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4 giu. 2012

4 giugno, 23 anni dopo:
proteste per non dimenticare
di Giovanna Di Vincenzo



Pechino, 4 giu. - La commemorazione del 23esimo anniversario del massacro di Piazza Tian’anmen  è stata inaugurata in modo tragico quest’anno con il suicidio di uno dei padri delle vittime: l’ultrasettantenne Ya Weilin a fine maggio si è tolto la vita in segno di protesta contro gli anni di silenzio che il governo si ostina a mantenere su uno dei capitoli più tristi della storia cinese.

Come se una pagina di storia fosse stata strappata, i riferimenti al 4 giugno sono filtrati della censura. Inserendo una lunga lista di parole chiave, tra cui ad esempio: “4 giugno”, “Tian’anmen”, “1989”, “23”, “anniversario” e “ricordare”, sui social network cinesi è impossibile ottenere risultati. Su Sina Weibo - il gemello cinese di Twitter-, persino l’emoticon raffigurante una candela diventa tabù e scompare con velocità repentina dagli account degli utenti che vogliono accendere un lume virtuale alle vittime.

Bandita dal web anche l’espressione “vestirsi di nero”, diffusasi alla vigilia dell’anniversario in segno di lutto. Al di là di qualche frase criptica o foto commemorativa sui siti di microblogging sfuggita casualmente all’occhio vigile dei censori, è difficile comprendere quanto sia diffusa la conoscenza di quegli avvenimenti da parte della generazione nata alla fine degli anni Ottanta.

Di certo il suicidio di Ya Weilin e alcune recenti manifestazioni in tre province cinesi sono servite a tenere alta l’attenzione sull’esigenza di riabilitazione del movimento come prerogativa per lo sviluppo delle riforme.

Quest’anno sono partiti già all’inizio del mese di maggio i cortei commemorativi per il 4 giugno e a prenderne parte sono stati soprattutto attivisti ultra-cinquantenni, segnale questo che la coscienza di quei tragici avvenimenti è radicata in modo più forte in chi ha vissuto o ricorda personalmente quanto è accaduto.

PROTESTE IN TRE PROVINCE CINESI

6 maggio, Jinan, provincia dello Shandong: un gruppo di venti attivisti per i diritti umani si è riunito per il quinto anno consecutivo in ricordo delle vittime della strage, qualche giorno dopo alcuni di loro sono stati presi in custodia dalla polizia.

27 e 28 maggio, Guiyang, provincia di Guizhou: alcuni manifestanti sono scesi per le strade con striscioni di protesta per la riabilitazione del movimento di Piazza Tian’anmen. La polizia non è intervenuta a reprimere la manifestazione. Tuttavia, nei giorni successivi, Mei Chongpiao, leader del gruppo di 73 anni, è stata trattenuta dalle autorità insieme ad altri partecipanti.

30 maggio, Nanping, provincia del Fujian, più di dieci attivisti per i diritti umani, tra i 60 e i 70 anni, hanno esposto degli striscioni davanti alla corte del distretto di Yanping per chiedere il riconoscimento del 4 giugno e l’attuazione delle riforme politiche del premier Wen Jiabao. La portavoce del gruppo, Fan Yanqiong di 52 anni, ha dichiarato di avere ricevuto minacce da parte della polizia subito dopo il corteo e di essere ancora sotto controllo.

2 giugno, più di 30 “petitioners” provenienti da Wuxi, nella provincia dello Zhejiang, sono stati bloccati alla stazione di Pechino e costretti dalle autorità a ritornare a casa, nonostante la loro petizione non riguardasse i fatti dell’89. “La polizia ha detto che è a causa del ‘4 giugno’” - ha riferito domenica alla AFP la petitioner Xie Qiming, - “nelle date sensibili devono tenere a bada gli elementi instabili.”

4 giugno, Hong Kong, sono previste 150.000 persone per la fiaccolata commemorativa a Victoria Peak, un rito che può essere celebrato ogni anno solo nell’ex colonia inglese.

Nonostante casi di relativa tolleranza come quello di Guiyang, atti a tenere a freno eventuali escalation di proteste, l’attenzione delle autorità resta alta in particolare sul 23esimo anniversario. Quest’anno il 4 giugno segue due recenti avvenimenti che hanno posto la politica interna cinese nell’occhio del ciclone: prima la purga di Bo Xilai, che ha scoperchiato il vaso dei giochi di potere e dei delicati equilibri interni al partito, e poi il caso Chen Guangcheng, che ha costretto la Cina a mantenere i nervi saldi nella gestione dei rapporti diplomatici con gli Stati Uniti.

Secondo Johnny Lau Yiu-siu, esperto di Cina di base ad Hong Kong, “l’atteggiamento relativamente permissivo delle forze dell’ordine non si può attribuire ad un rilassamento politico sulla legittimazione del Movimento del 4 giugno”.



Sun Wenguang, professore in pensione dell’Università dello Shandong che ha preso parte alle manifestazioni a Jinan, manifesta maggiore ottimismo: “Potremmo non essere molto lontani dal giorno della riabilitazione del movimento - ha affermato al South China Morning Post - sembra che tra i leader del partito ci siano alcuni disposti a ridiscutere l’incidente, tra questi Wen Jiabao in particolare”.



In molti sembrano riporre fiducia nel premier e nelle sue riforme liberali, lo conferma la stessa Fan Yanqiong: “Abbiamo manifestato per opporci al regime autoritario e per sostenere le riforme democratiche proposte da Wen Jiabao. Soltanto quando la leadership darà il giusto riconoscimento a questa parte di storia, il nostro Paese potrà avere un futuro radioso”.

Il 4 giugno 1989 è una data da ricordare non solo per il popolo cinese ma anche per la comunità internazionale. Il Dipartimento di Stato americano lunedì ha reso pubblico un messaggio in cui si chiede alla Cina di fornire una resoconto di quegli avvenimenti e un numero preciso delle vittime. “Chiediamo inoltre che vengano rilasciati coloro che sono stati erroneamente detenuti, condannati, posti agli arresti domiciliari per aver preso parte alle rivolte”, ha dichiarato il portavoce Mark Toner. Secondo il Gruppo per i diritti umani Dui Hua Foundation, sono ancora una decina le persone rimaste in carcere dall’incidente dell’89.

23 anni dopo ciò che conta è commemorare: Madri di Tian’anmen, l’organizzazione formatasi negli anni Novanta per chiedere al governo la riabilitazione del 4 giugno, ha pubblicato la lista dei nomi di alcune delle persone morte per aver preso parte a un movimento definito dai leader “controrivoluzionario”. “Finché esisteremo la nostra battaglia non cesserà, - si legge nella lettera pubblicata dall’associazione il 31 maggio in occasione dell’anniversario -. Nell’attesa che il governo faccia la sua parte e si riconcili con il popolo riabilitando il movimento, per l’associazione e per i manifestanti attivisti in Cina una cosa rimane prioritaria: salvare il ricordo del 4 giugno dall’oblio e dall’indifferenza.

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