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23 aprile 2012

Bahrain, la rivolta dimenticata
di Christian Elia

In questo articolo, qualora vi interessasse, non troverete neanche una riga sulla griglia di partenza e sull’ordine di arrivo del Gran Premio del Bahrain, valido per il campionato mondiale di automobilismo. In questo articolo, inoltre, non troverete neanche una riga sulle dichiarazioni dei leader politici occidentali sulla violenta repressione delle manifestazioni contro la monarchia del Bahrain.

Nel primo caso è una scelta, nel secondo caso una necessità. Perché di dichiarazioni di condanna o richieste di moderazione nell’uso della forza non c’è traccia. Nessuno ha sentito il bisogno di dire una parola contro quello che da più di un anno accade in Bahrain. Niente osservatori della Lega Araba, niente inviato speciale dell’Onu, niente Nicholas Sarkozy a dissertare di diritti umani. Niente Madame Ashton, responsabile della politica estera dell’Ue, niente Hillary Clinton, segretario di Stato Usa. Niente di niente.

In questo articolo troverete la storia di Salah, quella di Nada e quella di Zainab. Un uomo e due giovani donne, cittadini del Bahrain. Salah è stato ucciso dalla polizia, Nada è un giovane medico, arrestato per aver curato i manifestanti, Zainab è stata arrestata ancora, per aver chiesto al circo della Formula 1 di spegnere i motori di fronte alla repressione della monarchia sunnita che regge con il pugno di ferro un reame ricco solo per chi comanda, contro una maggioranza sciita che viene tenuta ai margini della società.

Un morto, decine di feriti e un centinaio di arresti. Questo è il bilancio di un fine settimana a Manama, nei pressi del circuito di automobilismo di Sakhir. Un anno fa il Gran Premio del Bahrain era stato cancellato a causa delle violenze, costate la vita a 35 persone, per lo più dimostranti ma anche agenti governativi. Quest’anno quaranta milioni di dollari sono stati spesi dalla casa reale dei Khalifa per ospitare l’evento e dimostrare al mondo di avere la situazione sotto controllo. Ma non è vero.

Dal mondo dello sport business non era lecito aspettarsi molto. Le regole si conoscono ed è probabile che se si applicasse una serie di discriminazioni contro coloro che non rispettano i diritti umani si fermerebbero la maggioranza degli eventi globali legati allo sport. Questo, però, non significa che si perda a volte l’occasione di tacere. ”Dobbiamo penalizzare il 90 per cento della popolazione perché il 10 percento è contro il Gran Premio?”, ha dichiarato Jean Todt, presidente della Fia, la federazione mondiale dell’auto. Di che parla Todt? Cosa ne sa? Abdul Hadi Khawaja, uno dei quattordici attivisti condannati nei mesi scorsi per la rivolta dell’anno scorso e da oltre due mesi in sciopero della fame. Sua figlia, come era già accaduto in passato, è stata arrestata. Si tratta di Zainab al-Khawaja, più volte fermata in passato dalla polizia nei mesi scorsi durante sit-in e manifestazioni, detenuta per alcune ore e poi rilasciata.

Salah Habib aveva 37 anni. Il suo corpo è stato ritrovato senza vita stamani su un tetto di una casa di Sakhura, dove si sono svolti duri scontri tra manifestanti e le forze dell’ordine. Manama ha riferito che è stata aperta un’inchiesta sulla morte di Habib, ma gli attivisti affermano che il loro compagno è stato ucciso o dalle percosse degli agenti o da proiettili di gomma sparati a distanza troppo ravvicinata. Inchieste che sia Amnesty International che Human Rights Watch hanno più volte in questo anno e mezzo definito non credibili. Alla famiglia, per ora, non è stato neanche riconsegnato il corpo, per timore che il funerale diventi un momento di nuove tensioni.

Nada Dhaif ha quasi quarrant’anni. E’ diventata, suo malgrado, un simbolo. È uno dei medici che ha soccorso i manifestanti colpiti dalla polizia e ricoverati al Salmaniya Medical Complex. Arrestati, tenuti in prigione per mesi, torturati e poi condannati.

Se Todt ha perso un’occasione per tacere, i leader di Ue e Usa ne hanno perso una di parlare. Mentre si sottolinea la necessità di intervenire in Siria, anche a costo di usare la forza, come si era detto necessario intervenire in Libia, nessuno ha sentito il bisogno di condannare il reame del Golfo dove risiede la Quinta Flotta Usa. Per Arabia Saudita, Qatar e tutte le altre monarchie sunnite, la rivolta in Bahrain è fomentata dall’Iran, paese sciita. Questo basta per utilizzare due pesi e due misure nella pressante richiesta di rispettare i diritti umani. Anche perché la minoranza sciita (che in Bahrain è maggioranza) è un problema anche per Riad, per il Kuwait e per lo Yemen. Formula Uno a parte, è evidente che le regole non sono uguali per tutti.

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