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14 giugno 2012

Egitto, democrazia in ostaggio
di Costanza Spocci


Una doccia fredda ha risvegliato gli egiziani a due giorni dall’appuntamento elettorale che vedrà i due candidati Ahmed Shafik, ex-Primo Ministro di Mubarak, e Mohammed Mursi dei Fratelli Musulmani, sfidarsi il 16 e 17 giugno per la Presidenza dell’Egitto.

Questa mattina la Corte Costituzionale si è riunita per dare un parere definitivo su due assi portanti della nascente democrazia egiziana: la Legge di Isolamento, che escluderebbe tutte le personalità legate agli ultimi dieci anni del regime di Mubarak dalla corsa elettorale, e la costituzionalità dell’attuale Parlamento. La Corte si è pronunciata in favore di Shafik, che potrà correre per il secondo turno, con forti possibilità di vittoria.

Un terzo dei seggi in Parlamento invece sono stati dichiarati incostituzionali. Si tratta dei seggi riservati a quei parlamentari che lo scorso novembre, pur presentandosi come indipendenti alle elezioni parlamentari, erano membri di uno dei partiti già presenti in Parlamento. Con l’abolizione di questi “indipendenti”, secondo The Arabist, il partito Freedom and Justice dei Fratelli Musulmani, passerebbe così dal 47,2% al 38,25%, mentre il Nour Party dei Salafiti passerebbe dal 27 al 28%. La maggioranza islamista nel totale delle due camere perde nel giro di un’ora 11 punti percentuali, passando da 75 a 66. Il Blocco Egiziano, liberali e rivoluzionari, invece passa dal 6% all’11%.

In questo gioco numerico la maggioranza parlamentare viene così spezzata. Secondo l’articolo 52 della Costituzione egiziana, il quorum per la maggioranza in Parlamento dovrebbe essere a 350, mentre attualmente i parlamentari della maggioranza sono solo 332. L’intero Parlamento non è pertanto conforme alla vigente legislazione egiziana e deve essere dissolto. In serata la Corte spiegherà in maniera più dettagliata in una conferenza stampa le motivazioni che hanno supportato questa decisione.

“Shafik ha forti possibilità di vittoria. Se vince, dissolverà il Parlamento” aveva dichiarato una settimana fa Issandr El Amrani, analista politico e blogger di The Arabist. Contro ogni aspettativa ci ha pensato invece la Corte Costituzionale, ancora prima dei risultati elettorali.

“Non ci posso credere. Lo SCAF pensa di avere a che fare con un pollaio non con delle persone!” dice Maha, economista di 24 anni “ci hanno preso per delle galline. Shafik è il burattino dei militari. Dopo i risultati del primo turno diventa ogni giorno più forte. L’altro giorno El Zend – capo del club dei giudici egiziani – ha detto che i giudici non applicheranno le leggi del Parlamento. Come è possibile? Dei giudici che si rifiutano di applicare le leggi? Ma in che paese siamo?”.

Il potere giudiziario è stato ripetutamente accusato in Egitto di essere uno strumento dello SCAF per governare con un’apparenza democratica e per fungere da ago della bilancia nel gioco politico senza esporsi troppo. Tramite la Commissione Elettorale Suprema, al cui vertice siede il Presidente della Corte Suprema Egiziana, molti candidati contestati sono stati esclusi per il primo turno. Quasi tutti gli esclusi hanno presentato ricorso, ma l’unico che l’ha vinto ed è rientrato nella corsa alla Presidenza è stato Shafik.

“E’ tutta colpa del referendum per gli undici emendamenti” gesticola Fatima agitata con la mano che taglia l’aria, non riesce a stare seduta sulla sedia. Parla italiano con un accento romano concitato, ha ventun anni, ma dice di sentirsene cinquanta sulle spalle: “se i Fratelli Musulmani e i Salafiti non avessero detto alla gente che andare a votare per il NO era peccato, adesso lo SCAF non avrebbe tutti questi poteri. E poi guarda cos’è successo sia ai Fratelli che ai Salafiti. La Commissione elettorale sulla base degli emendamenti ha escluso Shater – candidato forte della Fratellanza – dalle elezioni e anche Abu Ismail dei Salafiti è stato buttato fuori. Pensavano di poter giocare ai compromessi con lo SCAF, hanno lasciato soli la gente in piazza e si sono pure fatti fregare”.

