in poche ore il nome “Beijing Daily” è stato bloccato dalla censura impedendo così la visualizzazione dell’editoriale. 



Un commento criptico si legge sull’account di un altro dei quotidiani in questione, il Beijing News, che alcuni hanno letto come un accenno di pentimento per i toni troppo duri utilizzati contro Usa e Gary Locke. Nella notte di sabato compare il seguente post sul weibo del giornale: “nell’oscurità della notte, mettiamo da parte quella maschera di falsità e diciamo a noi stessi ‘mi dispiace’”.  Il commento - rimosso poco dopo- è stato interpretato da molti netizen come un’apologia da parte dell’autore dell’editoriale.



Segno che la stampa cinese non ha ancora adottato una linea definitiva sulla faccenda? Oppure che la propaganda di Pechino inizia a scontrasi con la voce del popolo di internet, che ha già superato i 500 milioni di utenti? Intanto la stampa cinese, editoriali esclusi, tace – o quasi - sulla questione Chen Guangcheng, mentre il nome del dissidente e altre parole chiave a lui relative rimangono ancora censurate sui maggiori social network cinesi.

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