Fang Lizhi, a well-known Chinese democracy and human rights advocate, died on April 6 2012 in the United States. He was 76 years old. Fang Lizhi is sometimes referred to as “China’s Sakharov” and the spiritual leader of the June 4 student democracy movement, his death once again calls to mind the unresolved political tension surrounding the Tiananmen Square massacre.


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10-04-2012 - 05:17:17

L'attualità di Tian'anmen
di Andrea Pira

Un gruppo di dissidenti negli Stati Uniti - ex leader del 1989 - chiedono alla Cina di poter tornare in patria. Proprio nei giorni di tempesta politica per la successione, tra aperture e scontri. E negli stessi giorni in cui muore Fang Lizhi, considerato l'ispiratore delle proteste dell'89.

Tian'anmen è più attuale che mai. Forse più che nel ventennale della repressione del movimento studentesco celebrato nel 2009. L'ultima motivo di ricordo in ordine di tempo è stata la lettera al governo cinese di sei dissidenti,tra cui due leader del 1989, Wang Dan e Wu'er Kaixi, affinché consenta loro di fare ritorno a casa.

“Per motivi politici ci è negato il rinnovo del passaporto o ci è stato revocato il documento impedendoci di tornare in Cina.. Per farla breve siamo stati spogliati del nostro diritto al ritorno”, si legge nel documento pubblicato dal sito Chinese Human Rights Defender.

Il giorno prima in Arizona era morto in esilio il fisico Fang Lizhi, che degli studenti di Tian'amen fu l'ispiratore. Nel 1987 era stato espulso dal Partito per le sue idee troppo radicali in materia di riforme e perché sostenitore dell'indipendenza della scienza dal marxismo. Subito dopo la repressione del 4 giugno, accusato di aver sobillato i manifestanti, fu costretto a rifugiarsi assieme alla moglie nell'ambasciata statunitense a Pechino dove trascorse un anno prima di ricevere il permesso di espatriare.

“Ha ispirato un'intera generazione, quella del 1989, e ha risvegliato nel popolo la voglia di diritti umani e democrazia”, ha detto di lui Wang Dan su cui pesano due condanne, una a quattro anni di carcere nel 1991 per i fatti di Tian'anmen e una nel 1996 per alcuni suoi articoli pubblicati all'estero e prima che gli fosse concesso di lasciare il Paese per motivi di salute alla vigilia del viaggio in Cina dell'allora presidente statunitense Bill Clinton.

La lettera dei dissidenti in esilio sembra quasi una replica all'editoriale che il tabloid nazionalista Global Times ha dedicato alla morte dello scienziato, il cui nome continua a essere una voce bloccata sui social network cinesi. Nell'articolo non si fa alcun riferimento a Tian'anmen, argomento tuttora tabù nella politica cinese ancora dominata da personaggi di primo piano che a vario titolo ebbero un ruolo nelle decisioni che portarono alla repressione.

Secondo il giornale nazionalista “con l'intensificarsi della competizione tra la Cina e l'Occidente, i dissidenti sostenuti dall'estero saranno sempre meno accettati dalla società cinese”. Tanto più perché la crescita e le riforme danno agli attivisti diversi metodi per esprimersi. Mentre poco spazio resta agli esuli come Fang o come il Dalai Lama. Che la dissidenza all'estero rischi di perdere il contatto con la società cinese contemporanea e soprattutto con le nuove generazioni è una tesi che si sta facendo strada anche tra i commentatori occidentali.

Nella Cina che in autunno si appresta al 18esimo Congresso del Partito comunista e a un cambio di leadership che da indolore si sta trasformando in una competizione tra fazioni interne, se non i leader sta però tornando l'eco del giugno 1989.

Nel giorno dedicato alla commemorazione dei defunti il China news service, seconda agenzia stampa del Paese, ha dedicato un editoriale al ricordo di Hu Yaobang, segretario liberale del Pcc, epurato nel 1987 per non essere riuscito a contenere le proteste di studenti e lavoratori lasciati indietro dal processo di riforma della Cina avviato alla fine degli anni Settanta del secolo scorso da Deng Xiaoping.

Il 15 aprile ricorre inoltre l'anniversario della morte del leader riformista, mentore dell'attuale primo ministro Wen Jiabao diventato paladino dell'ala liberale dopo la chiusura dell'annuale sessione parlamentare a marzo con l'ennesima esortazione a intraprendere riforme politiche e la rimozione dell'uomo forte della sinistra interna, Bo Xilai, da segretario del partito nella megalopoli di Chongqing.

Ventuno anni fa le esequie di Hu segnarono l'inizio del movimento che sarebbe culminato nell'occupazione della piazza simbolo del Cina. Oggi la sua figura sembra il viatico per premere per il proseguo delle riforme senza cedere alle pressioni di chi chiede un maggior controllo statale nei gangli dell'economia. E forse anche per rompere l'ultimo tabù. Secondo il Financial Times, tra i corridoi di Zhongnanhai, il Cremlino cinese, gira l'ipotesi di Wen di riabilitare il movimento di Tian'anmen, fino ad oggi bollato come “controrivoluzionario” così come tutti i capi della protesta.

Si tratta soltanto di voci per ora, sebbene occorra notare che la futura dirigenza cinese sarà la prima in vent'anni a non essere direttamente legata a quel 4 giugno.

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