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28 maggio 2012

Egitto, aspettando il ballottaggio
di Costanza Spocci
dal Cairo

Com’è possibile che il primo Ministro nominato da Mubarak durante la rivoluzione e poco dopo destituito, rischi di diventare il Presidente degli egiziani ad un anno dalla rivoluzione? Per Ahmed, un ragazzo di ventitré anni che è sempre appostato a Tahrir nella speranza che si ripopoli di turisti, la risposta non è delle più incoraggianti: “è dalla rivoluzione che ogni giorno mi chiedo che cosa potrà succedere domani. Non ci capisco più niente. Sono confuso, non mi aspettavo un risultato del genere”.

Mursi e Shafik, in lizza per la corsa al ballottaggio, sono anche i due candidati che sono stati maggiormente accusati di irregolarità. I legali di Sabbahi, candidato posizionatosi terzo a due punti percentuali da Shafik (471.000 voti), hanno aperto una causa per brogli elettorali proprio contro l’ex Primo Ministro. Shafik, cerca di strizzare l’occhio a Mursi e paventa la possibilità di offrire ai Fratelli la carica di Primo Ministro. In risposta alle sue avances agli islamisti, oggi ad Heliopolis, area suburbana del Grande Cairo, è stata organizzata una marcia di protesta per chiedere l’estromissione di Shafik dal secondo turno.

Altre aree invece, restano silenziose. A Shoubra, quartiere del Cairo in cui nella stessa via si possono trovare una chiesa copta, una protestante e il muezzin che intona la preghiera dall’altro lato della strada, chi una visione più liberale ha votato per Sabbahi. La maggioranza ha però votato per Shafik. Hassan è nato lì. E’ dal 2005 che scende in piazza a manifestare e ogni occasione è sempre stata buona per insultare i fulul, tutta la cricca riconducibile al vecchio regime. ”Voto Sabbahi, voto Sabbahi” diceva a dieci giorni dal primo turno. Entrato nell’urna invece ha scelto Moussa all’ultimo minuto, pensando che avesse più chance di vincere contro i Fratelli Musulmani. Ad elezioni finite, lo rivedo al café Hurreya. Si sta bevendo una bella birra sul risultato elettorale: “Fratelli Musulmani e Militari che corrono per la Presidenza. Mi tocca votare Shafik al secondo turno” – dice a malincuore – “mi fa paura, ma i Fratelli me ne fanno ancora di più. Ti immagini questi? Vogliono che mi faccia crescere la barba e che smetta di bere”. In molti come Hassan, temendo l’avanzata di un Khomeini in salsa sunnita, hanno optato per l’estremo politico opposto, Shafik per la maggioranza, sperando che un voto anti-Ikhwan controbilanciasse la sorprendente avanzata dei Fratelli nella settimana precedente al primo turno.

“Se siamo arrivati al secondo turno è perché siamo molto organizzati e perché per decenni abbiamo aiutato gli egiziani ad andare a scuola, a mangiare e a vestirsi” mi dice Abdallah raggiante, ventisei anni e Ikhwan da tre. Effettivamente la macchina elettorale della Fratellanza ha dimostrato di funzionare a meraviglia. La capacità di mobilitare i propri elettori non ha avuto rivali: adunate oceaniche in cui ogni sostenitore si portava la famiglia al completo, con nonne, zii, bambini e cugini; più un milione di campaigners attivi in tutto il paese che hanno potuto attingere alle ingenti risorse dell’organizzazione. Al contrario dei due candidati liberali, Foutouh “l’islamico “e Sabbahi “il laico”, che hanno visto i propri sostenitori pagar la campagna di tasca loro.

Nonostante questo, gli Ikhwan hanno registrato un forte calo di consensi che si è tradotto in 12,5 punti percentuali in meno rispetto alle Parlamentari dello scorso novembre. La decisione di presentare un proprio candidato a tutti costi e l’insistenza con cui l’intera campagna elettorale si è concentrata solo sul Programma degli Ikhwan per gli Ikhwan, ha spaventato non solo la parte laica della popolazione, ma anche quei musulmani liberali che, considerando fondamentale per il futuro dell’Egitto questo periodo di transizione, chiedevano una piattaforma politica di stampo nazionale che fosse rivolta a tutti gli egiziani. Infatti, nonostante i Fratelli presentino una struttura partitica e di movimento molto forte, gerarchica e decisamente ben organizzata, in queste elezioni hanno chiaramente dimostrato di non essere ancora in grado di aprirsi politicamente, restando chiusi in un’autoreferenzialità che è costata loro molto cara. In un momento di vuoto politico hanno preferito enfatizzare i clichés del niqab, delle barbe (lunghe, ma non troppo) e delle promesse di salvezza per i fratelli palestinesi, non facendo altro che stigmatizzare loro stessi. Significativo in questo senso è che per la base, il partito Freedom and Justice e il movimento siano ancora concepiti come un’entità unica.

