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giovedì 15 marzo 2012 08:45

L'allarme del premier cinese: riforme o torniamo indietro
di Chen Xinxin

Wen Jabao avverte: o si comincia la democratizzazione o la Cina rischia una nuova "tragedia storica", tornare ai tempi della "rivoluzione culturale".

Riforme. Economiche e politiche. Urgenti, altrimenti la Cina rischia una nuova «tragedia storica» come fu la Rivoluzione Culturale. Da almeno due anni il premier Wen Jiabao ha fatto delle «riforme» - di quelle che implicano una "democratizzazione" del sistema di governo - il suo cavallo di battaglia. Ne ha parlato anche lo scorso settembre al Forum estivo di Davos, a Dalian, quando ha sostenuto l'esigenza di «riforme politiche» con tutti i diritti da garantire affinché non siano solo cambiamenti di facciata.
Wen Yeye (nonno Wen), come lo chiamano i cinesi, è il numero tre della dirigenza della Repubblica Popolare ed è prossimo a passare il testimone, con molta probabilità, a Li Keqiang. Nel 2013 verrà eletto ufficialmente il suo successore, ma la "transizione" inizierà già ad ottobre con il rinnovamento dei vertici del Partito Comunista. L'esigenza di «riforme», «urgenti» e «necessarie per il proseguimento della crescita economica» del gigante d'Asia, Wen l'ha ribadita con inedita forza nell'ultima conferenza stampa a Pechino da capo del governo al termine dei lavori dell'Assemblea nazionale del popolo. 
«Dobbiamo premere per riforme economiche e politiche, soprattutto nel sistema dirigente del nostro partito e del governo», ha detto, parlando di «fase critica» per il processo in atto nella Repubblica Popolare. Ma non è mai entrato nel dettaglio delle auspicate «riforme» e ha sottolineato piuttosto come debbano essere «graduali e ordinate», nel rispetto delle «circostanze nazionali», della cultura cinese. Quindi, un sistema di governo più "aperto", "elezioni" locali e più "democrazia" all'interno del partito-Stato.
Anche se quella di Wen, esponente dell'ala moderata del Pcc da 45 anni al servizio del potere, non è una voce isolata perché all'interno del partito si parla da tempo di riforme in salsa cinese, c'è chi ha sempre guardato con sospetto al premier. Già nel 2010 per lo scrittore dissidente Yu Jie, Wen Yeye - noto per recarsi sempre sui luoghi delle tragedie e per saper piangere insieme alle vittime - altro non era che «il re della commedia». Durante le tre ore di conferenza stampa Wen, che si vanta di aver visitato 1.800 delle oltre 2.000 contee cinesi, ha ripetuto che sarà «sempre dalla parte della gente». Ha toccato tutti i temi "delicati" del momento - compresi il Tibet, con le immolazioni che ha definito «estreme», e le elezioni nei villaggi - e si è letteralmente scusato per i problemi a livello economico e sociale registrati durante il suo mandato, iniziato all'insegna dell'«armonia». 
In Cina negli ultimi nove anni il divario tra ricchi e poveri è cresciuto, al pari del malcontento popolare, e le proteste si sono fatte sempre più frequenti. A meno di un anno dalla scelta della nuova dirigenza cinese, il riferimento alla Rivoluzione Culturale si collega anche a quella che è sembrata una stoccata per Bo Xilai e la sua cricca, con il pretesto di una domanda sul caso che riguarda il suo alleato Wang Lijun, l'ex super poliziotto di Chongqing in «vacanza terapeutica» e sotto inchiesta dopo una giornata trascorsa nel consolato Usa di Chengdu. Il "principino" Bo, ambizioso leader del Pcc di Chongqing noto per la lotta contro le mafie ma anche perché identificato come il nuovo Mao, è proiettato verso i vertici del gigante d'Asia. Per il premier, il Partito Comunista deve «imparare la lezione» del caso di Wang.

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