Ieri il Ministero della Giustizia ha pubblicato un decreto che autorizza l’intelligence, i militari e la polizia ad arrestare civili anche per crimini non militari. La legalità del decreto viene giustificata in base alla legge della Magistratura Militare n. 25/1966 e prevede che da oggi l’arresto potrà scattare sul posto per reati che comprendono “crimini e delitti dannosi per il governo”, “possesso e uso di esplosivi”, “resistenza agli ordini emessi da chi detiene il potere”, “distruzione di proprietà pubbliche o monumenti storici”, “ostacolare il traffico”, “colpire le istituzioni che servono l’interesse pubblico”, “attaccare il diritto al lavoro” e “intimidazione e teppismo”. Se sulla carta il Ministero può garantirne almeno per il momento la legittimità, le tempistiche con cui il decreto è stato stabilito ed emanato sollevano forti dubbi a livello politico.

Il decreto è stato redatto un mese fa da una Corte Amministrativa, ovvero due settimane prima che spirasse la legge 162 del 1958 sullo Stato d’emergenza, in vigore da trentun anni e che dall’uccisione di Sadat nel 1981 ha permesso a Mubarak e allo stesso esercito di aver pieni poteri in materia di “libertà” di espressione e associazione.

A fine gennaio già lo SCAF aveva lasciato intendere che la legge marziale, generalmente rinnovata ogni tre anni, sarebbe spirata secondo il suo corso “naturale”. In occasione dell’anniversario della rivoluzione il Generale Tantawi a capo dello SCAF, aveva dichiarato che le predisposizioni legate allo stato d’emergenza sarebbero state abolite fatta eccezione per i “criminali” e i reati legati al traffico di droga. In ambito legale però non si erano registrati cambiamenti sostanziali e restavano ampi margini di manovra perché chiunque venisse facilmente identificato come “criminale”, senza vedersi riconosciuto il diritto di essere giudicato da un tribunale civile.

L’abolizione dello stato d’emergenza del 31 maggio è stata considerata una conquista della rivolta del 25 gennaio, che della sua sospensione ne aveva fatto una delle principali richieste. Dopo trentun anni, i primi giorni senza stato di emergenza non erano stati molto diversi da quelli che li avevano preceduti. Un traffico incredibile e code chilometriche di macchine davanti ai benzinai a causa di uno shortage di benzina e gas erano stati gli unici cambiamenti visibili delle prime settimane senza stato d’emergenza.

Fatta eccezione per i giorni della prima tornata elettorale infatti, dove carri armati e container della polizia erano stazionati di fronte ai seggi, l’esercito e la polizia sono raramente presenti nelle strade del Cairo. Al contrario, proprio in alcune aree sensibili come Piazza Tahrir, specialmente di venerdì quando si verificano le manifestazioni più grosse e vi è un rischio maggiore di infiltrazione della baltagheya – criminali che si muovono in gruppo durante le manifestazioni per creare disordine – sono completamente scoperte e nessun servizio d’ordine è presente sul posto. Ogni tanto capita di vedere qualche poliziotto che sonnecchia davanti ad una banca e qualche gruppetto che controlla che non scoppino risse nei sotterranei della metro, ma per la maggior parte le forze dell’ordine sono concentrate in massa davanti alle sedi istituzionali a fare atto di presenza.

Nonostante l’ annullamento della legge marziale, sono rimaste questioni in sospeso. In base alla leggi di emergenza infatti almeno cento ottantotto persone sono ancora detenute nelle prigioni egiziane e per il momento non sembra che i loro casi verranno trasferiti dalla Corte di Sicurezza dello Stato d’Emergenza (ESSC) – che non prevedono il diritto all’appello – alle corti civili.