Durante una conferenza di Mursi, Abdu mi ripete il leitimotiv che tutti i sostenitori dei Fratelli recitano quasi a memoria “noi non sosteniamo una persona, noi sosteniamo l’idea che sta dietro quella persona. La Nahda, la rinascita, è il nostro programma per tutto l’Egitto”. Questo ritornello è frutto del fatto che la struttura dei Fratelli, rimasta ancora ai tempi della clandestinità, vuole che la linea da prendere e le dichiarazioni da rilasciare si discutano all’interno. Una volta decise, la versione che esce all’esterno deve essere la stessa per le bocche di tutti. Qualche voce di dissenso per fortuna però non manca: “faccio parte dei Fratelli da dieci anni. Ma questa volta non sono d’accordo con loro. La Nahda rischia di essere una islamizzazione dall’alto, e non è giusto che venga imposta a chi non la condivide” dice Mohammed, più favorevole ad un islam che parta dal “basso” e non dalle Istituzioni.

Gli Ikhwan hanno fatto altri due errori. In primis, scendere a compromessi in materia costituzionale con il Consiglio Supremo delle Forze Armate (SCAF), che governa il paese dalla caduta di Mubarak. Al referendum per approvare gli undici emendamenti alla Costituzione provvisoria, il 77% dei voti favorevoli sono stati espressi soprattutto grazie alla mobilitazione dei Fratelli per il SI, proprio mentre le istanze rivoluzionarie spingevano per il NO. Inoltre, una volta ottenuta la maggioranza in Parlamento, non sono stati in grado di “sbloccare” l’enorme potere in mano al Supreme Council of Armed Forces. Al contrario, hanno immobilizzato il legislativo e non sono stati in grado di raggiungere un accordo con le altre istanze politiche sulla Costituzione, una patata bollente che dal 21 maggio – data limite per trovare un accordo – è di nuovo nelle mani dello SCAF.

Secondo, “gli Ikhwan sono scesi in piazza a Tahrir trascinati dai Fratellini, i ragazzi più giovani del movimento, e solo dopo un razionale calcolo della situazione” – commenta arrabbiato Ammar, uno dei painters che ha ricoperto tutta via Mohammed Mahmud dei bellissimi graffiti in memoria dei martiri di Port Said – “per me da novembre è cambiato tutto. Durante i quattro giorni di scontri di Mohammed Mahmud ho visto cos’è successo, quello che i militari hanno fatto. Hanno ucciso delle persone di fianco a me!

Nessuno, nessuno degli Ikhwan o dei Salafiti si è preso la briga di venire a vedere cosa stava succedendo. Nessuna inchiesta parlamentare. Non hanno mosso un dito per evitare che questo accadesse né per punire i responsabili”.

Avendo così esorcizzato, nonché penalizzato, gli islamisti moderati ed i liberali laici dietro cui si raggruppavano le forze della rivoluzione, i Fratelli Musulmani hanno fatto terra bruciata intorno a loro. Nel caso in cui dovessero conquistare anche la Presidenza, rischiano di rimanere isolati e nel momento in cui dovranno interloquire con i militari per poter raggiungere compromessi, avranno una forza contrattuale minima. Il che di certo non è una delle migliori aspettative per questa democrazia nascente.

Inoltre, se per ora hanno la maggioranza in Parlamento, non è detto che la mantengano ancora per molto. Siccome ancora l’Egitto non ha una Costituzione, non è detto che le camere non vengano sciolte una volta eletto il Presidente. Dipenderà dallo SCAF e dai poteri presidenziali, tuttora sconosciuti, di cui verrà investito il nuovo Presidente. Shafik, che non ha problemi nel chiedersi se sarà supportato o meno dai militari, ha già dichiarato che una volta Presidente scioglierà il Parlamento.

“Nonostante i risultati al secondo turno, anche volendo, non possiamo tornare in Piazza. I voti sono stati espressi, non ci seguirebbe nessuno”. A. è un attivista di una ventina d’anni. Racconta con trasporto come una volta sia entrato a Gaza tramite i tunnel e come per pochi minuti non sia rimasto sepolto da un bombardamento israeliano. Non ha ancora idea di come potersi organizzare a fronte di questi risultati elettorali. Nel frattempo, ha in cantiere un progetto per colorare tutti i microbus della città: “Quando sali sui microbus e vai nelle zone periferiche del Cairo, ti rendi conto di quanto sia desolante la vita di moltissime persone. La gente ha bisogno di essere felice, e se una rivoluzione non è bastata bisogna iniziare pur con qualcos’altro”. Poi aggiunge sorridendo “molti dei conducenti che conosco hanno votato Shafik ed erano contro la rivoluzione. Ne ho visti parecchi che urlavano contro i ragazzi in Piazza Tahrir. Se coloro i loro microbus magari diventerà più semplice discutere con loro”.

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