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16 mag 2012

5 giorni per risolvere il caso Chen
di Antonio Talia


Pechino, 16 mag.- Una data per il viaggio in America di Chen Guangcheng: secondo Bob Fu, il presidente dell’associazione statunitense China Aid in contatto con l’attivista fin dal giorno della sua fuga, Chen dovrebbe ricevere il passaporto entro il 21 maggio. “Chen ha presentato tutti i documenti necessari il 6 maggio, e il tempo necessario per ottenere un passaporto è di quindici giorni. Se entro il 21 maggio non sapremo nulla, allora bisognerà davvero iniziare a preoccuparsi” ha dichiarato Fu nel corso di un’intervista ai media americani. 



Martedì è stato un altro giorno convulso per la risoluzione del caso Chen, l’avvocato autodidatta cieco che nella seconda metà di aprile si è sottratto agli arresti domiciliari e ha cercato rifugio presso l’ambasciata americana di Pechino. Dal letto dell’ospedale della capitale cinese nel quale è ricoverato da quando ha abbandonato la sede diplomatica USA, Chen ha parlato per la seconda volta in un mese con il Congresso americano, in collegamento telefonico con Bob Fu. Stavolta non sono le sue condizioni personali a destare allarme, ma le rappresaglie che la sua famiglia sta subendo ad opera dei funzionari di polizia del villaggio d’origine, nel quale era confinato agli arresti domiciliari senza alcuna accusa formale. “Stanno cercando di vendicarsi accusando mio nipote Chen Kegui di omicidio, ma si tratta di accuse completamente infondate. Quando le autorità locali hanno scoperto la mia evasione, sono entrati in casa sua, e hanno picchiato diversi familiari. Chen ha reagito impugnando un coltello da cucina, ma nessuno è rimasto ucciso. Si tratta di un’imputazione assurda”. 



Due noti avvocati del movimento per i diritti umani – Ding Xingkui e Si Weijiang - si stanno muovendo verso il villaggio di Chen per assumere la difesa del nipote, ma altri legali che volevano unirsi al collegio difensivo hanno dichiarato di avere subito pressioni e minacce da parte degli apparati di sicurezza. 



Ma Chen Kegui non è l’unico a subire l’ira dei funzionari locali: “Mio fratello maggiore è stato portato via senza alcuna ragione -ha raccontato l’attivista cieco al Congresso USA - e quando sono tornati hanno picchiato violentemente altri familiari”. 



Chen Guangchen, avvocato autodidatta, cieco dall’infanzia, si è battuto contro la pratica degli aborti forzati utilizzando i metodi previsti dalle norme cinesi. Dopo quattro anni di carcere, con l’accusa di “blocco del traffico” per una manifestazione non autorizzata di suoi sostenitori, è stato rinchiuso agli arresti domiciliari senza un’imputazione formale, una pratica diffusa in Cina per isolare gli elementi più “scomodi”. 



Adesso Chen, che ha fatto domanda per un visto di studio negli USA, è l’oggetto di un tiro alla fune tra Pechino e Washington. “Le autorità statunitensi hanno completato tutte le procedure necessarie a consentire a Chen, alla moglie e ai due figli di partire per gli Stati Uniti- ha dichiarato la portavoce del Dipartimento di Stato Victoria Nuland - noi ci terremo pronti per quando il governo cinese sarà pronto”.

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