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sabato 9 giugno 2012 14:15

Bahrain, caccia agli attivisti antigovernativi
di Giorgia Grifoni

Decine di arresti, condanne e vessazioni ai danni di chi denuncia le violenze della monarchia. Nel Golfo in corso campagna contro chi partecipa a conferenze per diritti umani.

Roma, 09 giugno 2012, Nena News - Secondo la delegazione di stato bahrainita alla Rassegna periodica Universale (Upr) sul Bahrain del Consiglio Onu per i Diritti Umani organizzata nel maggio scorso, nelle carceri di Manama non ci sarebbero prigionieri politici ma solo detenuti per attività criminali. Ali Hasan, 11 anni, è uno di questi. Arrestato il mese scorso per essersi unito a un "raduno illegale", rischia di finire in carcere - dove ha già sostenuto gli esami scolastici - per aver volontariamente preso parte a una manifestazione anti-governativa. Lunedì prossimo avrà inizio il processo contro di lui, come spiega il suo avvocato Mohsen al-Alawi all'Associated Press. La dottoressa Nada Dhaif, invece, rischia 15 anni di carcere per aver curato i manifestanti e aver parlato apertamente alla Bbc dei feriti e dei morti delle manifestazioni antigovernative che da un anno e mezzo infiammano l'emirato. Secondo la sua testimonianza, fatta alla Upr, sarebbe stata torturata per aver curato un manifestante. Le manifestazioni in strada, lungi dall'essere terminate - l'ultima è stata organizzata ieri, nella capitale Manama, per protestare contro l'ennesimo arresto del noto attivista Nabil Rajab - sembrano intimorire meno i regnanti rispetto alle proteste in rete, soprattutto se coinvolgono istituzioni e media stranieri. Ne sa qualcosa il giornalista e blogger Ahmad Radhi, che si è visto trascinare via da casa sua il 16 maggio scorso da alcuni poliziotti privi di mandato d'arresto. Secondo la famiglia di Radhi, il suo crimine sarebbe quello di aver criticato un'eventuale unione di Bahrain e Arabia Saudita in due interviste: una alla Bbc arabic Radio e un'altra a Lulu tv, emittente bahreinita in esilio a Londra. Tuttora in attesa di giudizio, non si conosce ancora la pena che gli verrà inflitta. L'ultima a essere stata bersagliata, in ordine di tempo, dalle autorità bahrainite è stata proprio la Rassegna Periodica Universale sul Bahrain riunitasi a Ginevra un mese fa. Decine di organizzazioni per i diritti umani, assieme ad attivisti, giornalisti, medici e avvocati sono state bersagliate dai media di Manama per aver partecipato all'evento. Tra loro, anche Maryam al-Khawaja, figlia del più famoso attivista Abdelhadi, condannato all'ergastolo per reati d'opinione e partecipazione alle proteste del 2011: dopo uno sciopero della fame lungo 110 giorni terminato il 28 maggio scorso, la Corte di Cassazione gli ha concesso un nuovo processo che è in corso. Alla conferenza si è parlato anche di Nabil Rajab, "arrestato per un tweet - come ha raccontato Maryam al-Khawaja - con il rischio di vedersi inflitta una pena molto dura per insulto alle autorità ufficiali, partecipazione a un raduno illegale e organizzazione di una marcia senza permesso". Chiamati "traditori" dai media del proprio Paese, gli attivisti rischiano di venire arrestati, torturati e licenziati al ritorno a casa. Il presidente del Consiglio Onu per i Diritti Umani Laura Dupuy Lasserre si è detta "preoccupata per la campagna mediatica portata avanti in Bahrain, che identifica e minaccia i rappresentanti della società civile che sono venuti a Ginevra per partecipare a questo evento". Il Ministero dell'Interno ha dichiarato qualche giorno fa che verranno adottate "procedure legali" contro gli attivisti presenti nella città svizzera. Capofila della campagna mediatica è il quotidiano "al-Watan", seguito da tutti gli altri giornali filo-governativi bahreiniti e del Golfo. Come il Khaleej Times, pubblicato a Dubai, molto impegnato a lodare il "retto comportamento della polizia" alle manifestazioni. Numerosi sono stati, inoltre, gli attacchi alla conferenza da parte dei governi del Golfo, una solidarietà ai regnanti bahreiniti che in alcuni casi è andata oltre le semplice invettive. Il kuwaitiano Hamad al-Naqi, 26 anni, è stato condannato il 5 giugno scorso a 10 anni di carcere per aver criticato le autorità saudite e bahreinite. La pena è stata studiata sulla base della legge 15 della Legge sulla sicurezza nazionale: un minimo di tre anni per "diffondere intenzionalmente notizie, dichiarazioni o voci false e maliziose che danneggino l'interesse nazionale dello Stato". Non c'è frontiera che tenga, quando i regnanti del Golfo sono in pericolo. E re Hamad al-Khalifa non sarà mai solo. Nena News

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