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04-10-2012 - 05:30:43

L'Ai Weiwei quotidiano - Pranzo in casa Ai
di Eleonora Brizi

 La necessità di informazione, comunicazione e condivisione, personale e collettiva, è la spinta creativa. Questo è uno spazio dedicato a uno tra i personaggi più influenti dei nostri tempi: Ai Weiwei, l'uomo, l'artista, il dissidente. Perché la libertà non è uno spazio libero, libertà è partecipazione.

Siamo sempre a Caochangdi, sempre al n° 258. Non è difficile ‘fiutare’ dove abiti precisamente Ai Weiwei. Quando vedete un gran numero di lanterne rosse e pensate che sia un giorno di festa, bhè, siete arrivati.

Scoprirete presto che per ogni lanterna rossa c'è una telecamera a guardarvi fissi, in qualunque lato o angolo della casa vi troviate. Telecamere di sorveglianza installate dalla polizia, ovviamente, per controllare ogni spostamento dell’artista.

Diciamo pure che ci si sente un po’ osservati, qualche volta addirittura divi (non credo di essere mai stata ripresa così tante volte in vita mia). È come quando vai a Mirabilandia e fai lo scivolo d’acqua più alto: anche se sei tutto bagnato sai che c’è una fotocamera fissa che ti scatterà una foto.

E siccome la voglia di andare a vederla quando scendi è troppo forte, tu anche se completamente fradicio, sorridi. Ormai io per le telecamere di sorveglianza ho un ‘must’: sorridere sempre. L’importante è ben apparire in video. Il look prima di tutto.

L’entrata principale è probabilmente una delle porte più fotografate di tutti i tempi, verde qualche anno fa, ora verde-acqua. Suoniamo il campanello, aspettiamo che ci aprano.

Mettiamo il caso che sbagliate ad impostare l’orologio sul vostro telefono e quindi siete un’ora in anticipo ‘sulla vita’, prendete l’autobus per andare in ufficio e vi sembra di stare nel deserto del Gobi perché per la prima volta nella vita a Pechino non c’è traffico, arrivate quindi al Fake ‘all’alba del nuovo giorno’ quando anche i gatti stanno ancora dormendo. Allora probabilmente vi verrà ad aprire lui in persona. Alle 7:20 del mattino solo la polizia o qualche pazzo furioso potrebbe presentarsi a casa di Ai Weiwei.

Varcata la soglia, entriamo nel regno dei mattoncini. Mattoncini a terra e costruzioni in mattoncini, grigi e rossi. Ad accoglierci c’è un grande giardino con un salice gigante e molti altri alberi. Camminando sempre dritti si arriva al tavolo in ferro e vetro, di fronte alla parete coperta di edera, dove Weiwei rilascia tutte le interviste, tempo permettendo.

Il posacenere in vetro a forma di ‘Nido d’uccello’, i celebri bicchieri in vetro con bollicine d’aria che appaiono in ogni documentario e fotografia, il quotidiano e sempre tanta ma tanta gente. A destra del tavolo c’è la porta del front office, ufficio dove sta anche lui, e sulla sinistra la porta della sua casa.

Weiwei non ha una sedia come tutti gli altri, ha un grande sgabello di legno senza spalliera: da lì ‘cinguetta’ tutto il giorno e webchiama il mondo.

Facciamo un piccolo passo indietro. Vicino alla porta di entrata, sulla parete di sinistra, sul lato interno del muro di recinzione della casa, c’è la scritta al neon: ‘FUCK’. Fuori ‘Fake’, dentro ‘Fuck’: un posto con questo nome non può che essere  meraviglioso.

Perché ‘Fake’? Perché ‘Fuck’?

Per il ‘Fuck’ non occorrono troppe spiegazioni. Questa delicata parola sta a cuore a Weiwei dall'alba dei tempi. Nel 2000, per fare un esempio, è stato curatore, insieme a Feng Boyi, di un’esibizione dal nome ‘Fuck Off’.

‘Study of perspective’, la serie delle sue famosissime fotografie con il medio alzato davanti ai vari centri di potere del mondo, è un altro chiarissimo “vaffanculo” a ciò che Weiwei non ama. E poi la celebre fotografia che lo ritrae davanti piazza Tian'anmen, con la camicia aperta e una scritta rossa ‘Fuck’ stampata sul petto.

Perché ‘Fake’ (falso)? A qualcuno che glielo chiese, nel momento in cui avrebbe potuto decidere di diventare un artista concettuale (dati gusti e inclinazioni), Weiwei rispose di apprezzare l’arte concettuale ma di non essersi mai spinto, anche a causa del suo background, troppo lontano dalla realtà materiale.

Come se da una parte desiderasse appunto il completo distacco ma dall’altra fosse tremendamente attaccato agli oggetti reali. Come se per lui l'arte fosse quasi un ritorno alla vita di tutti i giorni. Una vita che in ogni caso non è reale, ma, per l'appunto, ‘fake’.