Inoltre, se con la caduta dello stato d’emergenza i raduni e le manifestazioni risultino pienamente legali, la Polizia continua a detenere il potere di utilizzare armi da fuoco per disperdere i dimostranti, continuando di fatto a rendere legittima la repressione violenta del dissenso. E non solo. Nel caso in cui un civile commetta un “crimine” in un’area militare o contro un esponente dell’esercito, continuerà ad essere giudicato sotto la giurisdizione delle Corti militari.

Secondo l’articolo 59 della Costituzione ad interim che governa l’Egitto post-rivoluzione, lo stato di emergenza può essere ripristinato solamente tramite un voto di maggioranza dal Parlamento, fino a ieri dominato per il 75% dagli islamisti che, proprio in nome dello stato di emergenza, nelle ultime tre decadi hanno subito una forte repressione.

Con l’introduzione del nuovo decreto, che @Bassem Sabry – analista politico egiziano – su Twitter ha definito “Emergency Law 2.0”, di fatto la legge marziale è stata ripristinata dallo SCAF senza passare per l’approvazione del Parlamento. L’aggravante è che a differenza della legge di emergenza, la quale prevedeva che solo la polizia potesse arrestare civili per crimini non militari, da oggi in poi i militari e l’intelligence possono potenzialmente arrestare un qualsiasi cittadino per aver ostruito il traffico, un crimine facilmente imputabile a chiunque scenda in piazza a manifestare.

Secondo la legislazione egiziana, perché il decreto diventi legge dovrebbe essere approvato dal Parlamento, ma dopo la decisione di oggi della Corte Costituzionale, in Egitto non esiste più un Parlamento legittimato a legiferare. Le elezioni parlamentari avverranno secondo modalità e tempistiche non ancora chiare, e il Ministero della Giustizia ha reso noto che il decreto resterà in vigore finché non verrà stilata ed approvata la nuova Costituzione, anch’essa rimandata a data da definirsi.

Ieri sembrava che, nonostante la confusione tra alleanze pre-elettorali e colpi di coda dello SCAF, un accordo sulla composizione dell’Assemblea Costituente fosse stato finalmente raggiunto. I nomi delle cento persone che avrebbero dovuto far parte dell’Assemblea erano stati individuati, anche se dopo qualche ora dalla pubblicazione della lista, il Generale Mahmud Shahin del Ministero della Difesa e membro della Costituente, aveva pubblicamente annunciato la sua insoddisfazione sull’accordo e si era ritirato.

Nel nuovo Stato d’Emergenza il prossimo presidente egiziano governerà senza un Parlamento e senza una Costituzione. Nell’ eventualità in cui Mursi vinca, avendo perso il Parlamento e la maggioranza islamista su cui poteva contare, non avrà né potere politico per poter governare né potere contrattuale per una convivenza equilibrata con i militari. E invece fare il giuramento davanti al Parlamento, dovrà giurare davanti allo SCAF.

Se invece sarà Shafik a governare, come la maggior parte degli analisti sostiene, non avrà altri poteri istituzionali a contrastarlo e sarà supportato dai militari, che da oggi detengono non solo l’esecutivo e hanno dalla loro parte il potere giudiziario, ma hanno ripreso nelle loro mani il legislativo.

Con oggi pomeriggio sembra che un colpo di Stato silenzioso sia stato messo in atto, preparato accuratamente nei mesi attraverso una rete istituzionale incancrenita da relazioni clientelari che solo in minima parte sono state toccate dalla rivoluzione del 25 gennaio.

Lo SCAF ha riacquisito pienamente il potere legislativo e formerà domani una nuova Assemblea Costituente. Un golpe 2.0 in cui le premesse per il gioco democratico non sono delle migliori. Nel frattempo, Piazza Tahrir inizia a riempirsi.

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