La sua arte ha sempre qualche collegamento alla sfera dell’ordinario. Inoltre, la pronuncia cinese della parola ‘fake’ è ‘’fa -ch’’, omofona dell’inglese ‘fuck’. Ecco che tutto torna. Ecco che la protesta inizia già da prima di entrare in casa, una protesta che inizia ancora prima di aprire la porta.

Dopo la scritta, proseguendo a sinistra, c’è la grande porta bianca in legno del mio ufficio, circondato e sormontato da piante.

A destra della porta d’entrata, invece, c’è una porticina verso il back office. Io, che vengo da un paesino di collina del viterbese, non mi sono mai sentita così a casa qui in Cina. C'è un orto, con i pomodori e le altre verdure. Ci sono tre meravigliosi cagnoloni: Holly, Taotao, Daxian. Poi le galline, il gallo, una papera, gli uccellini nella gabbia, un coniglio (che ora, ahimé, non c’è più), i panni stesi, i fiori, le piante. Per non parlare dei gatti, una quarantina in totale. Loro non stanno nel retro, no: loro stanno negli uffici principali e aprono anche le porte (come ormai tutti saprete).

Sul fatto che questo non è lo studio di un artista ma uno zoo, non vi anticipo nulla: gli animali meritano un articolo tutto per loro. Ce li ritroviamo sopra i computer, sotto le sedie, a cercare aria fresca dal condizionatore: sono loro i veri protagonisti delle nostre giornate,

A mezzogiorno, cascasse il mondo, si pranza tutti insieme. Il pranzo a casa di Ai Weiwei non è solo il momento più bello della giornata. E’ un momento talmente bello di suo, in termini assoluti, che sarebbe comunque bello anche se non fosse ‘il più’ bello.

Chi pensa che siano solo gli italiani ad azzuffarsi durante i pasti per arrivare prima, sbaglia. Chi pensa che quando si parla di mangiare solo gli italiani, ovunque si trovino, diventano seri, sbaglia. Chi pensa che siano solo gli italiani a parlare in continuazione di cibo, sbaglia ancora.

Mai come questa volta ho avuto la dimostrazione che tutto il mondo è paese. Americani, cinesi, avvocati e operai, chi più ne ha più ne metta: a mezzogiorno non si scherza più.

Ed è così che, in ogni lingua del mondo, la domanda è sempre la stessa: ‘pranzo’?

Dietro il front office c’è la sala con un tavolo lunghissimo. Qui ogni giorno facciamo la nostra pausa-pranzo, godendo, nelle giornate di sole, del cortile esterno per gustarci veri caffé con gli alberi che ondeggiano al vento.

Chi mangia fuori, chi preferisce stare dentro, una trentina di persone fisse: ogni giorno sembra ‘la festa del patrono’. Chiunque passi di lì all’ora di pranzo si ferma. Le nostre cuoche preparano le stesse pietanze rispettivamente ogni giorno della settimana.

Il mercoledì non si può più vivere se qualcuno non dice: ‘oggi spaghetti’. Quando sono arrivata allo studio, tre mesi fa, per qualche settimana, ogni giorno scoprire cosa ci sarebbe stato per pranzo era una sorpresa, poi piano piano ho imparato il menù. La situazione attuale è precipitata: la settimana scorsa ero convinta fosse martedì e con mio grande choc ho visto la pentola con i ‘miantiao(r)’: ‘ma oggi è mercoledì’!

C’è solo una persona, tra tutti, che dopo anni, ancora con l’entusiasmo di un bambino, ogni giorno sbircia che cosa ci sarà nel piatto. Proprio lui, il grande capo.

La gioia del cibo è talmente grande per lui che non solo gli sorride la bocca, ma anche la pancia. E così, quasi ogni mercoledì, anche se tu lo sai già, senti qualcuno arrivare e gridare sorridendo: ‘oggi miantiaorrrrrrrrrrrrrr’!

Ai Weiwei e il cibo, la sua grande passione. Chiede le ricette, chiede che tipo di carne sia o perché lui non conosca quel pesce. Vuole sapere come si fa, guarda tutto e alla fine esclama: ‘Ohhhhhh’, come se fosse sempre la prima volta che mangia quella pietanza.

E qualsiasi cosa ci sia a tavola, ma proprio qualsiasi, sarà musica per le tue orecchie sentirgli dire ogni giorno: ‘HAO CHEEEE’ (buonoooo!).

*Eleonora Brizi ha 27 anni e vive a Pechino. Ogni mattina apre la porta verde del n° 258 di Caochangdi, FAKE studio. Qui lavora per e con Ai Weiwei. Il suo blog è Dacci oggi il nostro Aiweiwei quotidiano.

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